Più siamo peggio è

Nel numero 442 aprile 2020 dc di A-rivista anarchica, all’interno del Dossier Clima, c’è questa interessante intervista, che ripropongo, sul tema a me molto caro (e che mi fa tremendamente incazzare da sempre) della sovrappopolazione:

Più siamo peggio è

intervista di Carlotta Pedrazzini a Luca Mercalli

Perché, quando ci occupiamo di crisi ambientale, è importante parlare anche di controllo delle nascite? Lo abbiamo chiesto a Luca Mercalli, climatologo, divulgatore scientifico, presidente della Società Meteorologica Italiana.

In un sistema chiuso nessuna specie può crescere all’infinito senza creare danni irreversibili all’ambiente in cui è inserita e a se stessa. Nemmeno quella umana.

Eppure parlare di controllo delle nascite in relazione alla crisi climatica e ambientale è considerato un tabù, non solo negli ambienti religiosi e di destra.

Anche la sinistra non ha mai voluto occuparsi seriamente della questione per non entrare in conflitto con la chiesa, lasciando la battaglia per il controllo delle nascite a una minoranza più radicale e anarchica, che la porta avanti da oltre un secolo.

Certo sarebbe scorretto pensare di fronteggiare il cambiamento climatico concentrandosi solo sulla demografia: il controllo delle nascite non sostituisce la critica all’attuale sistema economico e sociale generatore di diseguaglianze e inquinamento, ma questo non può farci tralasciare il tema dell’impossibilità di una crescita infinita, anche della popolazione.

Carlotta – Che relazione c’è tra crescita demografica e crisi ambientale?

Luca – Tutti noi consumiamo risorse e, in una società sempre più tecnologica, ogni persona consuma sempre più energia, beni, materie. Dunque al di là dell’emotività, dei tabù sociali e religiosi di cui possiamo caricare il problema demografico, se ci concentriamo su parametri fisici non c’è nulla da fare: il mondo ha una capacità limitata di rifornirci (di materie prime, di energia, ecc.) e di assorbire i nostri rifiuti, che diventano sempre più complessi.

Quello dell’uso delle risorse non rinnovabili e dei rifiuti non biodegradabili è un problema a lungo termine.

In passato ci sono stati momenti di crisi locali di sovrappopolazione, con relativi problemi alimentari o anche sanitari, ma gli effetti non ricadevano sulle spalle delle generazioni future – pensiamo alla Londra del Seicento, una città sovrappopolata con problemi nella gestione dei rifiuti, che erano organici e biodegradabili e dunque non producevano effetti a lungo termine.

Oggi invece è tutto cambiato, abbiamo materiali complessi, chimica di sintesi, tutto un insieme di prodotti di scarto che sono tossici e che generano lasciti a lungo termine, per secoli, per millenni.

Anche per quanto riguarda il cambiamento climatico, il danno che stiamo facendo oggi è a lunghissimo termine. Il problema odierno è quello dell’irreversibilità delle alterazioni che provochiamo. Se non ci fosse il problema dell’irreversibilità, la questione non sarebbe così pressante, invece lo diventa perché tutti i danni fatti a partire dalla rivoluzione industriale si sono trasformati in problemi globali a lungo termine che andranno a toccare il funzionamento dei processi futuri del pianeta per un periodo indeterminato, per secoli e millenni, compromettendo la vita di tutte le generazioni future.

Come si risponde, da un punto di vista ambientale, a chi parla di crisi demografica e di necessità di fare più figli per sostenere l’attuale sistema economico e sociale?

C’è chi oggi invoca l’aumento della natalità pensando, ad esempio, alle pensioni, senza riflettere sul fatto che le risorse sono finite.

Ma se il sistema pensionistico, così com’è impostato, ha funzionato bene fino a un certo punto e adesso non si sostiene più, possiamo cambiarlo.

È più facile cambiare il sistema pensionistico piuttosto che le leggi della termodinamica, eppure questa cosa non riusciamo a capirla. Le leggi fisiche, a differenza dei sistemi pensionistici, sono invarianti, sono così da miliardi di anni e non cambiano secondo i desideri umani; come diceva Leopardi nel Dialogo della natura e di un islandese: “Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo”. Chi non si avvede? La natura, il complesso delle leggi fisiche, chimiche, biologiche che funzionano da miliardi di anni su questo pianeta. Ritengo che sia assurdo voler rimettere in moto la natalità quando si ferma, come in Italia, perché se ciò accade significa che si è raggiunto un equilibrio.

A dire il vero in Italia, anche se la natalità è rallentata, non si è comunque raggiunto un equilibrio, perché si vive molto al di sopra delle proprie possibilità in termini di risorse, che infatti vengono prelevate da altri Paesi del mondo.

Se dovessero vivere utilizzando le risorse del loro territorio, le persone che oggi abitano in Italia, 61 milioni di persone, avrebbero un tenore di vita peggiore di quello degli anni ‘30, perché la terra a disposizione non basta a produrre il cibo che consumano e l’energia che utilizzano.

Alla fine quello che conta, quando si affronta questo argomento, sono i numeri, la quantità di risorse, per questo è necessario il controllo delle nascite; queste cose erano già state dette e scritte più di quarant’anni fa, ma ci si è sempre approcciati all’argomento con un modo scostante e offensivo e il risultato è che oggi siamo ancora fermi qui.

Il concetto è trovare quello che gli ecologi, da oltre 50 anni, chiamano la “giusta capacità di carico”, ossia quel numero di persone che possono stare su un territorio – o, per estensione globale, sull’intero pianeta – vivendo bene e senza creare danni al territorio stesso. Farlo è utile e non va inteso come qualcosa di ideologico, ma di fisico; quel limite, infatti, può essere calcolato, perché ognuno di noi usa una certa quantità di energia, di cibo, di terreno, di legno, di pesce degli oceani, produce una certa quantità di rifiuti.

I tre indicatori a cui guardare quando si affronta questo tema sono: risorse disponibili, numero di esseri umani e livello di vita di questi esseri umani.

È giusto rendere il mondo più sostenibile con l’economia circolare, facendosi aiutare dalla tecnologia, ma dobbiamo tenere conto che se si vuole stare bene e assicurare a tutti un alto livello di benessere, dovremmo essere 2 miliardi. Invece siamo 8.

Perché? Chi ci ordina di continuare a essere sempre di più?

Ovviamente la questione non è ridurre la popolazione attuale, ci tengo a sottolinearlo, ma fermarsi al momento giusto, non continuare a crescere in maniera esponenziale.

IL PERICOLO DI UNA DERIVA AUTORITARIA

Carlotta – Chi si occupa di aborto e di controllo delle nascite spesso viene accusato di voler limitare la libertà delle donne, la loro scelta di maternità. Lo stesso succede a chi mette in relazione aumento demografico e crisi ambientale. Cosa rispondi a chi ritiene che sottolineare la correlazione tra aumento demografico e crisi climatica significa auspicare politiche autoritarie e lesive della libertà delle donne, come le politiche del figlio unico in Cina, ad esempio?

Luca – Dico che è vero il contrario. È proprio nei Paesi in cui si verificano esplosioni demografiche che la libertà delle donne è limitata.

Nelle società patriarcali africane, ad esempio, la donna fa tanti figli anche se non li vuole.

Ci sono persone che dicono che il controllo delle nascite è una limitazione della libertà delle donne, quando invece le donne che fanno tanti figli molto spesso sono quelle che non hanno la libertà di scegliere.

Cominciamo a fare in modo che queste donne abbiano la libertà di scegliere; in tutti i Paesi in cui questo è stato fatto la natalità è sempre scesa.

Se non inizieremo a mettere in relazione l’aumento demografico e la crisi ambientale, le disposizioni autoritarie arriveranno sicuramente.

Lo dimostra l’attuale emergenza sanitaria legata al coronavirus. Non si stanno forse prendendo misure autoritarie? Però le persone con la strizza stanno zitte e le accettano, accettano che si blindino paesi e che si metta la polizia alle porte, ma ci rendiamo conto che si tratta di un coprifuoco che non si vedeva dal 1945?

Qualcuno, per caso, ha sollevato il problema della libertà? Quando i problemi ambientali diventeranno pari a quelli oggi percepiti per il coronavirus o peggio, verranno fatte scelte autoritarie.

Al contrario, la riduzione della popolazione raggiunta attraverso l’educazione sessuale è una disposizione democratica. Fare semplicemente educazione familiare e sessuale, e riconoscere alle donne il ruolo che meritano nella società, risolverebbe la questione.

Carlotta – Visto che nessuna specie, inclusa quella umana, può crescere in maniera illimitata all’interno di un sistema chiuso, è chiaro che dietro alla negazione che fare molti figli influisca sull’ambiente ci siano, di fatto, dei pregiudizi di tipo politico e religioso: politico perché non si vuole che la donna si sottragga all’unico ruolo previsto per lei nella società: il ruolo di madre; religioso perché parlare di controllo delle nascite significa parlare di contraccezione, di aborto, di sessualità libera, significa slegare il sesso dalla procreazione.

Luca – Assolutamente sì, si tratta di temi che frequento di meno perché solitamente mi occupo della parte fisica della questione, ma mi portano a dire che se non apriamo una seria discussione priva di pregiudizi, non potremo risolvere un problema così complesso.

La soluzione non ce l’ha nessuno, e io non voglio certo mettermi nella situazione di dire “so come risolvere, vi do la soluzione”. Mi limito a esporre il problema, la soluzione poi la dobbiamo trovare insieme.

Ci dovrà essere un colossale sforzo scientifico e umanistico, dove tutta la conoscenza che abbiamo dovrà essere messa a disposizione.

Quindi parliamo, affrontiamo l’argomento, perché se non lo facciamo continueremo a vivere nel problema. Se non parliamo, non troveremo certo le soluzioni.

In ultimo, ci tengo a dare qualche consiglio bibliografico: vorrei segnalare il libro di Alan Weisman, Conto alla rovescia (Einaudi 2014), un testo molto interessante proprio sul tema della sovrappopolazione, e i miei due libri Non c’è più tempo (Einaudi 2018) e Il clima che cambia (BUR 2019).

Carlotta Pedrazzini

Congresso mondiale delle famiglie: il Circo Barnum del regresso

Da MicroMega 25 Marzo 2019 dc:

Congresso mondiale delle famiglie: il Circo Barnum del regresso

di Adele Orioli

Si scrive Congresso mondiale delle famiglie si legge intolleranza e inciviltà. Molti occhi sono puntati su Verona dove per il prossimo fine settimana si terrà un apparentemente innocuo consesso dall’altrettanto apparentemente rassicurante titolo di Congresso mondiale delle famiglie, organizzato annualmente in varie parti del globo dall’Organizzazione mondiale per la famiglia (IOF), lobby cristiana statunitense sorta con il dichiarato scopo di “unire e dotare i leader di tutto il mondo di strumenti per promuovere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”.

Dove per famiglia naturale, casomai ci fossero dubbi, è da intendersi esclusivamente “l’unione di un uomo e una donna in un’alleanza permanente suggellata col matrimonio” e dalla quale deriva evidentemente la netta condanna di tutto ciò che non ne sia pienamente conforme.

D’altronde la stessa nascita dell’Iof, consacrata a Praga nel 1997 con la prima edizione di questo Congresso, prometteva male: da una sinergia tra il white nationalism americano e il suo omologo russo, in particolare dalle prime elaborazioni di Allan Carlson, reganiano di ferro, Anatoly Antonov e Viktor Medkov che identificano nella rivoluzione sessuale e femminista la causa della crisi demografica occidentale, evidentemente non sono nati diamanti.

Le donne (bianche) non sono più le incubatrici di una volta, urge correre ai ripari e riunire sotto la stessa egida quante più lobbies e quanto più conservatrici (ultrà conservatori, per usare la definizione di Ulrika Karlsson, del Forum parlamentare europeo sulla popolazione e lo sviluppo) possibili. Detto fatto, e anche se con qualche interruzione e qualche battuta di arresto, grazie anche a ingenti donazioni, si mormora filogovernative russe, il Wfc è pronto a sfoderare la sua pletora di oscurantismi questa volta in salsa scaligera.

Va detto che per quanto la preminenza resti al fondamentalismo cristiano, spinte probabilmente dall’adagio del “il nemico del mio nemico è mio amico”, anche retrograde componenti di religione ebraica e islamica si sono man mano aggiunte al consesso, affinando le armi non solo propriamente retoriche contro tutto ciò che non sembra, o peggio che non vuole, corrispondere a una rigida visione omofoba, sessista e patriarcale dei rapporti socio affettivi. Iniziative brillanti come il pieno appoggio alla legge russa sulla propaganda gay del 2013 (più correttamente, Legge per lo scopo di proteggere i bambini dalle informazioni che promuovono la negazione dei valori tradizionali della famiglia) o della criminalizzazione dell’omosessualità in Uganda hanno fatto guadagnare al Wfc l’inserimento nella lista dei gruppi d’odio da parte delle maggiori associazioni a tutela dei diritti umani e lgbtq.

D’altronde basta buttare un veloce sguardo agli ospiti internazionali attesi dalla città di Giulietta per capire come tiri una brutta, bruttissima aria, e come il vento del cambiamento, per citare lo slogan scelto dallo stesso Wfc sia in realtà un miasma oscurantista e aberrante nella sua tranquilla sfacciataggine negazionista dei diritti umani.

Si va dal patriarca ortodosso Dimitri Smirnov (“chi sostiene l’aborto è un cannibale” e “l’omosessualità è contagiosa come la peste” tra i suoi aforismi migliori) a Igor Dodov, quel presidente della Moldavia che per festeggiare la suprema carica ha pensato bene di chiosare con un “Non ho mai promesso di essere il presidente degli omosessuali, avrebbero dovuto eleggere il loro presidente”. Dalla croata Zeljka Markic, promotrice del referendum che ha escluso nel suo Paese il matrimonio samesex e che preferirebbe dare un figlio ad un orfanotrofio piuttosto che a una coppia omosessuale, alla nigeriana Theresa Okafor che considera il preservativo “una trappola, esportata in Africa per soffocare la vita”.

Dalla parlamentare ugandese che sostiene la pena di morte per il reato di omosessualità allo stesso fondatore Carlson, che ringrazia i partecipanti “a questa crociata morale e sociale”, fino al presidente del Iof, Brian Brown, accanito sostenitore delle terapie riparative o di conversione.

Il Gotha del fondamentalismo integralista religioso, il Circo Barnum del regresso.

Ma ancora non si è detto delle illustri presenze nostrane. In prima fila la proctologa Silvana de Mari, quella che ritiene il sesso anale rito iniziatico al satanismo e che è stata condannata per diffamazione aggravata e continuata a mezzo stampa delle persone Lgbti. Non ultimo, il portavoce di Pro Vita, Alessandro Fiore casualmente figlio di quel Roberto leader di Forza Nuova.

Ma, soprattutto, gli esponenti istituzionali. E qui è uno dei veri nodi del problema, perché il Wfc è un problema. È lecito per uno Stato che si dice democratico, che si suppone laico o quantomeno pluralista, appoggiare istituzionalmente un gruppo che nega il diritto all’aborto e in generale all’autodeterminazione sessuale e riproduttiva, che fomenta l’odio, che pratica l’omofobia, che finanzia falsi studi per dimostrare la correlazione tra matrimonio egualitario e pedofilia o tra aborto e cancro al seno, che considera l’emancipazione femminile un danno sociale?

No, ovviamente. A meno che il suddetto Stato non sia il nostro.

E allora schieràti fra gli ospiti abbiamo il ministro dell’Interno Salvini, il ministro della famiglia rigorosamente al singolare Fontana, il ministro dell’Istruzione Bussetti.

E ormai quasi poco importa il ridicolo balletto dei patrocini: revocato ufficialmente quello della Presidenza del Consiglio, dopo peraltro migliaia di firme raccolte dalla petizione lanciata da All out e un coro non indifferente di polemiche, rimane quello del ministro senza portafoglio Fontana, quello della Regione Veneto, quello della Provincia di Verona e, in impulso di solidarietà, quello della regione Friuli Venezia Giulia (che, come ironicamente commentato sul web, d’ora in poi si chiamerà solo Friuli Venezia che in omaggio ai principi del Wfc Giulia è rimasta a casa a lavare i piatti).

Poco importa il pallido tentativo di smarcamento della componente gialla del governo bicolor, anche se va sottolineato che fra organizzatori e ospiti stiamo parlando di persone direttamente responsabili della severa negazione di diritti altrui, di discriminazioni e in taluni casi di vere e proprie persecuzioni. Un po’ troppo, per dei semplici sfigati come sostiene che siano un sottovalutante Di Maio.

Una passerella grondante odio e anche letteralmente sangue: nel mondo, più di dieci i Paesi che puniscono con la morte la blasfemia, un terzo del totale considera a vario titolo l’omosessualità un reato.

Persino la Chiesa Cattolica, dotata di un ottimo livello di equilibrio egoista, si è smarcata, a suo modo, dal Wfc tramite il segretario di stato vaticano Parolin, peraltro ospite della passata edizione. Preoccupati, dicono, dal rischio dell’uso strumentale di valori per obiettivi politici, condividono la sostanza ma non il metodo. E sulla sostanza, come smentirli? D’altronde tra un cannibale abortivo o un sicario alla Bergoglio tanta differenza non sembra in effetti passare. Sul metodo, diamo atto alle gerarchie ecclesiastiche, pontefice massimo in testa, di avere un utilizzo decisamente più raffinato della metafora e della parafrasi.

Tutto qui? No, per fortuna no. Perché c’è anche un’altra Verona e un’altra Italia. E per la prima volta al Wfc si opporrà una vera e propria sinergia di piazza tra associazioni e movimenti nazionali e internazionali, quell’insieme di società civile che l’oscurantismo non lo avalla e non lo accetta, che guarda avanti e non indietro, che è pronta per il rispetto e il riconoscimento delle differenze, che “naturale” considera l’autodeterminazione e non dogmi retrivi o visioni patriarcali della società.

L’Uaar e l’IPPFEN (International Planned Parenthood European Network) in collaborazione con Rebel Network insieme a una vastissima rete di associazioni e movimenti hanno organizzato un convegno per il 30 marzo, presso l’Accademia dell’agricoltura, lettere e scienze, uno spazio di riflessione comune che porterà poi al corteo previsto nel pomeriggio e organizzato dal collettivo femminista Nudm (Non Una Di Meno).

Ora più che mai è necessario coagulare le forze contro questo tornado oscurantista che seriamente rischia di minare diritti conquistati con fatica nel corso di anni se non secoli e diritti ancora lontani dall’essere pienamente riconosciuti e tutelati. Perché saremo anche a Verona, ma non restiamo al balcone.

Ansia per il futuro? Allora NON leggete cosa vi aspetta. 1 – Demografia, alimentazione, clima e guerre

Da Hic Rhodus 21 Marzo 2016 dc:

Ansia per il futuro? Allora NON leggete cosa vi aspetta. 1 – Demografia, alimentazione, clima e guerre

Astrologia a parte, che non interessa Hic Rhodus, c’è un serio filone di studi che cerca di prevedere il futuro. Una previsione probabilistica, ovviamente, basata sui dati disponibili al momento e loro proiezioni; una previsione quindi orientativa che nulla ha di deterministico. Si chiamano future studies(generalmente al plurale), sono praticati in numerose branche di studio (da fisici come da sociologi, per intenderci) e se digitate il termine su Google troverete moltissimi materiali che non ho intenzione di proporvi qui. Proverò invece a estrapolare una sorta di piccola sintesi di ipotesi di natura e peso differente (non tutte basate su studi accademici, non tutte parimenti accreditate anche se nessuna ripresa da fonti palesemente screditate e amatoriali). Il quadro complessivo che si delinea non è particolarmente rassicurante; lo riepilogherò alla fine.

Demografia

pil22Mi sembra necessario partire da qui: quanti saremo fra un po’ d’anni? Secondo studi ONUsaremo oltre 9 miliardi nel 2050; la metà di 9 miliardi saranno residenti in soli nove paesi: India, Pakistan, Nigeria, Etiopia, Stati Uniti, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Tanzania, Cina e Bangladesh. Ma quel che più conta è che 8 di quei 9 miliardi risiederanno nei paesi più poveri, mentre il ricco Occidente resterà più o meno invariato come popolazione solo grazie alla massiccia immigrazione. Queste proiezioni ONU si basano sull’ipotesi di unadiminuzione globale della fertilità nei paesi in via di sviluppo; in caso contrario altro che 9 Miliardi! Alcune interessanti elaborazioni di questi dati le trovate QUI dove potrete osservare il ritmo forsennato del crescente sviluppo demografico; quando è nato il mio bisnonno in tutto il mondo erano un po’ più di 1,2 miliardi; quando sono nato io eravamo 2,5; quando è nato mio figlio circa 4,5; con mio nipote eravamo già oltre i 7 miliardi…

Alimentazione

Schermata 2016-03-05 alle 16.53.18Per nutrire quei 9 miliardi di individui occorrerà, nel 2050, il 60% in più di cibo rispetto al 2006 (fonte: World Resources Report;QUI una sintesi; QUI il rapporto completo); occorre quindi investire in un’agricoltura che, contrariamente all’attuale, eviti impatti ambientali. Attualmente il settore agricolo è responsabile del 24% della produzione di gas serra e per il 70% dello sfruttamento dell’acqua e delle falde (stessa fonte). È facile capire come l’aumento auspicato di produzione di cibo, ai livelli necessari, deve realizzarsi in maniere completamente differente da quelle attuali. Oltre a produrre cibo in maniera sostenibile diverrà fondamentale imparare a non sprecarlo. Attualmente un quarto di tutto il cibo prodotto al mondo viene sprecato (stessa fonte), particolarmente nel ricco Occidente ma massicciamente anche nell’Asia industrializzata.

Cambiamento climatico e produzione di cibo

Purtroppo per realizzare un’agricoltura sostenibile e sfamare tutti quanti occorre fare i conti col cambiamento climatico già gravemente compromesso, come abbiamo discusso su HR non molto tempo fa. Non si tratta solo di avere terreni coltivabili difesi dalla desertificazione con fonti d’acqua per l’irrigazione eccetera. Ma di economie di mercato che cambieranno in ragione della difficoltà a produrre quel cibo. Guardate per esempio questa figura (fonte: Oxfam):

Schermata 2016-03-05 alle 17.14.21

Il mais – fonte principale di nutrimento per ampie popolazioni del Sud America – potrebbe raddoppiare di prezzo in caso di scenario climatico negativo; il riso – altro elemento base per molte popolazioni asiatiche – fra il 40 e l’80%. Disuguaglianze alimentari, malnutrizione, mortalità infantile e molte altre sciagure continueranno insomma ad essere all’ordine del giorno.

Cambiamento climatico e migrazioni

Schermata 2016-03-05 alle 17.33.15Il problema del cambiamento climatico, sia in quanto a desertificazione di aree equatoriali sia come sommersione dalle acque a cause dello scioglimento dei ghiacci, agendo sulla possibilità di produrre cibo, alimenterà i flussi migratori. Le conseguenze dirette e indirette entro il 2100 potrebbero coinvolgere circa 500 milioni di persone (fonte: Focsiv); questi fenomeni sono poco considerati in Europa, dove affrontiamo migrazioni di altro tipo (prossimo paragrafo) e ignoriamo che dal 2008 al 2014, oltre 157 milioni di persone sono già state costrette a spostarsi per eventi meteorologici estremi (fonte: Internal Displacement Monitoring Centre).

Guerre e migrazioni

La violenza ha costretto alla migrazione 38 milioni di persone negli anni recenti; 11 solo nel 2014 (fonte: Internal Displacement Monitoring Centre). Su questo tema abbiamo pubblicato diversi articoli su HR che i lettori troveranno facilmente dove si sottolinea come il fenomeno non sia contingente e temporaneo ma destinato a durare per molto tempo. Schermata 2016-03-05 alle 17.50.04Considerate cheun serio studio delle Nazioni Unite considera – al netto dei flussi dovuti alla guerra e al terrorismo– che per contrastare il drammatico calo di natalità in Europa serviranno entro il 2050 oltre 47 milioni di immigrati, dei quali 12,5 solo in Italia, ma ci sono scenari peggiori (per esempio per mantenere l’equilibrio fra popolazione attiva e non attiva servirebbero addirittura 674 milioni di immigrati in tutta Europa). Vale a dire: per mantenere il nostro tenore di vita, assicurare produttività e PIL al Paese e pagare le pensioni di anzianità, saranno indispensabili, specialmente in Italia, milioni di lavoratori extracomunitari. Naturalmente non ci sono dati sui migranti che arriveranno a causa delle guerre future ma alcune riflessioni possiamo farle.

Le guerre nel futuro

Schermata 2016-03-05 alle 19.43.28Non ci saranno dati, certo, ma previsioni sì; possiamo facilmente immaginare i think tank militari impegnati a costruire scenari, ipotesi, tattiche e strategie per sconfiggere nemici e accaparrarsi risorse. Non ci sono proiezioni pubbliche sul futuro ma abbiamo però indicatori indiretti, per esempio la spesa militare che negli ultimi vent’anni è sempre cresciuta, nel mondo, arrivando alla cifra globale stimata di 1.776 miliardi di Euro nel 2014, pari al 2,3% del PIL mondiale (fonte: Iriad su dati Sipri). Dietro questo dato generale ci sono cambiamenti interessanti; per esempio gli Stati Uniti è notevolmente calata la spesa, cresciuta moltissimo in altri scenari di guerre attuali e (forse) future. Per esempio, del pericolo di un prossimo conflitto Cino-Giapponese abbiamo parlato da poco su HR.

Il cambiamento degli equilibri internazionali

Che il mondo stia cambiando è sotto gli occhi di tutti. Il Medio Oriente sta velocemente collassando e l’avanzata del Daesh e dei suoi affiliati sta cambiando parte dell’Africa. La Cina avanza pretese egemoniche nel Pacifico. Nei prossimi dieci anni dovremo cambiare più volte gli atlanti. Ma al di là delle modifiche dei confini a seguito di guerre, ci sono le già menzionate migrazioni a dare volti nuovi al mondo e – così chiuderemo il cerchio col primo paragrafo – i processi demografici che non fluiscono in maniera analoga in tutti i paesi. Per esempio quelli musulmani hanno tassi di fertilità notevolissimi e da qui al 2050 saranno sostanzialmente in numero analogo, nel mondo, a quello dei cristiani (fonte: Neodemos su dati Pew Research Center). Tutto questo sarebbe assolutamente indifferente se non fosse che i problemi nell’arcipelago musulmano sono ampi, crescenti e cruenti coinvolgendo violentemente il mondo occidentale (ne abbiamo parlato QUI).

Energia

Gli scenari fin qui delineati parlano di cambiamenti climatici che renderanno difficile un’agricoltura sostenibile capace di sfamare i miliardi che saremo. E di guerre. Una delle principali motivazioni delle guerre è l’acquisizione di fonti di energia. Anche se la necessità di carburanti fossili sta già diminuendo (fonte: World Energy Outlook) e continuerà a diminuire, a favore di energie alternative più pulite, la necessità di idrocarburi resterà impellente nei prossimi anni. Basti pensare che ancora oggi 1,2 miliardi di persone non hanno accesso all’elettricità, e che il 95% di costoro vivono nell’Africa subsahariana e in Asia (fonte). Per alcune di queste popolazioni, per esempio i cinesi e gli indiani, progresso e benessere significa ovviamente anche un’automobile, un condizionatore d’aria e altri simbolici strumenti di una vita più agiata che, in milioni di esemplari, impattano in maniera devastante sull’ambiente e sul consumo energetico. Uno studio prospettico di alcuni anni fa, definito “ottimistico” dal suo stesso autore, mostra un picco di consumo energetico che va esaurendosi in questi anni e che declinerà (ma non in maniera uguale in tutte le aree del mondo) fino al 2100:

Schermata 2016-03-06 alle 09.27.55

Fonte: Gian Paolo Beretta, World Energy Consumption and Resources: An Outlook for the Rest of the Century for the Rest of the Century

Ma risorsa – come abbiamo accennato trattando della produzione di cibo – è anche l’acqua; uno studio un po’ datato stimava che nel 2025 Schermata 2016-03-06 alle 09.40.08il 40% della popolazione mondiale vivrà in aree con problemi (da moderati a estremi) di insufficienza d’acqua, e che tale percentuale potrebbe salire al 60% combinando i dati dello sviluppo industriale, cambiamento climatico, etc. (fonte). L’OECD, proprio in ragione di questo quadro, sostiene progetti per un’agricoltura moderna capace di consumare meno acqua (fonte, anche della figura a fianco: OECD).

Riassumendo questa prima parte: la popolazione mondiale cresce a ritmi difficilmente sostenibili; i bisogni di cibo e acqua si moltiplicheranno ma, complici i cambiamenti climatici e l’industrializzazione, i terreni coltivabili, le risorse d’acqua e le fonti energetiche diverranno problematici. Ciò produrrà massicce migrazioni e potenziali scenari di guerra.

Vedremo nella seconda parte cosa accadrà (forse) nel futuro per altri importanti aspetti sociali.

Donne che scelgono di non avere figli

Donne che scelgono di non avere figli Un documentario apre il dibattito. Su l’Espresso.it 19 Gennaio 2015 dc. Nei commenti sul sito si può constatare lo squallore della mente dei natalisti.

Un pianeta sempre più affollato – Le Scienze

Un pianeta sempre più affollato – Le Scienze. 22 Settembre 2014 dc. “Limitare la popolazione nei Paesi in via di sviluppo”. Certo, ma anche in quelli “sviluppati”, siamo in troppi anche lì!

Jàdawin di Atheia