La maggior parte…

14 Novembre 2022 dc, dal sito Hic Rhodus, 8 Luglio 2022 dc:

La maggior parte di coloro che decidono la nostra vita non capisce un acca di come funziona il mondo

di Claudio Bezzi

Nella mia vita, dopo pochi anni post laurea di precariato (che all’epoca consideravo occasioni d’oro ma per carità, il mondo è cambiato) ho iniziato a lavorare, dopo regolare concorso, in Enti pubblici di natura diversa; successivamente mi sono dimesso e ho intrapreso un’attività privata. C’è stato un periodo intermedio, in cui continuavo a lavorare nel pubblico part time, mentre avviavo il mio nuovo lavoro. In quel periodo – lo ricordo benissimo – mi apparve, pungente, la colossale distanza di culture fra i funzionari e dirigenti pubblici da una parte, e gli imprenditori, professionisti e artigiani che avevo iniziato a frequentare dall’altra parte. 

Vi riassumo in maniera grossolana questa distanza: i primi (impiegati pubblici nei diversi ruoli e livelli) conoscevano il mondo attraverso le leggi, i regolamenti, le delibere; con la pressione dell’organizzazione amministrativa e politica; grazie alla mediazione del sentito, del detto, del percepito di innumerevoli riunioni col mondo dell’impresa. Ma non capivano i problemi degli imprenditori e professionisti con l’assillo e l’urgenza, e le priorità, e le logiche di questi. Viceversa, e specularmente, il mondo del lavoro conosceva il pubblico – così io percepii – attraverso norme oscure e farraginose, tempi incomprensibili, ostacoli ridicoli, senza comprendere appieno il ruolo di garanzia e democrazia ed equità che un’amministrazione pubblica (se efficiente, e al netto delle inaccettabili esagerazioni italiane) garantisce.

Così io capii, e ancora credo. Questi due mondi – per dirla adesso in sociologhese – vivono in province di significato differenti, utilizzano frame cognitivi diversi, praticano giochi linguistici inconciliabili. Si parlano, si incontrano, ma usano lingue diverse: il tipico funzionario pubblico è sospettoso verso l’imprenditore, il quale è esasperato dall’ottusità del primo.

Questa distanza fra mondi non è tipica solo del funzionario pubblico rispetto a chi vive del suo lavoro fuori dalla Pubblica Amministrazione, ma è comune anche a mondi limitrofi, per esempio quello dell’Accademia: nella mia vita ho frequentato molte decine di professori, alcuni per lunghi anni e con bei rapporti di amicizia e intimità, e vi assicuro che non pochi di costoro sanno tutto, ma proprio tutto tutto, sul loro campo specifico di sapere, ma essenzialmente in maniera cerebrale, libresca, con un livello di esperienza pratica sovente prossima allo zero, che finché discutono nell’ambito della loro disciplina va ovviamente bene così, ma quando diventano corsivisti del Corriere o influencer su Instagram va molto meno bene. Analogamente i sindacalisti e i politici, salvo – per questi ultimi – quelli approdati tardi alla politica dopo un giusto numero di anni di lavoro “vero” (intendo: il lavoro finto, presso strutture di partito, giornali di partito, fondazioni di partito, non conta; diversi politici registrati come “giornalisti”, per esempio, sono stati in realtà persone a cui veniva pagato uno stipendio con la scusa di una radio o di un giornale – vedi Salvini).

Per ragioni facilmente intuibili anche senza scomodare la psicologia, una sorta di imprinting istituzionale rende il funzionario pubblico sensibile ai regolamenti e alle prassi della sua comunità di pratiche, il docente sensibile alla citazione colta e al giudizio della sua comunità scientifica, il sindacalista e il politico sensibili alla protesta e alla rivendicazione di coloro che compongono la loro costituency. C’è un continuo autoriferimento.

Ovviamente questa differenza, questa sostanziale incomprensione, ha un peso rilevantissimo sulla conduzione delle nostre vite. Le regole del nostro vivere associato sono decise dai politici, l’accesso a determinate risorse è regolata da burocrati, l’orientamento dell’opinione pubblica è in parte condizionato da intellettuali. Certo, anche gli imprenditori, i professionisti, gli artigiani etc. hanno i loro “sindacati”, le loro lobby, i loro rappresentanti in Parlamento, e così la loro voce arriva a chi deve arrivare e, in una competizione politica normale, si varano leggi sufficientemente inclusive, programmi e politiche sufficientemente efficaci, con amministrazioni che gestiscono la salute, l’istruzione, lo sviluppo in maniera decentemente efficace; se – come nel momento presente – le forze populiste sovrastano quelle razionaliste, allora il meccanismo s’inceppa; ma non è di questo che voglio parlare.

Voglio insistere sul fatto che siamo condotti da qualche parte, ovunque sia, da personale politico, intellettuale, amministrativo, che nella grande maggioranza dei casi ha un’idea indiretta, di seconda mano, di quali conseguenze pratiche si inneschino con le loro decisioni.

Mi torna questa preoccupazione dopo avere letto l’intervento di Cofferati (e Sateriale) di cui tratterà nel merito Filippo Ottonieri, prossimamente, qui su HR (sostanzialmente Cofferati suggerisce di risolvere il problema del lavoro con un piano pubblico di assunzione di badanti). I due scrivono sciocchezze così straordinariamente stupide che, così credo, brillano per sciocchezzeria ancor più proprio per l’alto profilo dei due autori.

Sateriale, indubbiamente uomo di cultura e di meriti, è nato e cresciuto in CGIL. Ha fatto anche il sindaco, e va a suo merito, ma è essenzialmente un uomo CGIL, dove ha fatto pure una bella carriera. Cofferati, analogamente, è stato sindaco e anche europarlamentare, ma lui non è semplicemente stato in CGIL, lui è stato la CGIL e attualmente, come area politica di riferimento, fa riferimento a Sinistra Italiana  e Liberi e Uguali. In particolare è Cofferati che ha colpito la mia fantasia, in questo senso: se Sateriale è noto principalmente a chi si interessa di politiche sindacali, Cofferati è assurto al livello simbolico alto, quello che spetta a chi tanto si è impegnato, tanto ha fatto (o almeno…), tanto ha detto: Pertini, per intenderci; Montalcini; Berlinguer; per altri versi Ferragni. Capitemi: da persone, coi loro meriti e i loro torti, tutti umani, a icone; ritagliati dalla vita e diventati modelli, e quindi cliché, fuori dalla storia, usati come figurine. Bene, Cofferati era un po’ su quella strada, come Bertinotti, per una certa sinistra, per una visione egualitarista del mondo. 

Perché un uomo come Cofferati si è spericolato per infilare una serie di cazzate sesquipedali di quella fatta? Perché per avvalorarle le ha firmate con Sateriale (per dire: non una boutade da vecchio pensionato ex intellettuale, ma qualcosa di vivo e valido oggi, adesso, per il sindacato a guida Landini)? Poiché le cose non si fanno per caso, mi chiedo allora il significato di questa mossa politica.

Anzi no, non me lo chiedo più. Ormai la delusione verso intellettuali e maestri del pensare è irreparabile, e anche questa notina di Cofferati passerà in cavalleria. Il messaggio sarà arrivato a chi doveva arrivare, grazie al cielo gli autori non muovono correnti del PD (credo, spero), non agitano ministeri; sono già passati alcuni giorni, nessuno addetto ai lavori – da quel che so – ha ritenuto di “rispondere” a Cofferati quindi, alla fin fine, chi se ne frega?

Ecco, ve lo spiego: Cofferati è uno; poi ci sono Bertinotti, Civati, Murgia, Cacciari, e andate avanti voi con un elenco che, se non state attenti, diventa veramente lungo. Un elenco di persone che ha un idea del mondo nata sui libri, nata in una scatola ideologica, nata in un’organizzazione che performa, informa, induce, obbliga a un pensiero specifico, nata dentro quattro mura, un’idea che si confronta con altri pensieri analoghi, nati analogamente sui libri, entro gabbie ideologiche, fra quattro mura. Tutto questo pensare, discettare, argomentare, è in gran parte fazioso e autoreferenziale. Si può facilmente spiegare tale povertà. Ma non serve a niente. Chi ha letto tanti libri vi citerà Hegel, o Keynes; chi sta nell’amministrazione pubblica ha sempre la possibilità di brandire un regolamento; chi sta nel sindacato blatererà (a vanvera) di diritti, che poi c’è sempre una statistica, o un articolo sul New Yorker, o un illuminato parere a sostenere qualunque loro argomentazione.

E così costoro dirigono la nostra vita, da loro conosciuta tenendosene a debita distanza. E noi scemi che perdiamo tempo a leggerli, confutarli, avvertire, urlare nel deserto della ragione.

 

La reciproca inconciliabilità dell’agire umano

31 Dicembre 2021 dc, dal sito Hic Rhodus, 19 Novembre 2021 dc:

La reciproca inconciliabilità dell’agire umano

di Claudio Bezzi

Da un po’ di tempo mi interrogo, su queste pagine, in merito all’irriducibilità di posizioni palesemente insostenibili, come il caso del Covid 19 sta proponendo; la domanda – che mi pare si stiano facendo in molti – è: come diavolo è possibile che, di fronte a questi dati, di fronte a questi fatti, di fronte a tali evidenze scientifiche, un così gran numero di persone continuino a rifiutare il vaccino e a blaterare di dittatura sanitaria?

Di più: com’è possibile che tali posizioni, sia pure fra mille sottili differenze, appartengano anche a persone acculturate?

Il Covid 19 viene qui proposto come esempio attuale di questa divaricazione del pensiero a livello sociale, ma il cuore stesso del populismo pentastellato delle origini, il complottismo, il postfascismo, ma anche il comunismo radicale di Ferrero, la naturopatia e decine di altri esempi, lontani dalla pandemia e anche lontani negli anni, ci portano a buttare via il pensiero cartesiano sull’unicità della realtà.

Le enormi e inconciliabili posizioni su tante questioni non sono un semplice problema di informazione e cultura (anche se entrambi questi fattori, ovviamente, incidono), e proprio la pandemia in corso ce lo dimostra: dopo gli errori (anche comunicativi) iniziali, ormai è un coro di scienziati e di giornali e intellettuali, nella grande maggioranza, a esibire prove, evidenze, numeri e testimonianze bastevoli a far correre chiunque a vaccinarsi ma, con tutta evidenza, così non è, e restano non pochi milioni di italiani che – ormai è chiaro – non andranno mai e poi a farsi l’iniezione se non obbligati e scortati dai carabinieri.

Perché?

Su questo blog abbiamo tentato qualche spiegazione, o accenni iniziali di possibili spiegazioni, e riassumerò alla fine i testi principali. Ma, alla fin fine, al netto di spiegazioni psicoanalitiche, antropologiche, sociologiche e bla bla, occorre constatare, accettare, che la moltitudine umana, per una ragione o per un altra, propone nel suo seno una inconciliabilità fra differenti visioni del mondo, valori da perseguire, comportamenti leciti, priorità e desideri. E questa inconciliabilità forgia, come un potente laminatoio, le credenze religiose, le appartenenze politiche, i comportamenti sociali.

Se un’adeguata e buona scolarizzazione eliminerebbe una parte di fattori esterni all’incomprensione del mondo, se opportune condizioni di socializzazione, di viaggio, buone letture, tutto quello che vi pare, migliorerebbero la reciproca comprensione, resta con tutta evidenza un nucleo irriducibile che non so quanto sia frutto di esperienze pregresse, traumi infantili, circonvoluzioni cerebrali, numero di sinapsi o che cosa ma, sia come sia, non ci fanno vedere il mondo nello stesso modo e, in conseguenza, ci rendono avversari e a volte nemici.

In questa nota provo a fare un riassunto su base grafica.

La rappresentazione grafica dei problemi mi aiuta sempre molto a mettere a fuoco il tema: riprendendo da vecchie suggestioni, immaginiamo che l’agire sociale, e il pensiero che lo sorregge, sia rappresentabile come uno spazio attraversato da due principali dimensioni; quella verticale (che un tempo chiamavo “Razionalismo” vs. “Populismo”) la propongo come “Primato del pensiero sull’azione” vs. “Primato dell’azione del pensiero”; vale a dire razionalismo/irrazionalismo, argomentazione/asserto, riflessione/vitalismo etc.

La dimensione orizzontale riguarda invece il “Primato di Ego sul Mondo” vs. il “Primato del mondo su Ego”, vale a dire: egoismo/altruismo, libertà (individuale)/uguaglianza (collettiva), etc.

Prima che lo diciate voi lo scrivo subito io: sono tutte cose diverse, certo, troppo rigidamente costrette in uno schema un po’ manicheo. Ma, mentre mi accingo a scrivere un testo socio-filosofico di 400 pagine per spiegarmi meglio ed evitare i trabocchetti semantici, vi prego di seguirmi in questa semplificazione.

Quindi, ecco lo schema che useremo:

I quattro quadranti – questa è l’ipotesi – sono reciprocamente irriducibili e antagonisti, anche se si possono formare “alleanze”, su obiettivi precisi e circoscritti, fra persone appartenenti a uno o l’altro quadrante.

Adesso vediamo come funziona (e se funziona) provando a inscrivere nella griglia le principali teorie politiche. A mio modo di vedere (e sempre “grosso modo”), il quadro potrebbe essere più o meno il seguente:

(In questa e nelle prossime figure, i cerchi grandi rossi definiscono, in breve, il quadrante, mentre quelli più piccoli e rosa sono delle esemplificazioni più specifiche).

Mentre il conseguente agire sociale potremmo rappresentarlo così:

A solo titolo di esempio ecco come funzionano le posizioni pro-vax e no-vax:

(Nota mia: WordPress non mi permette – e non so perché -, da qui in poi, di far aprire i link in una nuova scheda del browser, e me ne scuso)

(Sul concetto personalissimo di “Grande Disagio” rimando a un mio precedente pezzo; su alcune evidenti imperfezioni di queste rappresentazioni grafiche chiedo venia, ci sto lavorando).

L’idea di fondo che propongo è quella dell’inconciliabilità, dell’irriducibilità.

Non serve “spiegare” ai no vax che i vaccini sono sicuri e fanno bene, allo stesso modo in cui è piuttosto inutile argomentare a un fascista che quella dottrina politica è infame e antistorica, o a un complottista che la sua è solo paranoia, etc.

C’è, ovviamente, uno spazio, o meglio una strada, che porta l’individuo che dimora in un quadrante a mutare idea e migrare in un altro, ma sono percorsi individuali, piccole e grandi epifanie che si consumano nella storia personale di ciascuno, come l’ateo che scopre dio (o viceversa il cristiano che vi rinuncia), il comunista che diventa liberale (Nota mia: magari anche il liberale che diventa comunista…), il terrapiattista che rinsavisce. A livello sociale, di massa, di analisi sociologica, i quadranti restano piuttosto stabili e generano tipologie piuttosto caratterizzate che possiamo così riassumere:

Scusate se mi ripeto: è solo un primo tentativo di esemplificazione, è inutile andare a cercare le proprie (presunte) caratteristiche per vedere in quale quadrante si sia finiti; si tratta di tipi ideali, generici, astratti, descritti in prima approssimazione per finalità meramente espositive.

Cosa fare quindi sapendo che non c’è nulla da fare?

Due cose: la prima è comunque la strada dell’educazione, istruzione, buona informazione, che da sola farebbe venire il mal di testa a chiunque perché, per varie ragioni, si tratta di obiettivi giganteschi e difficili da perseguire (un esempio su tutti: come evitare la cattiva circolazione di notizie false su Facebook? Chiediamo a Zuckerberg di starci più attento?).

La seconda cosa, in democrazia, si chiama potere e responsabilità della decisione, è importante ma pericolosa. Vale a dire: se anche una parte di popolazione crede che il virus sia una sciocchezza, che il vaccino faccia male, e che sia giusto curarsi con l’ivermectina perché sul gruppo telegram dicono che è meglio, dopo avere dato fondo a ogni opzione di corretta informazione, tentativo di persuasione, etc., semplicemente si decide, col potere costituzione ed entro i suoi limiti, quello che si reputa meglio.

Per essere chiari: nell’ultimo anno – dopo errori iniziali – così sta facendo il nostro governo e fa bene.

Poi, ovvio, qualcuno può ritenere che il governo dovrebbe obbligare alla vaccinazione, qualcun altro pensa invece che si dovrebbero allentare un pochino gli obblighi in merito al green pass, eccetera, ma non importa. Il governo guarda attentamente ai dati del monitoraggio pandemico, ascolta la comunità scientifica e prende decisioni razionali, avendo anche attenzione a non inasprire il conflitto sociale e non infilarsi in un cul de sac affrontabile, poi, solo coi carabinieri.

Perché ho comunque definito “pericolosa” questa ovvia opzione democratica? Perché non sono così sciocco da pensare che al governo ci sia sempre, necessariamente, qualcuno che cerca di ragionare sensatamente: il governo Meloni-Salvini potrebbe diventare una realtà a breve, ed è ragionevole pensare che, pur ammorbidendo le fanfaronate pronunciate per strizzare l’occhio agli idioti che li votano, potrebbe proporre politiche sanitarie molto diverse e perfino controproducenti.

Ecco allora che torna dalla finestra quel discorso culturale che avevamo frettolosamente fatto uscire dalla porta. L’istruzione, la cultura, la corretta informazione, etc., non servono direttamente per convincere i no vax, ma indirettamente per garantirci, anche in futuro, dei governi accettabilmente ragionevoli, sufficientemente razionalisti, per lo più capaci di ascoltare gli scienziati e via discorrendo.

Per approfondire alcuni di questi argomenti. Il tema della complessità sociale resta fondamentale come premessa:

Le conseguenze della complessità a livello individuale, la spiegazione del fatto che agiamo differentemente, a volte in maniera contraddittoria, la trovate accennata qui:

Sulla necessità di superare il bipolarismo destra-sinistra, che non spiega più bene la complessità politica e sociale contemporanea, ho scritto una serie collegata di tre testi:

Sulla mentalità dei no vax ho scritto questi:

Sullo specifico caso di intellettuali irrazionalisti (Cacciari, Agamben i casi più noti riguardo l’ambiguità sui vaccini e i green pass, ma il tema è ovviamente più ampio) segnalo:

Interessanti sviluppi giuridici a Reggio Calabria su aborto e libertà

Su Italialaica 21 Febbraio 2021 dc:

Interessanti sviluppi giuridici a Reggio Calabria su aborto e libertà

di Marco Comandè

Ha fatto scalpore la decisione del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, di oscurare i manifesti contro l’aborto affissi dalle associazioni Pro-Life, sui quali era stata pubblicizzata la frase: “Il corpo di mio figlio NON è il mio corpo. Sopprimerlo NON è una mia scelta. #stopaborto”.

La conseguenza, come è naturale in una società civile, è stata il ricorso al tribunale di Stato, dove si dovranno chiarire i punti controversi della questione.

Considerazioni extra-giudiziarie si possono comunque elaborare, partendo proprio dalla decisione di portare Falcomatà in un tribunale laico, dove è noto che l’iter giudiziario è del tipo di quello che aveva sentenziato il diritto di Beppino Englaro di far interrompere le cure alla figlia Eluana.

Senza dover ricamare per l’ennesima volta la retorica pro o contro l’ingerenza della laicità sulla sfera religiosa, sarebbe doveroso riconoscere una volta per tutte che i principi della laicità e della convivenza umana non coincidono con i precetti religiosi, in quanto hanno metodologie diverse per interpretare la realtà del vissuto: materialistica per un laico e spirituale per un credente.

O, per condurre il ragionamento agli estremi della retorica e della vis polemica che tanto piace al popolo dei social, se l’etica religiosa potesse imporsi in quanto non contraria all’etica laica, allora perché i principi religiosi non dovrebbero sottomettersi alle norme laiche, proprio in virtù della non discordanza dei primi sulle seconde?

La domanda improvvisamente fa scattare il riflesso condizionato sulle affermazioni estreme contro la “tirannia dei tribunali civili” in nome dei “principi non negoziabili”.

Ma cerchiamo di concedere la buona fede (in senso civile) agli operatori di fede (in senso religioso) e riconsideriamo la diatriba tra scienza e prodigio divino, facendo finta che tutti siano concordi sull’affermazione che “la materia è stata creata per mezzo di Dio e dunque non è impura”.

Dunque l’argomento del contendere è la definizione di embrione come individuo dotato di pieni diritti civili. Da dove parte l’affermazione? Consultando i manuali religiosi, cristiani e non, parrebbe che i paladini pro-life abbiano abbandonato la propaganda sul soffio divino che impegna la carne donandole l’anima. Sarebbe interessante domandarsi se la decisione sia correlata al fatto che il “soffio divino” dia il là alle credenze eretiche dell’animismo non cristiano, laddove si crede siano gli spiriti a far muovere la materia donandole la vita vegetale ed animale, ma proviamo di nuovo ad essere obiettivi, concedendo che i nemici dell’aborto partano dall’argomento che l’embrione è vitale in quanto contenente il DNA unico ed irripetibile rimarcato dalla scienza, o meglio che abbiano adattato il proprio linguaggio al positivismo scientista che impregna la società moderna.

Ci sarebbe spazio per domandarsi se l’argomentazione strimpellata non sia controproducente per il credente, in quanto il DNA è l’oggetto principale dello studio della teoria darwiniana dell’evoluzione. Nemmeno l’affermazione di “DNA unico ed irripetibile” è tecnicamente corretta, se si considera che non sono rari i casi di gemelli omozigoti nati dalla scissione del singolo embrione. Un embrione, due persone. Suona bene come slogan, ma evidenzia ancora di più il divario tra il concepimento in grembo materno ed il riconoscimento dello stato civile all’individuo: finché l’embrione non è formato (al quattordicesimo giorno, secondo la metodologia scientista, materialista, relativista, edonistica, evoluzionistica, atea: in una parola, laica), non è possibile concedere la certezza giuridica di “individuo con pieni poteri”; infatti per il codice civile (laico) lo stato civile si acquisisce con la nascita, non con il concepimento.

Ad aggravare la diatriba è la considerazione che i gemelli omozigoti possono trovarsi nella condizione non invidiabile di essere anche gemelli siamesi, in cui la duplicazione dell’embrione dotato di DNA “unico e NON irripetibile” non produce una perfetta scissione in due individui dotati di piena autonomia fisica. In termini grezzi, lo sviluppo delle due cellule embrionali fino allo stato di feti avviene quando una parte del corpo viene condivisa da entrambi i gemelli siamesi: un braccio, un addome, un cuore…

Finché non si tratta di organi vitali detenuti in comune, i due gemelli siamesi possono essere separati con un intervento chirurgico.

Ma negli altri casi i medici si trovano realmente a dover scegliere quale dei due gemelli siamesi far sopravvivere, senza che la propaganda pro-life possa marchiare l’affermazione con il termine “egoisticamente”.

A questo punto è obbligatorio rammentare che la sentenza della Corte Costituzionale di rendere legittimo l’aborto, nell’Italia post-fascista, fa riferimento alla situazione di due corpi attaccati per mezzo di cellule carnose (il cordone ombelicale) ed in cui uno dei due (la madre) si trova in condizioni di salute precarie (magari un tumore o un rischio emorragie, o anche depressione). La situazione, checché ne dicano i fondamentalisti cristiani, è reale quanto quella dei gemelli siamesi accomunati da organi vitali.

Il manifesto censurato dal sindaco Falcomatà non accenna affatto a questa possibilità, rendendo vacua la retorica sulla difesa della vita con ogni mezzo. Se si fosse scelto un approccio laico e non confessionale, il manifesto pro-life avrebbe invitato i cittadini (le donne) a conoscere gli aspetti della legge 194 rimasti ignorati: la possibilità di ricorrere ad un consultorio o di chiedere sovvenzioni dallo Stato.

E l’approccio giuridico avrebbe evidenziato un’altra similitudine con le norme che Salvini tenacemente aveva difeso nel primo governo Conte: il diritto di sparare a qualcuno che entra in una proprietà privata.

Siamo buoni ed evitiamo l’approccio brutale con la domanda: se la vita va difesa ad ogni costo, non dovrebbe valere anche per i casi di violazione della proprietà privata? Gli avvocati sanno che le questioni legali sono basate sulle sottigliezze del diritto civile e penale, roba da azzeccagarbugli incalliti. Sarebbe anche ovvio: se il diritto fosse alla portata di tutti, i cittadini non avrebbero bisogno di avvocati!

Dunque, la sottigliezza dei decreti Salvini sulla sicurezza non sta nel diritto di sparare all’intruso. Come avevano ripetuto alla noia i giornalisti e gli esperti intervistati a spron battente, il diritto di sparare “per legittima difesa” è da sempre riconosciuto e non c’era bisogno di Salvini per rimarcarlo. Sarebbe quello stesso diritto associato alla donna cagionevole di salute e che abortisce.

Il problema è che sparare senza lo stato di immediato pericolo non è affatto una legittima difesa! La differenza con lo stato di gravidanza sta qui: la sentenza costituzionale, sopra ricordata, evidenzia che lo stato di rischio della madre non è una questione di “pericolo di salute immediato ed evidente”, in quanto non è possibile prevedere come può protrarsi la gravidanza e la salute può benissimo peggiorare in seguito.

Di qui la raccomandazione della Corte Costituzionale al legislatore affinché trovi una soluzione che possa consentire l’aborto libero senza ledere i diritti del feto: fino a tre mesi l’aborto è libero mentre, dopo, l’interruzione di gravidanza può essere portata a termine solo se lo stato di rischio per la donna è evidente, e solo in un ospedale pubblico.

Il problema a questo punto è che lo status dei tre mesi non è scientifico ma giuridico: è arbitrario, perché non consente di considerare lo status di embrione che nelle prime due settimane si sviluppa in un concepimento di gemelli omozigoti ed in un parto di gemelli siamesi. Esistono pillole abortive di vario tipo che regolano questo stato embrionale: per puro caso, i sostenitori pro-life così sfacciatamente ignoranti sulle sottigliezze del diritto laico tra “rivolgersi al consultorio” e “dare pieni diritti all’embrione”, improvvisamente si rivelano esperti in materia imponendo alle donne che usano le pillole abortive di andare in un ospedale pubblico.

Da laici che non si intromettono nell’autonomia ed indipendenza dei giudici civili non sappiamo come andrà a finire la diatriba in tribunale tra un’istituzione civile (il sindaco) ed una formazione sociale riconosciuta dalla Costituzione (l’associazione religiosa).

Ma le considerazioni emerse sopra stuzzicano il desiderio di capire in che modo il diritto civile riesca a far incastrare le tessere sullo status civile “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” come da art. 3 della Carta Costituzionale.

“Perché, da iraniana, ho sofferto nel vedere il velo sul palco delle sardine”

Ottimo articolo su Micromega, 19 Dicembre 2019 dc:

“Perché, da iraniana, ho sofferto nel vedere il velo sul palco delle sardine”

“Perché gran parte di voi femministe e persone di sinistra date sempre la parola solo alle donne musulmane col velo? Perché non date mai voce a tutte quelle donne che ogni giorno lottano per toglierselo il velo, in Italia e nel mondo?”. L’accorato appello di una donna iraniana che vive in Italia e che afferma: “Se volete chiamarmi islamofoba avete il mio permesso, perché io ho una vera fobia dell’islam. L’islam mi ha fatto sempre male. Sia quando vivevo in Iran, sia adesso che sono qui in Italia”.
di Atussa Tabrizi

Mi chiamo Atussa, sono una donna, sono iraniana e sono atea.

Quello che ho visto una settimana fa sul palco delle sardine a Roma mi ha fatto male, come quando in Iran sono stata arrestata dalla polizia morale perché non ero vestita adeguatamente (avevo una sciarpa sui capelli).

Non sono sicura se le sardine hanno intenzione di lottare per la laicità o vogliono solo andare contro il razzismo di persone come Meloni e Salvini, ma chiaramente non hanno nessuna idea di cosa sia la laicità dello Stato. Vanno contro croci e madonne di Salvini e Meloni con il velo e con pensieri oscurantisti.

Il velo per me, in quanto donna iraniana, è simbolo di oppressione, simbolo del male.

Non so cosa pensavano le sardine quando hanno deciso di presentare Nibras Asfa come un simbolo di laicità contro Meloni e Salvini, ma chiedo loro se non potevano dare voce a un’altra donna. Una donna – italiana o straniera – che crede nella laicità e nella libertà delle donne.

Se voi, sardine, come la maggior parte delle persone di sinistra e delle femministe italiane, pensate davvero che sostenere una donna col velo significa sostenere la sua libertà, state sbagliando.

È vero che ci sono persone come Meloni e Salvini che non vedono bene le donne con il velo, ed è vero che le donne con il velo vengono disturbate per strada nei Paesi occidentali, ma non dobbiamo e non dovete dimenticare che nei Paesi musulmani le donne che decidono di mettere il velo sono la minoranza, se non proprio inesistenti.

La maggioranza delle donne sono obbligate a metterlo, e non appena ne hanno l’occasione se lo tolgono.

Guardate il mio Paese per esempio, guardate come le donne tolgono il velo sapendo che saranno arrestate e condannate al carcere o anche peggio.

Guardate le donne in Arabia Saudita che con quella piccola, finta libertà che hanno ottenuto ultimamente la prima cosa che fanno è togliere il velo.

Guardate le donne come Ayan Hirsi Ali. Perché la maggior parte di voi femministe e di sinistra non parla mai di queste donne ma invece sempre, dico SEMPRE, delle donne musulmane col velo. Perché non date mai voce a una donna di origine straniera contro il velo e contro l’islam? Perché non sostenete mai queste persone?

Sicuramente andare contro il cristianesimo di Salvini e Meloni scegliendo l’islam è la scelta più sbagliata. Non si può lottare per la laicità presentando una donna musulmana, come non si può farlo con una suora cristiana. Se volete andare avanti a lottare contro i pensieri oscurantisti di Salvini e Meloni, l’islam non è la scelta giusta.

donne musulmane che credono nella laicità e vogliono cambiare qualcosa per le donne dovrebbero sostenere le donne che lottano per la libertà in Paesi come Arabia Saudita, Iran, Indonesia.

E invece spesso le donne che non mettono il velo sono considerate contro l’islam, blasfeme, non modeste e addirittura prostitute. E chi critica l’islam è considerato islamofobo e razzista.

La parola islamofobia è stata inventata dai musulmani con il supporto di una grande parte delle persone di sinistra per collegare subito qualsiasi tipo di critica contro l’islam al razzismo.

Mentre, come sappiamo, essere musulmano non è una caratteristica di un gruppo di persone legata a una “razza”.

Se volete chiamarmi islamofoba avete il mio permesso, perché io veramente ho una fobia dell’islam, perché l’islam mi ha fatto sempre male. Sia quando vivevo in Iran, sia adesso che sono qui in Italia.

Peggio di tutto questo è presentare tutte le donne immigrate come donne simili a Nibras Asfa, mentre anche qui in Italia tante donne immigrate soffrono e lottano per la loro libertà fuori dalla gabbia dell’islam e del velo.

Mie care sardine, se volete fare i veri rivoluzionari, se volete cambiare qualcosa, non dovete dare precedenza alle donne col velo, ma esattamente al contrario dovete dare spazio alle donne che lottano per i loro diritti, nei Paesi in cui anche lottare per un proprio diritto è punibile, e dovete imparare da loro come si lotta contro qualsiasi tipo di oscurantismo.

Voglio concludere ripetendo quello che ho detto all’inizio: mi chiamo Atussa, sono orgogliosamente una donna, sono iraniana, sono atea e sono orgogliosamente contro l’islam e il velo.

 

Per un’iniziativa unitaria di mobilitazione contro il governo Conte di tutte le sinistre di opposizione

In e-mail l’8 Settembre 2019 dc:

Per un’iniziativa unitaria di mobilitazione contro il governo Conte di tutte le sinistre di opposizione

A: Potere al Popolo, Sinistra Anticapitalista, Lotta Comunista, Partito Comunista, Sinistra Classe Rivoluzione, Partito Comunista Italiano

A: Il sindacato è un’altra cosa-opposizione CGIL, Confederazione Unitaria di Base, Sindacato Generale di Base, Sindacato Intercategoriale Cobas, Unione Sindacale di Base, Confederazione Cobas, Unione Sindacale Italiana

Il governo Conte bis nasce sotto il segno poteri forti, nazionali e internazionali. Un governo salutato dall’entusiasmo della Borsa e del capitale finanziario, e al tempo stesso sostenuto dai principali sindacati, dalla sinistra parlamentare (Sinistra Italiana), e in parte, seppur criticamente, dal PRC. Tutto ciò designa uno scenario politico nuovo.

Il programma reale del governo PD-M5S è il riflesso della sua natura sociale: privilegiamento degli interessi europeisti della grande impresa, concertazione con la burocrazia sindacale, consolidamento dell’asse atlantista in politica estera, sostegno attivo agli interessi specifici dell’imperialismo italiano, innanzitutto in Africa. Le stesse rivendicazioni democratiche dei movimenti di opposizione a Salvini (sociali, antirazzisti, femministi, ambientalisti) sono destinate ad essere cestinate, mentre la compromissione nel governo o attorno al governo della sinistra politica e sindacale (CGIL) lascerà a Salvini il monopolio dell’opposizione e uno spazio obiettivo di rivincita.

Il nostro partito si colloca senza riserve all’opposizione del nuovo governo. Per questo sosterremo ogni iniziativa di lotta del movimento operaio e dei movimenti sociali e democratici, a difesa della loro autonomia, contro ogni logica di subordinazione all’esecutivo. In questo quadro appoggiamo l’azione di sciopero generale promosso da CUB, SGB, SI Cobas, USI per il 25 ottobre, e riteniamo sarebbe importante la massima convergenza unitaria di tutto il sindacalismo di classe attorno a questa iniziativa, contro ogni logica di frammentazione e concorrenza tra sigle.

Più in generale consideriamo importante la più ampia unità d’azione delle sinistre di opposizione sul terreno dell’opposizione al governo. Abbiamo bisogno di costruire una vera unità d’azione dell’opposizione di classe. Per questo proponiamo, in tempi brevi, un incontro nazionale delle sinistre di opposizione che discuta e definisca l’agenda comune delle iniziative di mobilitazione e di lotta contro il governo.

Non si tratta ovviamente di risolvere divergenze di impostazione strategica che hanno una radice nella storia del movimento operaio e che si sono in questi anni consolidate, né dunque si tratta per parte nostra di perseguire aggregazioni politiche confuse basate sulla rimozione di tali divergenze. Rivendichiamo la nostra autonomia quanto rispettiamo l’autonomia altrui. Ciò che proponiamo invece è combinare la massima chiarezza del confronto con la massima unità sul piano dell’azione comune contro il governo e il padronato, facendo dell’opposizione di classe e di massa al governo il terreno centrale di unità d’azione, fuori e contro ogni logica settaria.

Pensiamo che un coordinamento nazionale unitario delle sinistre di opposizione potrebbe rappresentare un punto di riferimento comune per migliaia di militanti e attivisti di diversa collocazione, ed anche un fattore di incoraggiamento e valorizzazione delle loro disponibilità di lotta.

Su questa proposta contatteremo direttamente le vostre organizzazioni per verificare le concrete disponibilità. Per parte nostra siamo naturalmente disponibili a convergere su iniziative da altri proposte che abbiano la stessa logica e finalità unitaria.

Partito Comunista dei Lavoratori