La malvagità

Da Hic Rhodus 8 Marzo 2021 dc:

La puntata 11. di un dossier (annunciato in) 10 punti da titolo Pensare la Democrazia nel Terzo Millennio

La malvagità

di Redazionerhodus

11. La malvagità esiste come conseguenza di un cattivo funzionamento di uno dei punti precedenti. Solitamente è conseguenza di stupidità e ignoranza, ma nei casi necessari la società ha il dovere di risolvere alla radice, e velocemente, la causa del male. Non voglio disconoscere anche una causa “organica” al male: ormai sappiamo che il cervello è una sorta di laboratorio chimico produttore di ogni stato d’animo, e possiamo anche immaginare una veramente esigua minoranza di individui che fanno il male per un problema, forse irrisolvibile, di carattere organico; oppure – se rifiutate questo approccio organicista – individui che fanno il male per un irrecuperabile mostruoso trauma infantile. O quello che vi pare. Ciò che intendiamo dire è questo: poniamo pure (non ci interessa) che ci sia un’infima percentuale di persone pericolose e malvagie che, per una qualunque ragione, sono irrecuperabili. Tutte le altre persone che fanno del male – questo sosteniamo – lo fanno solo per una delle seguenti ragioni: perché stupide, perché ignoranti, perché costrette, o per un insieme di queste cause.

11.1 Le eventuali persone malvagie irrecuperabili, ammesso e non concesso che si possa dimostrare che sono irrecuperabili, vanno messe in condizione di non nuocere alla società; decidete voi come ma qui smettiamo di interessarci al loro destino. Poiché però non crediamo ci sia accordo sull’irrecuperabilità degli individui malvagi, crediamo che i) ce li dobbiamo tenere e ii) ci dobbiamo nel contempo proteggere, nel mentre iii) cerchiamo forme adeguate di recupero (con farmaci, terapie psicologiche, esperienze rieducative…). Il punto centrale è la difesa della società. Se ci dobbiamo difendere dagli stupidi e dagli ignoranti dobbiamo anche identificare, isolare rendere innocui i malvagi considerati irrecuperabili o dei quali ipotizziamo, auspichiamo un recupero. Una giustizia giusta a protezione della collettività, con braccia investigative adeguate, è evidentemente imprescindibile in una società razionale e democratica. Lasciar correre, non investire in sicurezza, abbandonare le periferie allo spaccio e alla prostituzione, lasciare impuniti crimini odiosi, è il modo migliore per favorire reazioni populiste, giustizialiste, e infine antidemocratiche.

11.2 Alla malvagità derivante dalla stupidità e dall’ignoranza si contrappone una lotta alla stupidità e all’ignoranza, essendo la malvagità semplicemente una loro conseguenza.

11.3 C’è anche la malvagità indotta dalla necessità. Non il banale rubare perché si ha fame (questa non la chiameremmo malvagità) ma perché circostanze della vita ti hanno condotto in luoghi malvagi, e in seguito hai dovuto assuefarti ad essi, per sopravvivere. Crediamo che l’esempio più chiaro riguardi molti immigrati che diventano preda di cosche mafiose, di racket, di malfattori. Dubitiamo che questi migranti abbiano scelto di venire in Italia per delinquere; ma il loro destino si è incontrato con uno Stato assente, distratto, pauroso dell’opinione pubblica, semmai punitore a vanvera. Abbandonati a loro stessi, senza speranze e senza possibilità di costruirsi un progetto di vita, molti di questi finiscono per compiere azioni che probabilmente non avrebbero voluto, in circostanze migliori, e quindi – complice anche l’ignoranza, perché no? – possono compiere delitti che turbano l’opinione pubblica, in un circolo vizioso che produce solo più emarginazione e più dolore.

11.4 Uno stato democratico, intelligente, razionale, promuove la rimozione delle cause che possono creare stati di necessità e deriva malavitosa. In generale il proibizionismo e ogni legge liberticida inducono conseguenze malavitose e tendenzialmente violente. Queste leggi creano consenso perché inducono paura; la paura dei migranti violenti viene combattuta con leggi antimigranti assolutamente inefficaci che portano molti di costoro a delinquere, e ciò induce taluni a indicare, in tale delinquere, la necessità di quella legge. Così in tema di droga. Così in tema di aborto e fine vita. Così in tutti i temi sociali in cui, anziché una risposta sociale (economica, educativa…) si punta a una cieca e stolida repressione, che intasa inutilmente il lavoro dei magistrati e sovraffolla le galere, in una spirale discendente dove le vittime sono anche quelle finite nelle maglie di una giustizia ingiusta [Cap. 8].

11.5 Combattere le ingiustizie, abolire le leggi proibizioniste, ripensare all’immigrazione, non sono temi “di sinistra”, né temi “giusti” sotto il profilo morale, ma semplicemente comportamenti logici, razionali, di efficacia e pace sociale. Abolire le ingiustizie significa limitare la povertà, l’umiliazione, l’ignoranza, l’emarginazione, e quindi diminuire il malaffare, la violenza, l’insicurezza sociale e, di conseguenza, migliorare la convivenza e le fortune del nostro Paese. È naturalmente una cosa splendida che associazioni filantropiche si occupino di senzatetto, emarginati e immigrati, ma è lo Stato che deve essere l’attore principale delle rimozione delle ingiustizie proprio per la visione democratica che deve avere, cioè una visione di pace e armonia sociale, capitale sociale correttamente impiegato, efficacia ed efficienza dei meccanismi sociali, protezione dei diritti degli individui e, in conclusione, un migliorato livello di benessere per tutti.

Piccoli slittamenti amorali

Da Hic Rhodus il 15 Luglio 2015 dc:

Piccoli slittamenti amorali

di Bezzicante

signore-delle-mosche

Gli uomini fanno il male come le api il miele (Golding)

Con un certa sofferenza personale devo esplicitare – prima di tutti a me stesso – questa consapevolezza che prende forma nella mia coscienza: l’impossibilità di perseguire una verità, se volete utilizzare subito categorie importanti, o anche solo l’impossibilità della linearità della condotta, quella della semplicità della conciliazione fra pensiero e azione. Noi – questo il succo della mia riflessione – non solo non pensiamo sempre le stesse cose, non professiamo sempre gli stessi valori, cambiandoli invece con impressionante velocità in base alle circostanze e convenienze ma, di più, riteniamo di difendere valori fondamentali che sono costantemente traditi dai nostri comportamenti. Siamo dei concentrati di contraddizione solitamente non rilevata, non riconosciuta. Vorrei allora provare a farvela notare per fare una sorta di esperimento esistenziale: vorrei segnalare dei casi esemplari di tale contraddizione; ammesso che la rileviate anche voi – non è detto – cosa ne pensate? Vi lascia indifferenti? Anticipo che lo scopo non è di infastidirvi o farvi rammaricare per le vostre contraddizioni; nelle conclusioni cercherò di recuperare il senso profondamente umano di questa schizofrenia dell’esistere.

Esempio n° 1 – In America un pedofilo viene sorpreso in azione dal padre di una giovanissima vittima, viene gonfiato di botte e lasciato esanime a terra; la polizia e il sistema giudiziario americano appoggiano il padre, che non viene perseguito per le gravissime lesioni, mentre il pedofilo viene condannato a 25 anni. Vi invito non tanto a leggere l’articolo ma i commenti sull’HuffPost. Una quantità di persone appoggiano il padre e pochissimi sostengono tesi contro la giustizia-fai-da-te. Voi cosa ne pensate? Io credo due cose contemporaneamente: credo che se fossi stato il padre avrei fatto la stessa cosa e credo che – non essendolo – devo condannare il padre e il sistema di giustizia americano, dove il corsivo su ‘devo’ significa che escludo dal giudizio la mia soggettività emotiva, il mio senso di partecipazione come padre, la mia identificazione nella vittima dell’abuso. Quando, in questi casi, i giustizialisti ti chiedono “vorrei vedere come la penseresti se fosse stato tuo figlio ad essere molestato” sbagliano, perché cercano di sottrarre il tuo pensiero dalla sede di distaccata razionalità, di equilibrio e di tentativo di giudizio generalizzabile (per quel che si può) per farti precipitare nel buco nero dell’identificazione passionale, della rabbia emotiva, della difesa primordiale del proprio territorio e della propria tribù. Lo scostamento, fuori da immagini figurate, è quello fra morale e amoralità. La morale, essendo un costrutto complesso di asserti, è ovviamente sempre inadeguata ai contesti, deve sempre cercare di modellarsi e rimodellarsi e quindi si presta a critiche, a incompletezze, ad errori. L’amoralità (e quell’a- privativo chiarisce bene) non è regole, non è asserti, non è costrutti logici ma la loro assenza. L’assenza è sempre equilibrio, mentre la presenza è sempre condannata al disequilibrio. Io probabilmente a parità di condizioni avrei gonfiato di botte il pedofilo, così come avrei sparato ai ladri intrufolatisi in casa, ma ciò che individualmente e violentemente avrei fatto come individuo è giustamente sanzionato dalla società.

D’altronde non siamo noi che condanniamo le giustizie sommarie degli altri? L’adultera lapidata in seguito a una sentenza di un qualche tribunale tribale, la donna linciata e bruciata dalla folla inferocita perché avrebbe distrutto pagine del Corano e poi, guardate, aggiungo per sovramercato gli infedeli sgozzati dai tagliagole Isis: il fatto che facciano orrore a noi, ma sembrino atti giusti e addirittura santi a loro, non vi fa pensare che solo una presunzione etnocentrica piuttosto ingenua vi permette di giudicare? Sia chiaro, su queste stesse pagine anch’io l’ho fatto: io condanno i barbari islamisti che bruciano, tagliano gole, lapidano eccetera, ma proprio per questo, per ritenere legittimo il mio atto di condanna, devo avere un comportamento completamente differente. La differenza non può essere tribale (loro sozzi primitivi, noi legittimi custodi di ciò che ci pare e piace) ma morale: una morale costruita nei secoli in Occidente basata su giustizia e tolleranza, morale fallace, come ho già detto, difficile da praticare ma necessariamente universale: non ci si fa giustizia da soli. L’altro tipico argomento che “tanto in Italia il pedofilo se la cavava con un anno di domiciliari mentre il padre violento sarebbe finito in galera e avrebbe dovuto spendere un sacco di soldi in risarcimenti” (o altre critiche analoghe) non deve ingannarvi: questo genere di critiche afferisce al sistema giudiziario italiano, non alla morale. Che in Italia la giustizia sia un disastro non significa che allora ne approfitto per farmi giustizia da me. La giustizia da riformare è un problema politico. L’idea di una giustizia guidata da principi universali è una questione di etica. I due ambiti concettuali sono interconnessi ma separati.

la-morale-e-lanimale-L-Ytw5wmEsempio n° 2 – Senza bisogno di circostanziare nomi e cognomi, mettetene voi uno a caso, sono seriamente convinto che una percentuale di politici chiacchierati o addirittura indagati o condannati per corruzione siano partiti con onesta convinzione di far qualcosa di buono per il prossimo e si siano trovati invischiati in un meccanismo subdolo e poco identificabile all’inizio che li ha lentamente trascinati in un gorgo. Provate a immaginarvi potenti, con leve di comando nelle vostre mani, pronti a fare Il Bene Del Popolo. Avete le idee chiare, l’appoggio degli elettori, vi sostiene la stampa ma c’è un particolare: vi manca una manciata di voti in Parlamento. Un altro politico, non così di primo piano ma abbastanza credibilmente vicino alla vostra orbita vi dice che ci può pensare lui, quei pochi voti ve li può assicurare ma, certo, dovete ricambiargli il favore (una prebenda, un sottosegretariato, una particina in tv per l’amante…). Allora il dilemma che vi si pone è semplice:

  1. A) fare il bene del popolo facendo passare il provvedimento in cambio di un peccatuccio veniale, non illegale, politicamente non significativo

oppure

  1. B) non cedere di un millimetro, non macchiarsi della più piccola colpa, questa davvero trascurabile, ma rinunciare al bene del popolo oggi e – probabilmente – anche domani.

Mi sembra un bellissimo problema di etica pubblica: il bene di molti vale un piccolo “male” relativo, senza danneggiare nessuno, che neppure si saprà? Vediamo cosa succede se rispondete ‘Sì’ oppure ‘No’. Nel primo caso credo che siate fritti; cedere su una piccola e innocua cosa vi sottopone ad altre e maggiori pressioni, nonché a ricatti. Avete fatto un “favore”, non potete non farne un secondo, probabilmente più impegnativo e grave; avete ricevuto un vantaggio, ma ve ne serviranno altri; incomincia a esserci gente in giro che sa che non siete incorruttibili, che favorite il clientelismo, il nepotismo, lo scambio, la turbativa politica… Il piano inclinato è inizialmente inavvertibile ma presto diventa una china pericolosa, dove ogni azione che volete intraprendere viene sottoposta a trattative con i molteplici che si possono mettere di traverso. Ma se rispondete ‘No’ che razza di politici siete? Tutti Robespierre incorruttibili, capaci certo di grandi denunce ma di nessuna azione. Non contate nulla. Non servite. Tutti vi volteranno le spalle. Naturalmente ho ridotto all’essenziale il problema, spero che ne vogliate cogliere la sua rappresentazione esemplificativa. Qual è il corretto bilanciamento fra agire pagando un certo prezzo morale (nel senso di venire a patti con la propria etica, con i roboanti discorsi fatti nelle piazze) e non agire affatto perché qualunque azione ci sporca, ci può sporcare, deve scendere a compromessi?

etica3Esempio n° 3 – Tempo fa conobbi un importante esponente locale (di quale località non dirò) di un partito di sinistra (tacerò anche su quale sinistra fosse); era un capopopolo nato, guidava un partito che andava bene alle elezioni e aveva incarichi locali di governo, successi ottenuti ovviamente con le parole d’ordine tipiche di quell’area politica: giustizia, uguaglianza, fratellanza, lavoro etc. Quest’uomo di successo era ovviamente amato, o quantomeno stimato, da una discreta fetta di elettorato che gli riconosceva una leadership politica. Pochi di codesti sostenitori conosceva però un particolare privato nella vita di quest’uomo. Maltrattava la moglie. La picchiava. Quest’uomo che difendeva i diritti delle masse oppresse picchiava la moglie. Io credo che il gesto violento verso la donna sia intollerabile e spero la pensiate così anche voi, ma quello che intendo sottolineare è l’incongruenza apparente fra il ruolo sociale e il comportamento privato. Il picchiatore di donne io lo immagino rozzo, semi-analfabeta, manovale ubriacone… invece questo è laureato, colto, socialmente integrato. Gli stereotipi non funzionano principalmente perché tendono a collocare in classi distinte (i buoni e i cattivi, i probi e i picchiatori di donne…) mentre la realtà è indistinta, sfumata. Tutti i buoni hanno lati oscuri. Tutti i cattivi hanno lati amabili.

Tutte le verità sono parziali, tutti i mostri sono stati bambini, tutte le tragedie si sono compiute a partire da premesse nobili, tutti i potenti hanno pensato giusto il loro potere, tutti gli assassini ritengono in qualche modo giustificabile le loro azioni dato il contesto, date le condizioni, data l’infanzia infelice il padre severo la società ingiusta, così ingiusta! Ed eccoci arrivato sul bordo dell’orrido: siamo tutti colpevoli e quindi nessuno, in fondo, è colpevole? Tutti peccatori, tutti disponibili al delitto, tutti uguali quindi nelle nostre debolezze e quindi consoliamoci, teniamoci per mano, dai, il politico briccone, lo stupratore, il corrotto alla fine siamo noi. Je suis una canaille. No, non è questa la conclusione. La conclusione può partire dal riconoscimento della nostra debolezza per andare oltre, verso una dimensione morale più avanzata. Una persona priva di tensione positiva verso orizzonti morali sempre più integrati, inclusivi e aperti al mondo non serve alla società. Interrogarsi sull’orizzonte etico, sforzarsi di migliorare pur sapendo di cadere e sbagliare, questo è il senso del nostro posto nel mondo. Faccio (e sbaglio) cercando di far bene (per quel che posso capire), rammaricandomi del male e combattendolo, a partire da quello che inevitabilmente faccio e farò io. Io faccio il male. Ma non è che debba continuare, che non possa pentirmi, che non possa smettere. Vedo che anche tu fai il male. Non devo fingere di non vederlo, non devo necessariamente accettarlo, anche se posso comprenderlo.

No ad un nuova impresa di Libia!

dal Partito Comunista dei Lavoratori 16 Marzo 2016 dc:

No ad un nuova impresa di Libia!

È ora di dire basta alle guerre del capitalismo, alle guerre per i profitti di pochi pagate da tutti. Non un uomo, non un soldo, per la nuova impresa di Libia!

Solo la liberazione della società dal capitalismo e dall’imperialismo può dare una vera pace all’umanità. Solo una rivoluzione socialista può porre fine alle guerre.

Rullano i tamburi di una nuova impresa di Libia.

Il governo Renzi reclama la guida della missione internazionale.

L’Italia si appresta a tornare nella sua vecchia colonia, dove già inaugurò campi di concentramento e gas asfissianti contro la resistenza berbera al prezzo di 100.000 morti.

Dicono che l’obiettivo centrale dell’intervento è sconfiggere ISIS.

Mentono. L’obiettivo vero è la spartizione della Libia. È il controllo dei suoi giacimenti petroliferi, dentro una lotta spietata tra Francia e Italia, fra Total ed ENI.

Il capitalismo francese ha giocato di anticipo mandando truppe a Bengasi a sostegno del generale Haftar, per mettere le mani sui giacimenti petroliferi della Cirenaica. Tutta la stampa italiana chiede a Renzi di intervenire per non farsi scavalcare dai francesi e difendere gli interessi dell’ENI. Renzi teme di perdere voti infilandosi in una avventura. Ma non vuole perdere la faccia agli occhi di quel grande capitale tricolore che si è candidato a rappresentare in Italia e nel mondo. Per questo si è assicurato, per decreto (10 febbraio), il controllo diretto delle truppe speciali tramite i servizi segreti: un decreto che assegna loro, testualmente, “licenza di uccidere e impunità per i reati”.

Il governo Renzi taglia i fondi della sanità, minaccia le pensioni di reversibilità, abbatte i trasferimenti pubblici ai comuni e ai servizi, regala ai padroni continui tagli di tasse. Ma trova i soldi per prolungare la missione militare in Afghanistan, per mandare altri 500 soldati in Iraq, e ora per “la licenza di uccidere” in Libia. La chiamano “guerra al terrorismo”. Ma dopo vent’anni di cosiddette “guerre al terrorismo”, proprio il peggiore terrorismo fondamentalista conosce uno spaventoso sviluppo, con gravi conseguenze sulla sicurezza stessa di persone innocenti nelle città europee. “Le loro guerre, i nostri morti”, questo il bilancio. Mentre la fuga disperata dalle guerre di enormi masse umane viene respinta in Europa da muri, ruspe, fili spinati, e da un’ondata di odiosa xenofobia, al prezzo di nuove morti e nuove sofferenze. In una spirale senza fine.

È ora di dire basta alla guerra, alle guerre del capitalismo, alle guerre per i profitti di pochi pagate da tutti. Non un uomo, non un soldo, per la nuova impresa di Libia!

Solo la liberazione della società dal capitalismo e dall’imperialismo può dare una vera pace all’umanità. Solo una rivoluzione socialista può porre fine alle guerre.

Per questo lotta il Partito Comunista dei Lavoratori, l’unico partito della sinistra italiana che non ha mai appoggiato missioni militari.

Partito Comunista dei Lavoratori

Il Vaticano processa. Lo Stato tace. La sinistra anche.

dal Partito Comunista dei Lavoratori il 26/11/2015 dc:

Il Vaticano processa. Lo Stato tace. La sinistra anche.

Vaticano processa

Il processo intentato dal Vaticano contro i due giornalisti italiani Nuzzi e Fittipaldi- responsabili di “rivelazione di notizie riservate”- illustra una volta di più la natura della Chiesa e dell’attuale  Pontificato.

Il processo ha natura inquisitoria e totalmente arbitraria, da ogni punto di vista. Esso si fonda sul nuovo articolo 10 del Codice penale vaticano che prescrive pene severe, sino a 8 anni di carcere, “per chiunque riveli notizie e documenti riservati”. Un’aberrazione giuridica di per sè da un punto di vista liberale: significa di fatto negare il diritto alla libera stampa.

Ancor più aberrante la pretesa di applicare questo codice penale non a dipendenti del Vaticano ma a cittadini di un altro Stato, senza neppure la formalità di una richiesta di rogatoria. Per di più i giornalisti italiani processati non hanno potuto né conoscere per tempo gli atti di accusa nè scegliersi i propri avvocati: perchè gli articoli 24 e 26 dell’ordinamento giudiziario vaticano riservano alla “Santa Sede” il diritto di ammettere o meno un avvocato in tribunale, e la “Santa Sede” ha rifiutato gli avvocati scelti dai giornalisti. Insomma: una monarchia assoluta di natura teocratica ha una giurisdizione a propria immagine e somiglianza.

Ma non di tratta solo dell’ordinamento vaticano. Si tratta anche delle scelte politiche di chi lo guida.

Il processo in atto riconduce infatti alla precisa responsabilità di Papa Bergoglio. In primo luogo perchè il nuovo articolo 10 (iper reazionario) del Codice penale vaticano è stato voluto e dettato dall’attuale Papa nel 2013, in reazione alla rivelazione di documenti segreti avvenuta sotto il precedente Pontificato. In secondo luogo perchè è stato l’attuale Papa a dare mandato formale al Procuratore di Giustizia vaticano per mettere a processo i due giornalisti, come sottovoce, con malcelato imbarazzo, è stato ammesso dagli stessi organi di stampa.

Il fine dell’operazione è molto chiaro: il Papato vuole intimidire a futura memoria chiunque voglia denunciare e documentare l’effettiva realtà della vita della Chiesa, i suoi rapporti col capitale
finanziario e con la proprietà immobiliare (4 miliardi di patrimonio immobiliare solo a Roma), le truffe operate ai danni degli stessi fedeli con le speculazioni sull’obolo di (S.) Pietro e sull’otto per
mille, la vita dorata delle gerarchie ecclesiastiche finanziata dal denaro pubblico…. Tutto ciò che smentisce la recita francescana del Papa populista , a caccia di consensi nelle favelas africane . Per di più il Papa vuole che il processo si faccia in fretta e si concluda prima dell’ otto Dicembre (contro ogni principio di garanzia per gli “imputati”) per non fare ombra all’avvio del Giubileo e alla celebrazione solenne dell’anno della …Misericordia, cioè della sua persona.

Colpisce in questo quadro l’ermetico silenzio delle autorità italiane e dei partiti borghesi. Tutti pronti a rivendicare, nel nome della Patria e con aria sdegnata, l’estradizione dall’India di due marò accusati dell’assassinio di pescatori. Ma incapaci di balbettare una sola sillaba per difendere due giornalisti italiani accusati di libertà di stampa dallo Stato Vaticano. Nessuna meraviglia: il compromesso tra borghesia liberale e Vaticano è impermeabile ad ogni evento perchè è fondativo della Repubblica borghese.

Alle sinistre politiche e sociali, chiediamo invece: non avete nulla da
dire su un processo oscurantista contro la libertà? Fino a quando la subordinazione culturale al Papa della Misericordia, e il rispetto dell’ipocrisia istituzionale, vi imporrà il silenzio anche su questa
infamia ?

Partito Comunista dei Lavoratori

Al Pronto Soccorso

In e-mail il 4 Settembre 2015 dc:

Al Pronto Soccorso

di Lucio Garofalo

Capita, per necessità, di recarsi al pronto soccorso e, per caso, di ascoltare una conversazione tra persone “comuni e normali” (nel senso che non appartengono a ceti o a fasce sociali privilegiate) che commentano in termini negativi il funzionamento della struttura sanitaria e traggono facili illazioni sulla “mala sanità” o sul presunto “fallimento” della sanità pubblica e via discorrendo.

Il corollario finale, fin troppo banale ed ovvio, quanto allucinante, sarebbe, niente di meno, la privatizzazione del settore, come accade in America. Senza sapere che negli USA lo smantellamento della sanità pubblica (come pure della scuola pubblica) ha prodotto, da decenni ormai, guasti persino peggiori rispetto ai disguidi ed alle disfunzioni nostrane, costi sociali ed umani drammatici e spaventosi, come l’estromissione delle masse popolari più disagiate e meno abbienti da ogni tipo di cura ed assistenza medica, che negli USA sono a pagamento.

Non a caso, dopo lunghi decenni, persino Obama ha tentato di rimettere in discussione tale sistema sanitario neoliberista che, qui da noi, si vorrebbe emulare e trapiantare con oltre trent’anni di ritardo.

Quale sarebbe la mia proposta alternativa? Mantenere, anzi rafforzare il servizio gratuito della sanità pubblica, elevandone la qualità, rendendo migliori e più efficienti le prestazioni dei presidi sanitari. Come? Intensificando gli investimenti statali. Non c’è altro modo.

Lo stesso discorso vale per il comparto dell’istruzione, laddove i fondi alle scuole pubbliche vengono ridotti per dirottarli agli istituti privati. E poi ci si lagna che manca persino la carta igienica nei bagni degli alunni. O ci si lamenta di qualche lentezza, inefficienza o ritardo presso un pronto soccorso. Servirebbe decurtare, anzi abolire ogni finanziamento statale alle scuole private, anziché tagliare i fondi destinati alle strutture pubbliche.

Oltretutto, ciò sarebbe in perfetta linea con la nostra Costituzione.