«Marxisti» per Conte premier

In e-mail il 27 Agosto 2019 dc:

«Marxisti» per Conte premier

«Marxisti per Conte: da D’Alema al PRC, la sinistra che vuole baciare il rospo». Così titola oggi il quotidiano La Repubblica, in relazione all’annunciato governo PD-M5S. Non esagera, e il fatto è clamoroso. Sinistra Italiana e PRC, in forme diverse, rivendicano la formazione del nuovo governo e auspicano l’eventuale presidenza Conte, in oggettiva compagnia di ampi settori di Confindustria, del Vaticano, di Comunione e Liberazione, della burocrazia sindacale. È triste, ma è la realtà.

SINISTRA ITALIANA PRENOTA UN POSTO AL GOVERNO (O NEL SOTTOGOVERNO)

La Direzione Nazionale di Sinistra Italiana ha così deciso lo scorso sabato, con 60 voti a favore e un solo contrario. «Siamo di fronte alla possibilità di una vera svolta… È possibile un limpido accordo tra sinistra, PD, M5S per la formazione del nuovo governo… Siamo ottimisti… L’agenda che si va definendo rompe col renzismo e Salvini», dichiara enfaticamente la risoluzione approvata. Si dà pertanto mandato a Loredana De Petris e a Nicola Fratoianni di negoziare il “governo di svolta”.

C’è davvero da stropicciarsi gli occhi.

Il M5S ha governato con la Lega sino a poche settimane fa, e avrebbe continuato per altri tre anni se non fosse stato scaricato da Salvini: ha votato senza fiatare tutte le misure più reazionarie contro gli immigrati e contro le lotte dei lavoratori (decreto sicurezza bis), ha gestito in prima persona le campagne securitarie contro i “taxi del mare” (Di Maio). Si è rivelato una volta di più per quello che è: un partito di vocazione reazionaria, buono per tutte le stagioni. Non “uno vale uno”, ma uno vale l’altro, l’importante è la propria salvezza istituzionale (nel loro linguaggio, “le poltrone”).

Il PD è il punto di riferimento dei poteri forti, il partito che più di ogni altro ha scardinato i diritti del lavoro (art.18), ha colpito la scuola pubblica (Buona Scuola), ha cogestito la secessione dei ricchi (Emilia-Romagna), ha promosso in prima persona la segregazione dei migranti in Libia (Minniti) concimando il peggiore terreno della destra. E ora, in pochi giorni, PD e M5S sarebbero diventati i garanti di una svolta storica?

La presunta rottura col renzismo e con Salvini è aria fritta, persino formalmente.

Giuseppe Conte, candidato premier per ogni governo, ha detto in queste ore che non rinnega il governo con Salvini, né lo hanno fatto i Cinque Stelle. Quanto ai renziani, sono i principali sponsor del nuovo governo e parte decisiva dei gruppi parlamentari che gli voteranno la fiducia. Dov’è la rottura?

Naturalmente il nuovo governo farà un po’ di maquillage, limerà i decreti più impresentabili (ma non più di tanto), venderà come “svolta” ogni mutamento di virgola, confezionerà il tutto con toni aulici e profetici. Ma solo per nascondere una politica di conservazione sociale su tutte le questioni decisive. A questo serve la stessa fumosità dell’agenda, dalla “tutela dell’ambiente” alla “pace nel mondo” ai “valori” della democrazia. E questo dimostra lo stesso documento della Direzione di Sinistra Italiana, che non a caso si guarda bene dal rivendicare, ad esempio, come condizione dell’accordo, la semplice abrogazione del Jobs act, della Buona Scuola, della legge Fornero, chiamandole con nome e cognome. Perché sa che l’accordo di governo con PD e M5S richiede la rinuncia persino alle misure più elementari di svolta, e ciò che conta per Sinistra Italiana, al di là delle chiacchiere, non è “la svolta” ma il rientro sospirato nel gioco politico di governo, meglio con qualche sottosegretariato. Questa è la prosa, per la poesia c’è sempre tempo.

RIFONDAZIONE COMUNISTA INVOCA IL GOVERNO PD-M5S

Anche Maurizio Acerbo insiste da quindici giorni sulla rivendicazione di un governo tra PD e M5S, con accorati appelli pubblici, quasi giornalieri. Tutta l’argomentazione muove dall’esigenza di “mettere Salvini all’opposizione”. Cosa naturalmente giusta, ma ad una condizione: non lasciare il monopolio dellopposizione… a Salvini. E dunque denunciare la natura trasformista del nuovo governo e dei suoi attori, spiegare la sua natura di classe, combattere l’eterna illusione di un possibile governo amico, contrastare la subordinazione annunciata della burocrazia sindacale al nuovo governo .

Purtroppo il segretario del PRC fa l’opposto. Qua e là dichiara le proprie “divergenze programmatiche e di visione” con PD e M5S (come se si trattasse di un confronto politico-culturale, e non di una opposta collocazione di classe), ma al centro di tutto pone l’appello a PD e M5S perché facciano un governo insieme («è loro dovere di fronte al Paese e alla storia»), rivendica apertamente Conte presidente del Consiglio («Il veto su Conte è assurdo, perché l’avvocato comunque è più solido di Di Maio o Fico»), loda Maurizio Landini per il suo sostegno all’operazione («ho apprezzato le parole di Landini perché ha dimostrato autonomia», non si capisce francamente da chi).

Tutto questo non segna una collocazione di opposizione, ma tutt’al più di pressione critica sul nuovo governo. Al quale Acerbo raccomanda una solo misura decisiva: la riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Che naturalmente sarebbe importante in sé, ma non definisce affatto la natura di classe del governo che eventualmente la vara.

E qui torniamo al punto.

I comunisti sono per definizione, come diceva la grande Rosa Luxemburg, un partito di opposizione irriducibile a tutti i governi del capitale. Rimuovere in tutto o in parte questo principio elementare significa solo preparare disastri per i lavoratori, per i comunisti e per le stesse ragioni della democrazia politica, come dimostra la lunga storia dei fronti popolari di staliniana memoria. Farlo, per di più, di fronte a un governo PD-M5S, dopo l’esperienza degli ultimi vent’anni, è davvero un’enormità, che persino i giornalisti borghesi sono costretti a segnalare con una certa incredulità.

Vedremo gli sbocchi del negoziato di governo, ormai in pieno corso. Ma quello che oggi si annuncia è il ritorno della sinistra cosiddetta radicale nel governo della borghesia, o nella sua orbita.

Una volta fu Romano Prodi, con la partecipazione suicida della grande (all’epoca) Rifondazione, oggi forse è Giuseppe Conte con la raccomandazione di ciò che è sopravvissuto a quel suicidio. Col risultato di regalare proprio a Salvini, il peggiore degli arnesi reazionari, la rendita di posizione di unico avversario del governo.

La storia si ripete, e non certo in meglio.

Il M5S non sarebbe nato senza l’autodistruzione di Rifondazione tra le braccia di Prodi, né Salvini avrebbe il consenso che ha tra gli operai senza le compromissioni della sinistra politica e sindacale nell’austerità. Ogni volta che si è fatto il “fronte democratico contro la destra” è proprio la destra che ha sfondato. Non è bastata la lezione dei fatti? Si vuole ogni volta ricominciare da capo?

Partito Comunista del Lavoratori

Riflessioni a briglia sciolta

In e-mail il 14 Luglio 2019 dc:

Riflessioni a briglia sciolta

di Lucio Garofalo

Riconosco di essere una persona caratterialmente scettica e diffidente, persino malpensante. Ideologicamente sono un ateo marxista. Sono stato ripetutamente  disilluso dalla vita, amareggiato da esperienze negative, tradito dal comportamento spregiudicato di numerosi pseudo compagni e dai falsi partiti politici di “sinistra”.

Francamente sono molto arrabbiato contro i falsi moralisti e i falsi compagni, i parolai e i “pifferai magici” della sinistra borghese, affetta dal morbo del “cretinismo parlamentare”. L’esperienza storica ha dimostrato che costoro aspirano solo ad adagiare il proprio deretano sopra un comodo ed ambito scranno all’interno delle istituzioni borghesi per ricavarne potere, gloria, ricchezza, privilegi e immunità personali, fregandosene delle sofferenze e dei bisogni della gente, delle istanze dei loro elettori.

La mia posizione di critica netta e intransigente mi ha procurato problemi di solitudine politica, condannandomi ad una sorta di ostracismo e di esilio morale, di isolamento nel territorio dove abito. Ma tant’è. Credo di essere sufficientemente forte e vaccinato verso tale situazione, abbastanza immune rispetto alla violenza morale ed esistenziale esercitata dai conformismi di massa, compresi quelli imposti dalla “sinistra”, essendo abituato al ruolo, senza dubbio scomodo, di bastian contrario, di ribelle anticonformista e di “cane sciolto”, per cui la condizione di marginalità non mi turba affatto.

Ultimamente ho cercato di uscire dall’isolamento politico provando ad infrangere il clima di chiusura ed ostilità creato nei miei confronti dai vari “forchettoni”, “rossi”, “bianchi” o “neri” che siano. I quali dettano legge soprattutto in alcune realtà di provincia come l’Irpinia. Una terra costretta ad un livello di sudditanza semifeudale, le cui popolazioni sono soggette a ricatti e condizionamenti perpetui e ad un mostruoso giogo clientelare. Non dobbiamo dimenticare che il territorio dove abito rappresenta da lustri un feudo incontrastato di Ciriaco De Mita e dei suoi galoppini. L’Irpinia è da sempre una roccaforte elettorale e clientelare della peggiore Democrazia cristiana.

Tuttavia, non mi lascio mai sopraffare dallo sconforto o, peggio, dalla depressione, né da rancori e risentimenti, ma reagisco sempre con rabbia e indignazione, riscoprendo “prodigiosamente” una spinta motivazionale che mi restituisce un fervido entusiasmo e una volontà combattiva, un desiderio tenace ed impetuoso di lotta e di riscatto. Forse perché sono uno spirito libero e ribelle, consapevole della lezione della storia. La quale insegna che è addirittura possibile, quindi concepibile, la realizzazione dell’utopia.

Si pensi che fino al XVIII secolo, ovvero il “secolo dei lumi”, la schiavitù del lavoro, la servitù della gleba e la tirannia aristocratico-feudale erano viste quali elementi ineluttabili e immodificabili, al limite come fenomeni conseguenti a leggi naturali, come una realtà che era sempre esistita e sarebbe durata in eterno, e non come dati storici transeunti, soggetti a trasformazioni rivoluzionarie determinate dalle forze produttive e sociali in movimento e in lotta sia per necessità oggettive che per volontà soggettive.

Eppure, alla fine del 1700 la rivoluzione francese e il radicalismo giacobino, mobilitando le masse popolari e contadine, spazzarono via il feudalesimo e l’assolutismo monarchico con tutti i suoi assurdi privilegi aristocratici, il servaggio, l’oscurantismo religioso e tutte le anticaglie medioevali. Parimenti, fino ad Abramo Lincoln nessuno avrebbe mai immaginato che la schiavitù, ritenuta per secoli come una situazione naturale e ineluttabile, una condizione ineliminabile e permanente dell’umanità, potesse un giorno essere abolita, almeno giuridicamente, sebbene non ancora soppressa sul piano materiale. E lo stesso si potrebbe dire per un fenomeno quale il cannibalismo, un’abitudine alimentare millenaria dei popoli primitivi, che oggi farebbe inorridire chiunque. E così per altre pratiche consuetudinarie, usanze e costumi del genere umano.

Pertanto, perché ritenere già persa in partenza la lotta politica a tutela dei lavoratori, in difesa dei salari più bassi e più deboli, una battaglia che si attesta oltretutto su posizioni difensiviste di salvaguardia e di retroguardia? Nel senso che non si aspira a fare la rivoluzione, a prendere il potere conquistando il “Palazzo d’Inverno”, ma si tratta di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica promuovendo una presa di coscienza sulle tematiche che investono direttamente la vita quotidiana e la condizione dei lavoratori.

Non vorrei allontanarmi dal tema in questione. Ricordo che una delle radici ideologiche dell’opportunismo risiede precisamente nell’elettoralismo borghese. Personalmente sostengo con estrema durezza la critica contro l’opportunismo in quanto costituisce il male storico del movimento comunista internazionale. Non c’è bisogno di scomodare Lenin o Rosa Luxemburg per dimostrare la validità di tale tesi, basta guardarsi attorno.

L’interesse e il calcolo opportunistico, l’autoritarismo e il verticismo burocratico, l’arrivismo, l’ambizione e il carrierismo individuale, le invidie e i personalismi eccessivi, questi ed altri atteggiamenti piccolo-borghesi, purtroppo assai diffusi in determinati settori della cosiddetta “sinistra radicale” (e non solo negli ambienti della sinistra borghese e riformista), costituiscono un male ben peggiore dell’isolamento personale.

La principale preoccupazione per un’autentica forza antagonista e di classe, di ispirazione comunista e anticapitalista, non può essere la “questione elettorale”. Non credo che la priorità politica di una soggettività comunista, specie in un momento di crisi epocale del sistema sociale vigente, una crisi segnata da crescenti disordini e conflitti (si pensi al caso emblematico della Grecia) che minano le basi stesse dell’assetto capitalistico globale, possa essere il tema della rappresentanza elettorale.

L’esperienza storica dovrebbe insegnarci che il pericolo per un’autentica sinistra comunista e di classe è costituito da ciò che si chiamava polemicamente la “febbre elettoralistica”, cioè la frenetica ricerca del successo elettorale, la conquista a tutti i costi del potere o di una quota di rappresentanza nell’attuale ordinamento statale borghese. E’ esattamente questa impostazione burocratica ed elettoralistica che rischia di aprire la strada all’affermazione di tendenze opportunistiche e individualistiche piccolo-borghesi, all’emergere di atteggiamenti di corruzione e di sfrenate ambizioni di carriera. Come, d’altronde, dovrebbe insegnarci l’esperienza storica del PRC.

In passato la base elettorale del PRC e delle altre formazioni della “sinistra radicale” era costituita da un mini-blocco sociale composto in gran parte da operai e giovani lavoratori precari, eco-pacifisti, attivisti no-global, ecc. I quali hanno giustamente reso pan per focaccia, sfruttando l’unica arma a propria disposizione, vale a dire l’arma del voto, per espellerli dalle istituzioni parlamentari a cui si erano tanto affezionati, infliggendo loro la punizione che meritavano e che gli ha arrecato dolore e frustrazione, procurandogli una logorante astinenza dall’esercizio del potere: “il potere logora chi non ce l’ha”, come afferma un vecchio ed astuto volpone democristiano che ha maturato una lunga esperienza ai massimi vertici del potere politico in Italia. Fare clic per cancellare la replica.

Pertanto, bisogna prendere atto della verità storica a 360 gradi. Negli ultimi anni il PRC era diventato un vero e proprio “covo” di opportunisti e forchettoni, burocrati e funzionari di partito ambiziosi ed arrivisti. Dunque, solo dopo aver fatto chiarezza fino in fondo e dopo aver svolto un’igienica e necessaria opera di autocritica, solo a quel punto ritengo che si possa avviare in maniera legittima e credibile un processo di ricomposizione di un’autentica e moderna sinistra anticapitalista e di classe in Italia.

Per quanto concerne la questione dell’isolamento, a me pare che questo costituisca un problema della politica in generale. Tutti i partiti politici soffrono il distacco e la disaffezione della gente, ma in fondo è sempre stato così, almeno in Italia. Il popolo italiano è storicamente un popolo ignorante e qualunquista, privo di senso civico e di moralità pubblica. Lo stesso Pier Paolo Pasolini scriveva nel lontano 1973: “La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche esperienze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c’è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline”. Più chiaro di così.

In fondo, anche Guicciardini lo aveva compreso diversi secoli fa: il popolo italiano bada solo al proprio “particulare”, persegue solo i propri affari personali senza capire che i propri interessi possono coincidere e identificarsi con quelli altrui. Ma anche ai più grandi marxisti rivoluzionari è capitato talvolta di essere isolati. Rosa Luxemburg, ad esempio, è sempre stata un’esponente isolata e minoritaria all’interno del movimento operaio e socialdemocratico internazionale, e lo stesso Lenin, prima di prendere il potere in Russia, ha sofferto una condizione di marginalità e di solitudine politica.

Gli italiani sono ricchi?

In e-mail il 20 Maggio 2019 dc:

Gli italiani sono ricchi?

Certooo! Affaristi, faccendieri e, soprattutto, evasori fiscali.

Riflettendo sul Rapporto Bankitalia-Istat

«L’Italia è uno dei Paesi dove il rapporto tra ricchezza aggregata totale e il totale dei redditi prodotti ogni anno è tra i più elevati al mondo, una delle nazioni a più elevata intensità capitalistica, dove la ricchezza vale molto più del reddito. […] Si accresce sempre di più il peso della ricchezza ereditata, della trasmissione dinastica patrimoniale, rispetto alla generazione di reddito. Una situazione dove, come è stato detto, il passato divora il futuro».

Salvatore Morelli, Rapporto sulla diseguaglianza economica in Italia, a cura di Oxfam, 2017 (https://www.lenius.it/disuguaglianza-nel-mondo/).

Il 10 maggio, i media (chi più chi meno) hanno suonato la grancassa sulla ricchezza degli italiani. A onor del vero, la notizia era un po’ stantia, risale al novembre scorso. È uno studio di Bankitalia, basato su dati Istat (vedi: https://www.repubblica.it/economia /2018/11/07/news/bankitalia_la_ricchezza_degli_italiani_vale_10_mila_miliardi_cresce_la_finanza-2110371 57/).

Probabilmente, la riesumazione di questa notizia è nata dall’esigenza di buttar acqua sul fuoco attizzato dalle polemiche elettorali, i cui riflessi sullo spread potrebbero ricadere non solo sul governo ma sul sistema-Italia, nel suo complesso. Non per nulla, la questione è stata subito messa in sordina. Per la cronaca, l’articolo più approfondito è: Davide Colombo, Il tesoretto delle famiglie italiane: una ricchezza di 9.743 miliardi, «Il Sole24 Ore», 10 maggio 2019.

Qualche ragionamento, invece, getterebbe un po’ di luce sul comportamento politico degli «italiani» (calderone in cui si confondono borghesi&proletari). Con scelte politiche anomale, rispetto a quelle di altri Paesi dell’Unione europea, dove, sebbene un po’ ammaccati, resistono gli storici partiti: centro democristiano e sinistra socialista che, in Italia, sopravvivono in quel pateracchio politico che è il Partito democratico, un connubio di ex democristi (Renzi) ed ex piccisti (Zingaretti), con qualche outsider (Gentiloni). Mentre emergono forze politiche, dette populiste e sovraniste, che, in altri Paesi (con poche eccezioni, come l’Ungheria), hanno un peso assai più ridotto.

Un ceto medio pletorico: anomalia Made in Italy

Certamente, alle radici dell’anomalia italiana ci sono i mutamenti economici e sociali che, in questo ventennio, hanno investito il Bel Paese, e che la crisi (2008) ha poi accentuato, riplasmando i vecchi assetti politici. Ma fino a un certo punto la composizione sociale italiana è mutata. Essa mantiene la sua peculiare caratteristica: un ceto medio pletorico, impegnato in attività autonome.

Allevato nella bambagia della Prima repubblica democristian-piccista, con l’ausilio di qualche sinistro/sinistro (piccolo è bello!), il cetomedioautonomo ha trovato una felice sponda nella Seconda repubblica berlusconiana (con metastasi leghista) che ne sposò l’evoluzione immobilar-finanziaria (speculativa).

Ed è questo ceto che connota politicamente l’andazzo italiano. Un forte ceto medio potrebbe essere indice di stabilità sociale se anche le altre classi (quelle fondamentali) – proletariato (lavoratori dipendenti e pensionati) e borghesia (industriali, banchieri, manager…) –, vivessero una situazione tendenzialmente equilibrata, in cui si riducessero le diseguaglianze, in termini di distribuzione della «ricchezza». Così non è. E da tempo.

L’indice di Gini, che misura la sperequazione, a livello europeo colloca l’Italia alla ventesima posizione su 28 (con un coefficiente pari a 0,331 (vedi dettagli in: https://www.lenius.it/disuguaglianza-nel-mondo/).

In poche parole, in Italia c’è una forte sperequazione sociale: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. In soldoni, il 40% più ricco della popolazione italiana detiene l’85% della ricchezza e il restante 60% più povero deve arrangiarsi col 15%. I 14 miliardari più ricchi d’Italia posseggono quanto il 30% più povero della popolazione.

Con la crisi, il fenomeno si è generalizzato e accentuato. E, in Italia, assume particolari implicazioni sociali e politiche.

Lo scarica barile

La costante polarizzazione della ricchezza in poche mani si ripercuote su tutti gli strati sociali: con in alto la borghesia e in basso il proletariato. Chi sta in mezzo, ovvero il cetomedioautonomo, per scansarne le conseguenze, si rivale su chi sta in basso, ovvero sul proletariato, provocando, non sempre inconsciamente, l’aumento dell’estorsione di plusvalore e la riduzione dei servizi sociali.

In questa rivalsa, il cetomedioautonomo è favorito dalla sua consistenza, grazie alla quale gioca un pesante ruolo politico, con la parola d’ordine: meno tasse. Ovvero, niente tasse, visto che già ne pagan pochine … Pochine ma fastidiose. Per loro.

Entriamo nel merito del problema e cerchiamo di capire come si collocano i vari strati sociali nella ripartizione della ricchezza. Leggiamo che cosa afferma il Rapporto sulla ricchezza di Bankitalia-Istat.

1)   La finanza, contribuisce per il 41% (pari a 4.374 miliardi) alla ricchezza dei soliti «italiani».

Risparmiatori e speculatori

L’Italia è un Paese di santi, poeti, navigatori e risparmiatori. O meglio piccoli risparmiatori (circa il 60% degli italiani). Nonostante la crisi, anzi proprio per la crisi, molti proletari (per lo più pensionati del bel tempo che fu) scelgono di tirar la cinghia e risparmiare, per far fronte a un futuro incerto e precario: figli precari, salute precaria … E questo risparmio forzoso avviene a dispetto della crescente pressione dei promotori finanziari, a caccia di quattrini, da gettare nella fornace speculativa. Nonostante le recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena, della Popolare di Vicenza ecc. ecc. consigliano: prudenza!

Comunque sia, in questi ultimi anni, la possibilità di incrementare i risparmi riguarda solo un terzo delle famiglie «italiane». Di trippa per gatti non ce n’è molta.

Ma ai capitalisti, questi risparmi fanno gola, per loro sono quattrini immobilizzati, che prendono polvere, sfuggendo investimenti, perlopiù speculativi (vedi: Samuele Maccolini, I risparmi degli italiani? Sintomo di paura nel futuro, Rapporto Censis/Conad, https: //www.linkiesta.it/it/article/2018/12/28/risparmio-italiani-conad-censis/40550/).

Capovolgendo la frittata, possiamo dire che questi risparmi, benché forzosi, creano una netta divisione di classe, tra rentier borghesi e piccoli risparmiatori proletari.

I risparmi che si mutano in investimento finanziario riguardano quasi esclusivamente, se non in toto, la borghesia e il ceto medio.

Passiamo all’aspetto cruciale, la casa, entriamo in un terreno ancor più minato! Che però è al centro delle implicazioni politiche.

2)   Le abitazioni, con un valore di 5.246 miliardi di euro, rappresentano quasi la metà della ricchezza complessiva (il 49%). Se poi aggiungiamo terreni e attività cosiddette reali si toccano i 6.295 miliardi, pari al 59%.

Casa dolce casa… Ma quanto ci costi!

Croce e delizia degli italiani! La casa molti italiani furono costretti ad acquistarla quando, con la definitiva soppressione del blocco del canone di locazione (1978), le case in affitto sparirono e, al tempo stesso, l’edilizia pubblica declinava. Una vera pacchia per vecchi e nuovi proprietari di immobili. A evitare eccessive tensioni sociali, provvidero gli ultimi riflessi del boom economico e del Welfare State.

– Sulla casa vedi: Il problema della casa in Italia: politiche, problemi, lotte, in https://centrostudiudine.word press.com/2016/11/26/il-problema-della-casa-in-italia-politiche-problemi-lotte/.

E così, oggi, il 73% degli italiani possiede una casa, alcuni due o più. Fenomeno, quest’ultimo, unico in Europa. Per quale motivo? Almeno dagli anni Settanta molti emigrati dal Sud al Nord Italia o lavoratori confluiti dalla campagna alla città possedevano o avevano acquistato (a volte costruito) una casa nelle località d’origine. Nessun lusso! Anzi, la casa sarebbe diventata una croce prima per far fronte ai mutui, poi per le tasse e per le necessità di manutenzione, infine per adempiere alle normative in materia di sicurezza.

Per inciso, a cavallo degli anni Settanta/Ottanta, l’onere per l’acquisto della casa (il mutuo ma non solo) contribuì a smorzare le lotte operaie, allora in corso, contro le ristrutturazioni industriali.

La casa sembra una ricchezza, in realtà è una pesante palla di piombo al piede, per moltissimi italiani, in primis per i proletari (Vedi: Roberta Cucca, Luca Gaeta, Ritornare all’affitto: evidenze analitiche e politiche pubbliche (2015), abstract disponibile in http: //www.for-rent.polimi.it/wp-content/uploads/2016/01/ Cucca_Gaeta_paper2015.pdf).

Questa è una situazione che spinge molti proletari ad allearsi coi borghesi, in un fronte comune anti tasse. Da cui il successo elettorale della Lega, per esempio.

Ma, in questo fronte, i proletari che la loro abitazione la abitano si trovano in compagnia di borghesi, piccoli e grandi, che con le loro abitazioni fanno affari, affittandole o vendendole al miglior offerente, speculando ed evadendo il fisco. E, con la fregola turistica che pervade oggi l’Italia, questo è un bel business (Airbnb ecc. ecc.) che coinvolge del tutto marginalmente i proletari.

Chi evade il fisco e chi ne paga il conto

Nel fronte anti tasse, i proletari sono la massa di manovra di una battaglia destinata a esiti catastrofici per tutti gli strati sociali coinvolti, che verranno travolti dallo scoppio della prossima bolla immobiliare. A tutto vantaggio del Capitale, senza aggettivi e senza nazione.

Ma fino a quando?

Già oggi il fronte anti tasse mostra tutta la sua precarietà, e non certo a vantaggio di chi ha sostenuto e sostiene tasse, sacrifici e lacrime (PD & Co.).

I proletari che ancora sbarcano il lunario, grazie alla casa e grazie ai risparmi, vivono in un’isola felice, circondata, però, dal mare sempre più tempestoso dei senza risorse, dei senza tetto, dei senza salute, dei senza risparmi, dei senza lavoro…

Prima di farsi trascinare nella lotta di tutti contro tutti, è bene darsi una mossa, rifiutando alleanze contro natura e deleghe canagliesche.

Dino Erba, Milano, 20 maggio 2019.

Zingaretti e le illusioni di sinistra sul PD

In e-mail il 10 Marzo 2019 dc:

Zingaretti e le illusioni di sinistra sul PD

L’incoronazione di Luca Zingaretti a nuovo segretario del PD è stata celebrata da tanta stampa liberale, la Repubblica in testa, come il segno di una svolta attesa. Un settore significativo della borghesia liberale, rimasta orfana di una rappresentanza politica diretta, saluta con entusiasmo una possibile ripresa del PD. È la speranza del ritorno al “normale” bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra, che rimpiazzi l’attuale governo dei parvenu e ripristini l’agognata alternanza, il pendolo che per vent’anni ha incardinato in Italia il corso delle politiche borghesi di austerità.

 

È una via che non appare in discesa. Le destre (diversamente) reazionarie che governano l’Italia hanno ancora un capitale di consenso complessivamente maggioritario, grazie al tappeto che i governi del PD hanno loro offerto. E il vento europeo non promette nulla di buono. Tuttavia è vero che la crisi del blocco sociale del M5S e il capovolgimento dei rapporti di forza nella maggioranza possono minare la tenuta politica del governo, tanto più a fronte di un compito temerario: varare una legge di stabilità zavorrata in partenza da 23 miliardi per le clausole Iva sullo sfondo di una possibile recessione economica.

Quale alternativa di governo in caso di frana dell’attuale esecutivo? Questo è l’interrogativo che la borghesia liberale si pone. La speranza di una rinascita del PD si pone in questo orizzonte.

Ma cosa c’entra tutto questo con la sinistra?

Una parte di popolo della sinistra appare risucchiata dall’illusione di ritorno nel PD. Un tempo fu l’illusione per Bersani, dopo la stagione liberal di Veltroni. Oggi è l’illusione per Zingaretti, dopo (e contro) la stagione del renzismo.

Ogni volta si cerca nel PD il volto amico di una possibile sinistra rediviva, ma ogni volta si prende una inevitabile facciata. La natura politica e sociale di un partito non dipende dal nome del segretario, ma dalle sue relazioni materiali con le classi sociali e la loro lotta.

Certo, la fisionomia del gruppo dirigente non è irrilevante, e sicuramente il renzismo ha incarnato, coi suoi tratti populisti e bonapartisti di consorteria di provincia, un corso politico particolarmente reazionario del partito.

Ma quel corso politico potè farsi strada nel PD grazie alla natura borghese del partito, ai suoi legami organici col capitale, alla sua vocazione antioperaia.

Questa natura cambia forse con Zingaretti segretario? No. Cambia il corso politico del partito, subentra una gestione più collegiale e meno pirotecnica, si confeziona un’immagine pubblica meno respingente e più attenta in apparenza alle ragioni sociali; ma il cambio d’abito di stagione non cambia la natura del partito che l’indossa. E i primi fatti lo documentano eloquentemente.

Il primo atto di Nicola Zingaretti è stato osannare il TAV. Il secondo è stato applaudire al manifesto europeo di Macron. Non si tratta di scelte casuali. Il nuovo segretario del PD ha voluto segnalare al capitale italiano ed europeo che il partito non ha cambiato la propria ragione sociale: ha voluto assicurare la borghesia che può ancora affidarsi al PD.

Del resto: Gentiloni presidente del PD mette un timbro inconfondibile di continuità, non meno del sostegno a Zingaretti dell’area Franceschini e di Minniti, o del corteggiamento di Calenda. Lo stesso programma del nuovo segretario ne fa fede: nessuna revisione delle misure antioperaie del renzismo (l’articolo 18 resta soppresso), nessuna revisione delle politiche di Minniti sull’immigrazione, a parte il richiamo rituale ai valori democratici e progressisti.

Sarebbe questa… la svolta?

Certo, Luca Zingaretti non è così ingenuo da ripercorrere i sentieri suicidi di Bersani. Se dopo le europee il governo Conte cadrà non offrirà (probabilmente) i voti del PD a un nuovo governo Monti chiamato a varare lacrime e sangue, né spenderà precocemente la carta incauta di un’apertura al M5S. Chiederà probabilmente elezioni politiche, proverà a rilanciare il PD, rifare i suoi gruppi parlamentari (oggi prevalentemente renziani), ricostruire un campo di centrosinistra con chi a sinistra gli farà da stampella.

Con quale obiettivo?

Quello di sempre: riconquistare il governo del capitalismo italiano, amministrare i suoi interessi, riverniciare il tutto con un po’ di salsa progressista. Con chi governare lo vedrà in base agli equilibri del nuovo Parlamento, e senza escludere nessuna soluzione, neppure quella di un governo con il M5S.

Il movimento operaio e le sue ragioni sociali non hanno nulla da spartire col PD, oggi come ieri.

La demarcazione dal PD di un campo di classe dei lavoratori e delle lavoratrici resta una necessità inaggirabile, che l’esperienza dei fatti confermerà ogni giorno, contro ogni illusione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Gilet gialli: è lotta di classe

In e-mail il 26 Dicembre 2018 dc:

Gilet gialli: è lotta di classe

di Aldo Calcidese

I pennivendoli della borghesia e del revisionismo avevano decretato già da molto tempo la fine della lotta di classe, un concetto arcaico e superato.

Hanno fatto finta di non vedere che l’ondata reazionaria, fascista e xenofoba che investe ormai tutti i Paesi non è altro che l’espressione della più feroce e spietata lotta di classe dei padroni contro i proletari e i lavoratori.

In Ungheria il ”sovranista” Orban ha fatto approvare ”la legge sulla schiavitù” che porta da 250 a 400 ore l’anno il monte ore che le imprese possono chiedere a operai e impiegati.

Il pagamento delle ore extra può essere effettuato entro 3 anni.

In Austria un altro governo ”sovranista” dispone che le imprese possono chiedere ai dipendenti di lavorare fino a 12 ore al giorno e 60 ore alla settimana.

In Russia Putin ha dato mandato al governo di Medvedev di chiedere l’innalzamento di 5 anni dell’età pensionabile per gli uomini, da 60 a 65 anni, quando la durata della vita media per gli uomini è di 67 anni, e di 8 anni per le donne, da 55 a 63.

In Brasile il governo Temer stabilisce che la durata normale della giornata lavorativa sia di 12 ore e che la pensione piena si potrà avere con 49 anni di lavoro, quando la vita media è di 66 anni!

In Francia Macron ha completato l’attacco alle 35 ore iniziato già con la legge Fillon nel 2003.

UNA LUCE NEL BUIO

Nel tenebroso panorama della reazione borghese, si è accesa improvvisamente una luce.

Ancora una volta il segnale viene dalla Francia, quella Francia in cui per la prima volta il proletariato ha tentato l’assalto al cielo.

Una rivolta popolare scuote tutto il Paese, con imponenti manifestazioni che hanno rotto la pace sociale tanto utile ai padroni.

Naturalmente i pennivendoli come sempre di fronte a un grande movimento di massa si sono soffermati su qualche macchina incendiata.

Il movimento che si è scatenato in tutto il Paese e che coinvolge operai, disoccupati, lavoratori, studenti, ha espresso precisi obiettivi e rivendicazioni come l’aumento dei salari, il diritto alla casa, le tasse sui grandi capitali.

Il carattere politico delle manifestazioni si è espresso nello slogan ”BOURGEOIS PARIS SOUMET TOI!-BORGHESE PARIGI SOTTOMETTITI, (ARRENDITI)!

Macron ha avuto paura e si è presentato in una conferenza stampa in cui, balbettando, ha recitato una specie di ”mea culpa” e accettato, almeno a parole, le richieste.

Anche l’ Unione Europea, sempre forte con i deboli, si è spaventata, e ha concesso alla Francia di andare oltre il 3% del debito.

Altro che il 2,04 ”coraggiosamente conquistato” da grillini e leghisti!

La borghesia francese, una classe marcia e corrotta, ha una storia infinita di crimini contro il suo popolo e contro altri popoli.

Ha soffocato nel sangue con le armi prussiane la rivolta dei comunardi nel 1871, ha commesso crimini e infamie in Indocina, in Algeria e in altri Paesi, fino all’ultima impresa, la distruzione della Libia per appropriarsi del petrolio di quel Paese e per impedire a Gheddafi di aprire una banca panafricana.

Nel grande movimento di massa che si sta sviluppando spetterà naturalmente ai comunisti assumerne la direzione per indirizzarlo verso l’unico obiettivo, che è l’abbattimento della dittatura borghese.

Nella terribile situazione attuale, ancora una volta l’alternativa è SOCIALISMO O BARBARIE.

Ma, come ebbe ad affermare Bertolt Brecht, in una situazione in cui sembrava che il fascismo dovesse dominare tutto il mondo, ”LA NOTTE PIÙ LUNGA ETERNA NON È”