Il diritto all’aborto è un diritto di tutti

04 Ottobre 2022 dc, da Hic Rhodus, 26 Giugno 2022 dc:

Il diritto all’aborto è un diritto di tutti

di Ottonieri

La notizia la conosciamo tutti (ed è molto ben riportata in questo articolo del Post): la Corte Suprema degli USA ha deliberato che l’aborto non può più essere considerato un diritto costituzionale, capovolgendo le precedenti sentenze chiamate Roe contro Wade e Planned Parenthood contro Casey, che riconoscevano l’aborto come implicitamente compreso nei diritti previsti dal Quattordicesimo Emendamento della Costituzione, che tra l’altro recita «Nessuno Stato farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti; né potrà qualsiasi Stato privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge».

L’attuale Corte Suprema, nella sua delibera, afferma che (la traduzione è mia) «La Costituzione non fa alcun esplicito riferimento al diritto di ottenere un aborto […] La Corte ritiene che il diritto a ottenere un aborto non sia profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della Nazione […] Guidata dalla storia e dalla tradizione che tracciano le componenti essenziali del concetto nazionale di libertà ordinata, la Corte considera che il Quattordicesimo Emendamento chiaramente non protegge il diritto all’aborto». In sostanza, secondo la Corte, il concetto di libertà protetto dal Quattordicesimo Emendamento non include l’aborto, come invece lo si era inteso nel caso Casey, in cui la Corte aveva inteso quel concetto come libertà di compiere «scelte intime e personali, centrali per la dignità e l’autonomia della persona». Per l’attuale Corte Suprema, se la Costituzione proteggesse un concetto troppo ampio di libertà, questo potrebbe finire per includere cose come l’uso di droghe illegali o la prostituzione (Dio non voglia!). Di conseguenza, la Corte conclude che «La Costituzione non impedisce ai cittadini di ciascuno Stato di regolare o proibire l’aborto. Le sentenze Roe contro Wade e Planned Parenthood contro Casey si arrogavano questo diritto. La Corte le cancella e restituisce questa autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti».

Questa delibera è stata votata dai giudici Samuel Alito (nominato da George W. Bush), Clarence Thomas (nominato da George Bush), Neil Gorsuch (nominato da Donald Trump), Amy Barrett (nominata da Donald Trump) e Brett Kavanaugh (nominato da Donald Trump), mentre il giudice John Roberts, presidente della Corte a suo tempo nominato da George W. Bush, ha espresso un separato parere intermedio. I giudici nominati da Bill Clinton e Barack Obama hanno votato contro.

Quali effetti ha questa decisione? Almeno dal punto di vista di un europeo, un caos. Ogni Stato degli USA può ora avere una diversa normativa, e ci sono diversi Stati che avevano in realtà già approvato leggi restrittive dell’aborto che erano state bloccate perché incostituzionali secondo la precedente interpretazione. Queste leggi saranno quindi “sbloccate”, mentre in altri casi si tornerà alla legislazione precedente, e in altri ancora invece resteranno in vigore leggi favorevoli all’aborto già approvate e ovviamente ancora valide. Questa situazione è efficacemente rappresentata nella figura qui sotto, tratta da un utile articolo di Politico.com:

Situazione normativa sull’aborto dopo la delibera della Corte Suprema. Fonte: http://www.politico.com

Ebbene, cosa dobbiamo pensare di questa sentenza? Chiaramente, una lettura “semplice”, e certamente non errata, è che essa sia la naturale conseguenza delle forzature messe in atto da Trump per assicurarsi una maggioranza Repubblicana e dichiaratamente conservatrice nella Corte Suprema.

C’era effettivamente da aspettarsi che alla prima occasione questa maggioranza che è difficile non chiamare retriva ribaltasse la questione più controversa e simbolica su cui la Corte si sia mai espressa. Questa, c’è poco da fare, è una sentenza politica. E, purtroppo, l’oscurantismo politico di questa maggioranza della Corte non si fermerà facilmente qui, a meno che una reazione popolare violenta non sconsigli i giudici dall’attaccare anche altri diritti. Il giudice Clarence Thomas ha scritto, in una sua opinione individuale, che la Corte in futuro «dovrebbe riconsiderare» altre sentenze precedenti a favore di diritti alla contraccezione, alle relazioni e ai matrimoni omosessuali.

A una sentenza politica è certamente necessario opporre una reazione politica, e questo accadrà in USA. Lo stesso Presidente Biden ha commentato la decisione della Corte definendola «crudele» verso le donne e invitando l’elettorato democratico a una mobilitazione. Eppure, è evidente che un’analoga mobilitazione non mancherà neanche tra le file più conservatrici del Partito Repubblicano, galvanizzate dalla vittoria in una battaglia multidecennale. La divisione politica su un diritto è già di per sé una sconfitta di chi considera questo diritto universale.

Ci si deve quindi porre una questione più complessa: come mai in una società come quella USA, in cui il movimento MeToo ha imperversato colpendo senza prove e senza processi personalità e celebrità, in cui la political correctness detta legge fino al punto da far dichiarare a Tom Hanks «non credo che oggi la gente accetterebbe l’inautenticità di un eterosessuale che recita la parte di un omosessuale», come mai, dunque, è possibile che venga colpito un diritto così essenziale per la causa femminile, e che questo avvenga tra il giubilo di una parte rilevante della popolazione? Davvero, nel profondo, gli americani sono in buona parte bigotti e sciovinisti, e quelle che noi vediamo sono solo manifestazioni parziali e superficiali di una parte “progressista” che ha potere ma che non rappresenta tutti?

Forse sì. Ma io credo che il problema sia anche un altro.

Noi di Hic Rhodus abbiamo già parlato di aborto, non relativamente agli Stati Uniti, ma a come, in Italia, sia un diritto subdolamente contrastato e nei fatti ampiamente negato a causa di una legge sull’obiezione di coscienza che andrebbe cancellata oggi. Il peso insopportabile dell’influenza vaticana su questo Paese non è certo una novità, eppure gli pseudo-movimenti “pro-vita” in Italia non hanno il rilievo e la visibilità che hanno in USA, dove oltretutto la maggioranza degli attivisti antiabortisti è di sesso femminile. L’ipocrisia della cosiddetta “obiezione di coscienza” da noi è un efficace mezzo contro quello che l’ampia maggioranza della popolazione considera un diritto fondamentale.

L’aborto non è, e non deve essere visto come, un diritto delle donne. L’aborto è uno dei casi in cui si attua il diritto fondamentale di tutti noi a disporre liberamente di noi stessi. Quando si tratta di una scelta fondamentale per la propria vita come diventare un genitore, e di un impegno personale che per tanti mesi trasforma radicalmente e condiziona il proprio corpo, la libertà personale è l’unica fonte legittima di decisione. Far riconoscere questo diritto non è una battaglia femminista, ma liberale, e la sua accettazione è parte del mio diritto a essere libero, chiunque io sia. Questo è ciò che accomuna, e deve accomunare, il riconoscimento del diritto all’aborto, al matrimonio omosessuale, all’eutanasia: non come diritto delle donne, degli omosessuali, dei malati, ma come parte integrante di un unico diritto, di tutti.

Anche per questo, abbiamo preso più volte posizione contro, invece, la pretesa di stampo politically correct di imporre “diritti speciali” per ciascuna categoria, quel tipo di pretesa che sta dietro la dichiarazione di Tom Hanks che ho citato prima. Diritti “speciali” non ne esistono, e la loro rivendicazione in nome dell’inclusività crea esattamente l’opposto, nicchie “esclusive” di ricerca di rendite di posizione, vincenti o perdenti a seconda dei rapporti di forza. E la frammentazione della nozione di “diritto” è antitetica alla rivendicazione dei diritti “veri”, che come tali sono uguali per tutti e si declinano nelle diverse condizioni in cui ciascuno di noi si trova.

Il diritto all’aborto non è una questione di parte, o di genere. È un principio sul quale tutti abbiamo motivo di concordare e che tutti abbiamo ragione di difendere, indipendentemente dalla politica e anche dalla religione. Averlo sottratto a questa universalità e declassato a questione politica, da regolare “democraticamente”, è il misfatto fondamentale commesso dalla Corte Suprema.

La mobilitazione che oggi è necessaria, non solo in USA, a causa di questa sentenza sarà vincente solo se saprà recuperare questa dimensione universale dell’ aborto come parte dei diritti umani.

Interessanti sviluppi giuridici a Reggio Calabria su aborto e libertà

Su Italialaica 21 Febbraio 2021 dc:

Interessanti sviluppi giuridici a Reggio Calabria su aborto e libertà

di Marco Comandè

Ha fatto scalpore la decisione del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, di oscurare i manifesti contro l’aborto affissi dalle associazioni Pro-Life, sui quali era stata pubblicizzata la frase: “Il corpo di mio figlio NON è il mio corpo. Sopprimerlo NON è una mia scelta. #stopaborto”.

La conseguenza, come è naturale in una società civile, è stata il ricorso al tribunale di Stato, dove si dovranno chiarire i punti controversi della questione.

Considerazioni extra-giudiziarie si possono comunque elaborare, partendo proprio dalla decisione di portare Falcomatà in un tribunale laico, dove è noto che l’iter giudiziario è del tipo di quello che aveva sentenziato il diritto di Beppino Englaro di far interrompere le cure alla figlia Eluana.

Senza dover ricamare per l’ennesima volta la retorica pro o contro l’ingerenza della laicità sulla sfera religiosa, sarebbe doveroso riconoscere una volta per tutte che i principi della laicità e della convivenza umana non coincidono con i precetti religiosi, in quanto hanno metodologie diverse per interpretare la realtà del vissuto: materialistica per un laico e spirituale per un credente.

O, per condurre il ragionamento agli estremi della retorica e della vis polemica che tanto piace al popolo dei social, se l’etica religiosa potesse imporsi in quanto non contraria all’etica laica, allora perché i principi religiosi non dovrebbero sottomettersi alle norme laiche, proprio in virtù della non discordanza dei primi sulle seconde?

La domanda improvvisamente fa scattare il riflesso condizionato sulle affermazioni estreme contro la “tirannia dei tribunali civili” in nome dei “principi non negoziabili”.

Ma cerchiamo di concedere la buona fede (in senso civile) agli operatori di fede (in senso religioso) e riconsideriamo la diatriba tra scienza e prodigio divino, facendo finta che tutti siano concordi sull’affermazione che “la materia è stata creata per mezzo di Dio e dunque non è impura”.

Dunque l’argomento del contendere è la definizione di embrione come individuo dotato di pieni diritti civili. Da dove parte l’affermazione? Consultando i manuali religiosi, cristiani e non, parrebbe che i paladini pro-life abbiano abbandonato la propaganda sul soffio divino che impegna la carne donandole l’anima. Sarebbe interessante domandarsi se la decisione sia correlata al fatto che il “soffio divino” dia il là alle credenze eretiche dell’animismo non cristiano, laddove si crede siano gli spiriti a far muovere la materia donandole la vita vegetale ed animale, ma proviamo di nuovo ad essere obiettivi, concedendo che i nemici dell’aborto partano dall’argomento che l’embrione è vitale in quanto contenente il DNA unico ed irripetibile rimarcato dalla scienza, o meglio che abbiano adattato il proprio linguaggio al positivismo scientista che impregna la società moderna.

Ci sarebbe spazio per domandarsi se l’argomentazione strimpellata non sia controproducente per il credente, in quanto il DNA è l’oggetto principale dello studio della teoria darwiniana dell’evoluzione. Nemmeno l’affermazione di “DNA unico ed irripetibile” è tecnicamente corretta, se si considera che non sono rari i casi di gemelli omozigoti nati dalla scissione del singolo embrione. Un embrione, due persone. Suona bene come slogan, ma evidenzia ancora di più il divario tra il concepimento in grembo materno ed il riconoscimento dello stato civile all’individuo: finché l’embrione non è formato (al quattordicesimo giorno, secondo la metodologia scientista, materialista, relativista, edonistica, evoluzionistica, atea: in una parola, laica), non è possibile concedere la certezza giuridica di “individuo con pieni poteri”; infatti per il codice civile (laico) lo stato civile si acquisisce con la nascita, non con il concepimento.

Ad aggravare la diatriba è la considerazione che i gemelli omozigoti possono trovarsi nella condizione non invidiabile di essere anche gemelli siamesi, in cui la duplicazione dell’embrione dotato di DNA “unico e NON irripetibile” non produce una perfetta scissione in due individui dotati di piena autonomia fisica. In termini grezzi, lo sviluppo delle due cellule embrionali fino allo stato di feti avviene quando una parte del corpo viene condivisa da entrambi i gemelli siamesi: un braccio, un addome, un cuore…

Finché non si tratta di organi vitali detenuti in comune, i due gemelli siamesi possono essere separati con un intervento chirurgico.

Ma negli altri casi i medici si trovano realmente a dover scegliere quale dei due gemelli siamesi far sopravvivere, senza che la propaganda pro-life possa marchiare l’affermazione con il termine “egoisticamente”.

A questo punto è obbligatorio rammentare che la sentenza della Corte Costituzionale di rendere legittimo l’aborto, nell’Italia post-fascista, fa riferimento alla situazione di due corpi attaccati per mezzo di cellule carnose (il cordone ombelicale) ed in cui uno dei due (la madre) si trova in condizioni di salute precarie (magari un tumore o un rischio emorragie, o anche depressione). La situazione, checché ne dicano i fondamentalisti cristiani, è reale quanto quella dei gemelli siamesi accomunati da organi vitali.

Il manifesto censurato dal sindaco Falcomatà non accenna affatto a questa possibilità, rendendo vacua la retorica sulla difesa della vita con ogni mezzo. Se si fosse scelto un approccio laico e non confessionale, il manifesto pro-life avrebbe invitato i cittadini (le donne) a conoscere gli aspetti della legge 194 rimasti ignorati: la possibilità di ricorrere ad un consultorio o di chiedere sovvenzioni dallo Stato.

E l’approccio giuridico avrebbe evidenziato un’altra similitudine con le norme che Salvini tenacemente aveva difeso nel primo governo Conte: il diritto di sparare a qualcuno che entra in una proprietà privata.

Siamo buoni ed evitiamo l’approccio brutale con la domanda: se la vita va difesa ad ogni costo, non dovrebbe valere anche per i casi di violazione della proprietà privata? Gli avvocati sanno che le questioni legali sono basate sulle sottigliezze del diritto civile e penale, roba da azzeccagarbugli incalliti. Sarebbe anche ovvio: se il diritto fosse alla portata di tutti, i cittadini non avrebbero bisogno di avvocati!

Dunque, la sottigliezza dei decreti Salvini sulla sicurezza non sta nel diritto di sparare all’intruso. Come avevano ripetuto alla noia i giornalisti e gli esperti intervistati a spron battente, il diritto di sparare “per legittima difesa” è da sempre riconosciuto e non c’era bisogno di Salvini per rimarcarlo. Sarebbe quello stesso diritto associato alla donna cagionevole di salute e che abortisce.

Il problema è che sparare senza lo stato di immediato pericolo non è affatto una legittima difesa! La differenza con lo stato di gravidanza sta qui: la sentenza costituzionale, sopra ricordata, evidenzia che lo stato di rischio della madre non è una questione di “pericolo di salute immediato ed evidente”, in quanto non è possibile prevedere come può protrarsi la gravidanza e la salute può benissimo peggiorare in seguito.

Di qui la raccomandazione della Corte Costituzionale al legislatore affinché trovi una soluzione che possa consentire l’aborto libero senza ledere i diritti del feto: fino a tre mesi l’aborto è libero mentre, dopo, l’interruzione di gravidanza può essere portata a termine solo se lo stato di rischio per la donna è evidente, e solo in un ospedale pubblico.

Il problema a questo punto è che lo status dei tre mesi non è scientifico ma giuridico: è arbitrario, perché non consente di considerare lo status di embrione che nelle prime due settimane si sviluppa in un concepimento di gemelli omozigoti ed in un parto di gemelli siamesi. Esistono pillole abortive di vario tipo che regolano questo stato embrionale: per puro caso, i sostenitori pro-life così sfacciatamente ignoranti sulle sottigliezze del diritto laico tra “rivolgersi al consultorio” e “dare pieni diritti all’embrione”, improvvisamente si rivelano esperti in materia imponendo alle donne che usano le pillole abortive di andare in un ospedale pubblico.

Da laici che non si intromettono nell’autonomia ed indipendenza dei giudici civili non sappiamo come andrà a finire la diatriba in tribunale tra un’istituzione civile (il sindaco) ed una formazione sociale riconosciuta dalla Costituzione (l’associazione religiosa).

Ma le considerazioni emerse sopra stuzzicano il desiderio di capire in che modo il diritto civile riesca a far incastrare le tessere sullo status civile “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” come da art. 3 della Carta Costituzionale.

Niente aborto sicuro in Lombardia. Non è una regione che rispetta le donne.

In e-mail il 25 Febbraio 2021 dc:

Niente aborto sicuro in Lombardia. Non è una regione che rispetta le donne.

La maggioranza consiliare di centro destra ha bocciato il testo di una legge popolare dal Titolo “Aborto sicuro”che aveva raccolto più di 8000 firme per rendere più agevole e civile l’applicazione della Legge 194 per la interruzione di gravidanza.

Essa trova ancora tanti ostacoli, a partire dalla obiezione di coscienza, (70% dei medici  coinvolti)dalla restrizione dei servizi dei consultori pubblici e il proliferare di quelli privati pro-life, per non parlare delle organizzazioni antiabortiste che illegittimamente agiscono anche all’interno delle strutture ospedaliere per convincere le donne a non abortire.

La legge non era particolarmente eversiva, ma un accurato regolamento che cercava semplicemente di rendere meno difficoltoso il percorso delle donne che non vogliono portare a termine la gravidanza. Prevedeva tra l’altro che:

-in ogni consultorio si mettessero a disposizione tutte le informazioni su Ivg e si potesse prenotare per qualsiasi sede regionale ospedaliera dove si pratica l’aborto senza costringere le donne a ricerche infinite;

-si fornissero alle donne che abortiscono anticoncezionali gratuiti;

-le strutture accreditate dove si pratica la fecondazione assistita e la diagnosi prenatale organicamente obiettrici siano obbligate a fornire le indicazioni e i luoghi dove praticare l’aborto terapeutico.

La giunta, nella persona dell’assessora alla famiglia Alessandra Locatelli, ha intrattenuto il Consiglio con una esaltazione della maternità. L’esito del voto conferma la cultura integralista e misogina di questa maggioranza che di fatto continua a non garantire in tutto il territorio lombardo l’applicazione della 194.

Una ragione in più per partecipare allo sciopero femminista globale del giorno 8 marzo, non una festa, ma una lotta complessiva per tutti i nodi dell’autodeterminazione.

Milano, 25/02/2021

Fabrizio Baggi – Segretario regionale Lombardia

Giovanna Capelli – Responsabile regionale sanità Lombardia

Partito della Rifondazione Comunista / Sinistra Europea

Luride zampe

In e-mail da Democrazia Atea il 12 Agosto 2018 dc:

Luride zampe

Ancora una volta la Chiesa Cattolica argentina mette le sue luride zampe sull’autodeterminazione delle donne.

Non abbiamo dimenticato le responsabilità della Chiesa Cattolica argentina all’epoca della dittatura di Videla, quando i prelati di Buenos Aires non si limitavano ad andare a braccetto con la giunta sanguinaria ma erano pronti ad assolvere dalle loro responsabilità i militari della Marina che gettavano in mare dagli aerei giovani civili innocenti, dopo averli torturati.

Né abbiamo dimenticato che i prelati argentini sono stati accusati di aver presenziato compiacenti alle torture dell’ESMA, e che la diocesi, di cui faceva parte anche il caro Bergoglio, non ha mai pronunciato parole di condanna contro la dittatura, ma è sempre stata in prima fila a pronunciare parole di condanna contro le donne che abortivano.

Non abbiamo dimenticato che il metodo di gettare in mare i giovani torturati, legati ad una pietra, è stato rivendicato dallo stesso vescovo di Buenos Aires che ha auspicato di applicarlo al Ministro della Salute il quale aveva manifestato una apertura verso la doverosa legalizzazione dell’aborto.

Dunque questi soggetti che hanno approvato torture ed esecuzioni, che hanno spalleggiato compiacenti la dittatura, sono gli stessi che si oppongono all’aborto.

Questi soggetti hanno determinato una ennesima frattura nella società influenzando la decisione del Senato argentino che ha respinto la legge sulla legalizzazione della interruzione volontaria di gravidanza.

A credere che il concepito abbia “diritti” e che sia già “vita” sono rimaste due categorie di persone: la casta dei pedofili clericali e gli imbecilli.

Carla Corsetti Segretario nazionale di Democrazia Atea e membro del coordinamento nazionale di Potere al Popolo

Perle di sterco

In e-mail da Democrazia Atea il 10 Giugno 2018 dc:

Perle di sterco

“Ognuno può credere nel dio che vuole non è un problema di confessione religiosa, basta che quel dio parli al tuo cuore e alla tua anima e non mi imponga un modo di vivere incompatibile con i nostri diritti e le nostre libertà perché se per quel dio la donna vale meno dell’uomo non è il mio dio”.

Queste le parole pronunciate da Salvini durante un comizio.

Nelle sue intenzioni c’era ovviamente un attacco alla religione islamica ma, come gli è capitato in altre circostanze, senza esserne minimamente consapevole, pensa di poter richiamare il Principio di Laicità, che nemmeno conosce, solo per usarlo contro un’altra religione.

Non sa che nella sua religione cattolica la donna deve essere sottomessa all’uomo.

Non sa che nei testi sui quali giura ci sono parole infamanti e criminali contro le donne.

Non sa che i cosiddetti Padri della Chiesa negano alla donna ogni autonomia decisionale.

Non sa che la religione cattolica che professa si è organizzata affidando ad una gerarchia di soli maschi ogni rappresentanza e “mediazione trascendente” e che le donne sono escluse dalle cariche religiose.

Finge di non sapere che la religione che lui professa vorrebbe negare tutte le libertà della donna, dall’aborto alla sessualità consapevole, dal matrimonio alla genitorialità tra persone dello stesso sesso, cercando di imporre “un modo di vivere incompatibile con i nostri diritti e le nostre libertà”.

Salvini poi ha detto che ad alcune femministe, quelle che non incontrano i suoi gusti, il burqa starebbe anche bene, perché secondo lui, quando l’aspetto esteriore di una donna non incontra il compiacimento del maschio, la donna dovrebbe coprirsi.

Ciò che è grave, però, è che la pessima uscita di Salvini ha trovato un pubblico compiacente, perché è stata accompagnata dalle risate idiote delle donne che erano con lui sul palco, e dagli applausi di quelle sotto il palco.

I sistemi prostitutivi di Arcore avevano veicolato nella società una idea estesa di mercificazione della donna, tanto degradante quanto disumana.

Oggi quella mentalità si declina nel disprezzo per quelle donne che, per il loro aspetto, non incontrano i gusti sessuali del Ministro dell’interno.

Dobbiamo ringraziare il M5S se ha consentito che si istituzionalizzassero queste perle di sterco.

http://www.democrazia-atea.it