“Rottami ambulanti”…

8 Ottobre 2023 dc

“Rottami ambulanti”…

di Jàdawin di Atheia

Alcuni giorni fa, alla trasmissione Mi manda Rai 3, hanno incentrato la discussione sulle auto, i motori, l’inquinamento.

All’inizio hanno preso in esame uno spettatore che avrebbe chiesto se era vero che nelle auto a benzina si poteva fare il pieno di acqua e così risparmiare.

Ora, io penso che si siano inventati spettatore e domanda, perchè solo un idiota potrebbe pensare di fare il pieno con l’acqua al posto della benzina. E, naturalmente, si sono divertiti con battute stupide e “dimostrazioni” scientifiche con l’esperto in studio.

Il “dibattito” si è ovviamente accentrato sull’inevitabilità del passaggio al motore solo elettrico, senza prendere in esame i problemi che ciò comporterebbe.

Non hanno fatto cenno al motore a idrogeno, a mio avviso l’unica fattibile alternativa ai motori con carburante, e alla sua applicabilità sicura e affidabile. Ma in altra trasmissione hanno magnificato il treno a idrogeno su una tratta bresciana.

Hanno fatto gli spiritosi sull’acqua al posto della benzina, ma non hanno fatto minimamente cenno al ricercatore italiano che ha brevettato qualche anno fa, e costruito quasi a sue spese, un’auto con motore ad acqua, perfettamente efficiente e funzionante, che ha avuto l’onore della cronaca in un servizio televisivo, e poi il silenzio.

Alla fine della trasmissione uno dei presenti ha fatto lo spiritoso parlando del fatto che ci sono alcuni milioni di auto molto vecchie che non vengono “cambiate”: auto con un valore di 2000-2500 euro, 170 mila chilometri di percorrenza e più di dieci anni di vita. Ha affermato che sono “rottami ambulanti”, e che i loro possessori hanno la colpa di non svecchiare il parco macchine italiano.

Bene: la mia auto, acquistata nuova, ha compiuto 17 anni, ha un valore forse inferiore ai 2000 euro e ha percorso più di 190 mila chilometri. Me la sono potuta permettere grazie a un’eredità, ha sempre funzionato benissimo (tranne ovviamente i malanni di tutte le auto, come la batteria e l’alternatore), più di un meccanico ha affermato che questa versione ha un motore talmente valido che può tranquillmente arrivare a 300 mila chilometri.

Lo spiritosone di turno farebbe bene a considerare che molti italiani non possono permettersi non solo un’auto elettrica, ma nemmeno cambiare la propria auto a combustione con un’altra analoga, nemmeno usata. E che, grazie a provvedimenti idioti e nefasti, come l’Area B di Milano, non possono nemmeno più circolare con un’auto che è costata loro sacrifici, non risate in televisione.

Vigilare per sopravvivere

7 Aprile 2023 dc, dal sito Hic Rhodus, articolo del 30 Dicembre 2022 dc:

Vigilare per sopravvivere

di Claudio Bezzi

Andrew Tate, al di là della “lite” con Greta Thunberg e dell’arresto in Romania (QUI, se non sapete di cosa io parli) è un indicatore chiaro, lampante, di quanto diciamo da anni sul nostro blog.

Quest’uomo, una vera testa di cazzo, è il guru TikTok della misoginia e della violenza. Spiego: probabile sfruttatore di donne e stupratore, coi suoi contenuti sfacciatamente sessisti ha accumulato 11 miliardi di visualizzazioni su una piattaforma da adolescenti, con miriadi di seguaci e follower.

Qui non si tratta di parlar male di un social, di invocare chissà quali misure repressive o altre stupidate. I social esistono e sono il pane e il companatico di mezza umanità, i controlli sono quasi impossibili e inutili, oltre che discutibili.

Si tratta, però, di essere vigili, consapevoli, critici, se adulti, e assolutamente vigili e attenti se genitori di un minore, che potrebbe facilmente scivolare nella ragnatela di uno dei tanti schifosi individui che vivono, alla grande, adescando adolescenti e adulti stupidi. Il mondo è diventato difficile, ma se si sviluppa consapevolezza si può sopravvivere.

#NonOmologatevi.

Un guitto, bigotto e caldofilo

5 Marzo 2023 dc:

Un guitto, bigotto e caldofilo

di Jàdawin di Atheia

In un noto quiz televisivo, da molti anni più o meno un’ora prima del Tg1, il solito conduttore romano, che nasce come comico, per il secondo anno consecutivo dà mostra di essere caldofilo oltre ogni decenza.

Il nostro è un caciarone, urla a dismisura, vuole essere piacione, ed a furia di essere esagerato diventa un guitto, come l’altro suo pari, di toscana appartenenza. È anche fervente cattolico, come tutti i suoi colleghi televisivi, del resto, e le domande del quiz sono sempre improntate alla massima osservanza. Non compare la benché minima “variante” laica, per non dire atea.

Come se non bastasse, il buffone è anche caldofilo: non vede l’ora che venga l’estate, e non siamo nemmeno in primavera: l’anno scorso ha detto, più o meno nello stesso periodo, “non vediamo l’ora che arrivi l’estate”, e quest’anno “ormai siamo in primavera, e speriamo che venga l’estate”.

Ora, brutto stronzo, il fatto che tu lo dica così sfacciatamente in televisione mentre il Paese, per il secondo anno consecutivo, affronta temperature innaturalmente alte e siccità già avanzata adesso, con un inverno inesistente, già non sarebbe tollerabile, ma almeno usa la prima persona, imbecille, e non dare per scontato che tutti, proprio tutti, la pensino come te!

Non parliamo poi del servilismo verso i laureati. D’accordo, hanno tutta la mia ammirazione e invidia tutti coloro che hanno ed hanno avuto la forza di volontà e la perseveranza di studiare all’università e, magari, un poco realizzarsi anche nel lavoro: sono il primo a congratularmi con loro perché ho sempre saputo di non essere all’altezza di compiere questi studi così impegnativi, che pur avrei ogni tanto voluto intraprendere (e non certo per la carriera!). Ma il suo prostrarsi di fronte a loro, tesserne lodi sperticate e smisurate è veramente esagerato, poco dignitoso e poco rispettoso per la stragrande maggioranza che laureati non sono e che, spesso, hanno più cultura generale di questi “mostri” di culture specialistiche. E che sono, tra i concorrenti, stretta minoranza.

Esterno notte: la fantasia al potere…secondo Marco Bellocchio

In e-mail il 24 Novembre 2022 dc:

Esterno notte: la fantasia al potere…secondo Marco Bellocchio

di Dino Erba

Riporto l’apprezzabile recensione di Davide Steccanella in merito al film Esterno notte di Marco Bellocchio. Cui allego in calce alcuni miei ricordi coevi, con contributi di alcuni che, in quella vi- cenda, furono coinvolti (volenti o nolenti).

“Esterno notte” di Bellocchio: perché non mi è piaciuto (recensione).

Premesso che non credo sia possibile (tutti quelli che ci hanno provato hanno miseramente fallito) ridurre a film una vicenda complessa e drammatica come quella del sequestro Moro, concordo con il Professor Vladimiro Satta (uno che ha scritto libri importanti sull’argomento) che la nuova fiction Rai rappresenti per Bellocchio un passo indietro rispetto al precedente “Buongiorno notte”.

Quel film, almeno, era tratto dal libro autobiografico Il prigioniero scritto da Anna Laura Braghetti, la brigatista che visse nella base di via Montalcini durante tutti i 55 giorni del sequestro, questo invece è una libera interpretazione dei fatti secondo la – legittima – visione del regista che avrebbe voluto, come molti, un altro esito, la liberazione del prigioniero, esito che viene proposto nell’ultima puntata dal titolo “La fine” e che già avevamo visto nel suo precedente lavoro.

La fiction è divisa in sei puntate per argomenti o personaggi, come si conviene a questo tipo di prodotto, la prima descrive il palazzo della politica italiana di allora, la seconda la figura di Moro, la terza quella di Papa Montini, la quarta “i terroristi”, la quinta Eleonora Moro e la sesta, appunto, “la fine”.

Il primo difetto è cinematografico: le prime due puntate risultano alla lunga noiose perché tutti i politici di allora vengono rappresentati in modo troppo macchiettistico e stereotipato.

Cossiga, sempre tremebondo e nevrotizzato, che alterna visioni oniriche a confessioni sul fallimento del proprio matrimonio al primo che passa, e dà disposizioni al tavolo delle decisioni ministeriali sembrando un guru mezzo invasato, Andreotti con la solita immagine del brutto mellifluo su cui si fa ricadere ogni colpa democristiana (quasi che tutti gli altri, che pure c’erano, non fossero mai esistiti), Berlinguer che dice di trattare di “nascosto” con soldi ma non con riconoscimenti politici alle BR, Craxi che pare un fantoccio recitante, e via così, certo gli è che, visti in quel modo, davvero sembrano tutti dei “fantocci”, come li definisce un BR a un certo punto.

Il che non credo renda completa giustizia a una classe politica che pur con tutti i difetti del mondo forse era più elevata di quella odierna, ma non è questo il tema.

Pessimi in linea di massima tutti gli attori: ho letto gran peana sul Gifuni da Oscar, ma onestamente, quanto a recitazione, mi pare cerchi di fare il Volonté senza riuscirci del tutto, se invece ci si riferisce al trucco – certamente notevole – allora anche a “Tale e quale” sono bravi, ma questo non lo fa diventare un programma di rilievo.

Solito professionismo della Buy, che però di base fa sempre lo stesso personaggio, l’unico che si salva è il come sempre bravissimo Servillo nella parte di Montini, ma anche perché lui è un po’ “pretesco” e quindi dovendo fare il Papa va a nozze, anche se deve districarsi tra dialoghi talvolta “imbarazzanti” (come durante la vicenda del tentativo fallito di consegnare un riscatto mediante il sacerdote di San Vittore). Peggio ancora vanno le cose nella puntata dedicata a descrivere CHI fece quel sequestro, a parte la solita rappresentazione di un Moretti ottuso e fanatico fatto anche passare per un rozzo: “Io laureato a Yale che parlo 5 lingue devo avere a che fare con un perito che scrive ‘è presto detto’, viene fatto dire a Cossiga, immaginiamoci se in un momento così tragico l’ex Presidente della Repubblica italiana, che tutto era fuorché un cretino, si soffermava su considerazioni che mi paiono più farina del sacco intellettuale di Bellocchio che di un Ministro coinvolto in uno dei fatti più gravi dell’intera storia repubblicana.

Infatti il punto che meno mi è piaciuto di questa fiction è che uno degli episodi più eclatanti e gravidi di conseguenze per il Paese sembri interamente ruotare in una sorta di bega in stile “pasta fatta in casa” tra Moretti e la coppia Faranda/Morucci, questi ultimi destinatari di dialoghi surreali, tipo lei che gli da del ‘bastardo’ rimproverandogli di avere lasciato sua figlia ai nonni perché lui le aveva fatto credere di sperare nella Rivoluzione (solita vulgata della donna che sceglie per amore, perché evidentemente non dispone di una coscienza politica propria), lui che fa il guascone che poi l’abbraccia, e i due proseguono fino alla fine, limitandosi a qualche scazzo in mezzo alla strada con l’altra coppia Moretti/Balzarani e tutto il resto sparisce, l’unico personaggio azzeccato forse è Lanfranco Pace che dice loro di liberare l’ostaggio perché “il movimento è contrario alla sua morte”.

Movimento del tutto assente, l’Italia dopo il 1977 viveva in una sorta di guerriglia continua (una “guerra” titola il recente docufilm su Sky tratto dalle memorie dei poliziotti del nucleo di Dalla Chiesa impegnati per 15 anni in quell’incredibile conflitto), ma i brigatisti passano le giornate stravaccati sul divano di casa, uscendo giusto per fare l’operazione Moro o poco altro, e gli unici agganci con il mondo esterno sono la solita romana verace che si lascia andare sul bus a commenti “ci vorrebbe il duce con ‘sti assassini”, perché quegli assassini, secondo Bellocchio, trovavano consenso solo nelle università, e neppure tanto tra gli studenti ma tra i “professori” (solita vulgata dei “cattivi maestri”,) e ovviamente nessun riferimento alle fabbriche dove invece sono nate non solo le Brigate rosse ma anche Prima Linea e tanto altro ancora, a tacere della gigantesca galassia dell’autonomia proletaria nelle principali città,che fece lievitare a oltre 200 il numero delle organizzazioni armate operanti in Italia secondo i dati ministeriali ufficiali dell’anno dopo (dicembre 1979).

Ma tutto questo non c’è, e così se uno non si fosse preso la briga di studiare quegli anni, la visione di Bellocchio inevitabilmente lo porterà a ritenere che necessariamente “dietro” a quei tre o quattro pirla che vivevano fuori dal mondo ci dovesse essere qualcuno di ben più importante, e continueremo per sempre e inevitabilmente a sentire sul sequestro Moro le più colossali scemenze che si sono inanellate in questi anni (giusto 42 anni fa veniva istituita la prima Commissione Moro, ne seguiranno altre e sempre più inutili, ma transeat).

È vero che Bellocchio ha fatto un film e non un documentario, per cui non ci si devono aspettare ricostruzioni storiche, come ha detto Grasso su Corriere della sera, e lasciamo perdere l’idiozia del prete che va a confessare Moro nella base di via Montalcini (ma ti pare che le BR lasciavano entrare un estraneo in quel luogo che per ovvie ragioni di minimale compartimentazione era noto solo e rigorosamente ai quattro militanti che lo frequentavano?) o la scena del gruppetto in spiaggia che spara ridendo alle onde del tirreno laziale urlando slogan demenziali manco fossero a un’occupazione liceale, però mi domando quale sia stata l’utilità di questo sforzo di mezzi per mandare in onda in prima serata sul canale ammiraglio una brutta fiction che peraltro, sono sicuro, hanno visto solo i vecchi come me che ai tempi erano già belle che nati.

Non credo che i ragazzi possano appassionarsi a una fiction del genere, ma stavolta, mi viene da dire: meno male!

Addenda:

Paolo Persichetti: Mettiamo i puntini sulle i
Un altro corso? Quale? Sia in “Buongiorno notte” che in “Esterno notte” Bellocchio propone la visione di un Moro che esce libero dal sequestro. Franco Piperno, che fu protagonista dell’unico vero tentativo di avvio di una trattativa che raggiunse le Brigate rosse, mi ha più volte ripetuto che la liberazione di Moro sarebbe stata una sorta di epifania: il Pci sarebbe stato ricacciato subito all’opposizione (nella sua lettera alla Dc Moro fornisce peraltro questa indicazione politica), l’emergenza giudiziaria e carceraria sarebbe stata abolita e all’orizzonte forse sarebbe avvenuta un’amnistia…. Da Giuliano Ferrara invece ho sentito dire che nel giro di pochi mesi tutto sarebbe stato riassorbito: Moro sarebbe tornato ad essere quello che era e nulla sarebbe cambiato. Agli scenari possibili ne aggiungo un altro realmente accaduto: si chiama Tangentopoli. Moro sarebbe stato il primo della lista, d’altronde l’inchiesta sullo scandalo petroli che portò in carcere proprio Sereno Freato, il faccendiere di Moro, e coinvolse anche la moglie Eleonora, ne fu un’anticipazione [Vedi in calce l’articolo de «L’Unità» del 21 aprile 1983].

Moro petrolio

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E infine Bowie capì che la vita è caos

14 Novembre 2022 dc, dal sito Doppiozero, 3 Ottobre 2022 dc:

E infine Bowie capì che la vita è caos

di Daniele Martino

David Bowie è morto il 10 gennaio 2016: nell’anno successivo sono usciti vari documentari (al Festival di Cannes 2022 è stato presentato Moonage Daydream di Brett Morgen, una “cinematic experience”, nelle sale italiane per qualche giorno a fine settembre), mostre, libri per assestarne il mito:  nel primo anniversario il Saggiatore pubblicò una raccolta di interviste, di cui abbiamo scritto qui. Ora lo stesso editore torna con un librino in cui un anonimo editor ha rimontato per temi un altro gruppo di interviste rilasciate dall’artista nel tempo a “New Musical Express”, “Melody Maker”, “ZigZag”, “Mojo”, “Time Out” “Ikon”, “Q”, “Rolling Stone”, “The Face”, “Filter”, “The Word”, nei bei tempi in cui anche in Italia pullulavano le riviste stampate sulla musica.

Gli intervistatori erano orientati a definire con lui lo stile musicale più che l’iconografia scenica e mondana dell’icona pop, lo Ziggy Stardust, il Duca Bianco, la Stella Nera, eccetera. Adoperandomi perché Franco Battiato venga nel tempo considerato uno dei grandi artisti multiversi italiani del Novecento, come Pasolini, a sei anni dalla morte di Bowie comincio a conoscere e stimare quella di Bowie come una delle grandi produzioni di pensiero artistico di fine Novecento. Entrambi nel loro privato amavano dipingere, entrambi hanno espresso una visione del loro tempo, Battiato molto nei testi, vera opera poetica complessiva, Bowie in modo più sensoriale, più sesto senso, più “astrale” come lui desiderava essere specie negli ultimi anni della sua vita.

Entrambi hanno attraversato una stagione di composizione elettronica che li ha fondati come compositori, oltre che abili creatori di canzoni pop. Bowie non ha mai dato molta importanza ai suoi testi, spesso insensati per intenzione, ma la sua musica – come dice in varie di queste interviste raccolte in Essere ribelli (il Saggiatore 2022) testimonia con qualche anno di ritardo vere e proprie ere dell’espressione artistica del Novecento: su tutti gli altri lo ha influenzato William S. Burroughs, con una letteratura schizzata dall’LSD, e più in generale lo spirito esistenziale ramingo, apolide della Beat Generation; ricorda Aldous Huxley che sul letto di morte decise di farsi di LSD per morire in colorate allucinazioni.

Bowie filosofo

Più volte, raccontando le overdose, i giri di valzer con la morte («Io amo la morte»), la sua noia abissale per la vita («Mi sono sempre sentito tappezzeria della vita»), le depressioni al fondo della tossicodipendenza, la stagione in cui ha tentato di placarsi con la meditazione, le fasi alcoliste, Bowie si avvicina alla formulazione ex post di una visione filosofica della vita sua e nostra di esseri umani caduti sulla Terra: «Sto cercando di fare di me stesso il messaggio» (citando McLuhan), «Temo di esserlo, un pessimista. Spero che si possa trovare un qualche conforto nella compassione per le persone e per le situazioni stupide e disperate in cui si cacciano».

Straordinaria questa intuizione, attualissima: «La gente non riesce a far fronte alla quantità di cambiamenti che avvengono nel mondo. Accade tutto troppo in fretta… c’è questa spirale ascendente a cui la gente tenta disperatamente di aggrapparsi, e ora tutti hanno iniziato a staccarsi. E le cose peggioreranno». La folgorazione finale la svela a Mikel Jollett di “Filter” nel 2003: «Non ci servono novità. Non ci servono! Penso che saremo molto più felici quando riusciremo ad accettare che la vita è caos. Non c’è alcuno schema. Non c’è alcun disegno. Non ci stiamo evolvendo. Dobbiamo trarre il meglio da ciò che abbiamo. E se riuscissimo ad accontentarci di questo, forse vivremmo più serenamente».

Bowie pittore

Ha dipinto tantissimo, Bowie. Strano che i suoi quadri non siano ai vertici delle aste d’arte contemporanea. Lo stile prevalente è espressionista. Deformazioni angosciose. Volti che colano, forti vampate di colore. Trovate tante immagini dei suoi lavori in questo post del 2021 molto interessante sul blog della residenza per artisti madrilena Very Private Gallery intitolato “A Soulful Art Legacy”: «Nella primavera del 1976 lui e Iggy Pop lasciarono l’America e si trasferirono a Berlino. Stavano fuggendo dal cannibalismo artistico di Los Angeles. Berlino gli ha dato accesso a una nuova vita e nuove ispirazioni. E non solo di musica: Bowie, la cui affinità per l’arte espressionista tedesca precedette di gran lunga la sua residenza a Berlino, eseguì allora un gran numero di litografie e molti ritratti. Ha avuto una grande influenza sulla sua scrittura di canzoni».

Bowie compositore

Questa fuga a Berlino Ovest nel 1976, lui drogatissimo insieme a un Iggy Pop completamente distrutto, è uno snodo della sua carriera artistica. Perché la surreale capitale tedesca spaccata in due dalla Guerra Fredda, nel bel mezzo della DDR comunista soggiogata dall’Unione Sovietica russa, trasforma le allucinazioni interiori di Bowie in contemplazione di una allucinazione storica reale e angosciante. Lì sostanzialmente viene concepito il lato B di Low (RCA 1977), trenta minuti circa di musica ancora contemporanea.

Le due collaborazioni decisive in studio di registrazione sono quelle con Brian Eno e Tony Visconti, suo produttore sino all’ultimo stupendo disco prima della morte, Blackstar (RCA 2016). A Berlino Bowie ascoltava i Kraftwerk e i Tangerine Dreams. Davvero “spirito del tempo” è che in quegli stessi anni Settanta anche Battiato abbia prodotto i suoi capolavori di elettronica sperimentale:  Fetus, Pollution, Sulle corde di AriesClic, M.elle le Gladiator, Battiato, Juke Box, L’Egitto prima delle sabbie di cui abbiamo parlato qui. Tra i suoi ascolti musicali c’era molta musica classica (di cui apprezzava la potenza espressiva senza il bisogno di testi), Philip Glass e Steve Reich.

Brian Eno, in studio con il suo sintetizzatore portatile EMS, era anche il compositore di Discreet Music (1977), invenzione della “ambient music”; seguiva le tecniche aleatorie zen di John Cage, da lui messe a punto nella “tecnica delle 124 carte delle strategie oblique” da lui ideata nel 1975 con Peter Schmidt. Le carte venivano girate a caso dai musicisti in studio, che ne ricavavano indicazioni esecutive. Bowie ne era entusiasta. Bene, il lato B di Low contiene pezzi straordinari, quasi tutti strumentali, con qualche vocalizzazione su testi insensati. Ascoltate Weeping Wall: la direste di David Bowie, se ve la facessero ascoltare ad occhi bendati?

Le poche parole di Bowie in Low sono nel lato A, nella ipnotica Some Are, ad esempio, e raccontano i paesaggi invernali berlinesi che lui sentiva specchiarsi dentro la lotta, infine vinta, per uscire da depressione e fallimento:

Marinai nella neve
invia una chiamata alzando le mani
alcuni sono destinati a fallire
alcuni sono sole d’inverno, ah