Bakunin


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Dal sito www.filosofico.net una biografia del rivoluzionario anarchico Michail Bakunin, a cura di Diego Fusaro

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Chi dice Stato o diritto politico, dice forza, autorità, predominio: ciò presuppone l’ineguaglianza di fatto

Il maggior rappresentante del movimento anarchico internazionale nell’Ottocento e, allo stesso tempo, il primo agitatore che cercò di dare una giustificazione teorica alla sua azione rivoluzionaria è stato Michail Bakunin, nato in Russia (a Tver, l’odierna Kalinin) da nobile famiglia il 30 maggio 1814 e morto il 1° luglio 1876. La sua vita si svolse prevalentemente in Occidente (in Svizzera, in Francia ed in Italia), alla cui cultura si era formato studiando la filosofia tedesca particolarmente di Fichte e di Hegel. Partecipò attivamente al 48 francese e all’insurrezione di Dresda del 1849. Fu arrestato e condannato alla pena di morte, commutata nella detenzione a vita; fu dunque incarcerato e in seguito confinato in Siberia fino al 1861, quando era fuggito a Londra, in Svizzera e in Italia. Il suo modello di rivoluzione, più rispondente alle arretrate condizioni economiche e sociali delle periferie orientali e meridionali, faceva leva su due elementi centrali:

– le masse diseredate e degradate, soprattutto le plebi contadine

– un’avanguardia intellettuale declassata, emarginata dagli strati sociali superiori.

Sul piano organizzativo Bakunin rimase sempre fedele alla formula della setta clandestina, sul piano politico la sua rivoluzione, molto simile alle jacqueries contadine e al ‘banditismo sociale’, avrebbe dovuto immediatamente abolire lo Stato e ogni altra autorità: ” Chi dice Stato o diritto politico, dice forza, autorità, predominio: ciò presuppone l’ineguaglianza di fatto “. Accusava i comunisti di essere ” nemici delle istituzioni politiche esistenti perché tali istituzioni escludono la possibilità di realizzare la propria dittatura ” e di essere al tempo stesso ” gli amici più ardenti del potere statale “, poiché volevano costruire una società integralmente dominata e programmata dall’alto.

Su queste basi, Bakunin riteneva che il movimento operaio dovesse rifiutare programmaticamente l’azione politica per praticare esclusivamente il terreno sociale. Su questa linea il conflitto con Marx era inevitabile. Marx aveva posto come priorità la lotta politica del movimento operaio, considerando la conquista del potere da parte della classe operaia come il superamento della società borghese e della divisione tra le classi.

La dittatura del proletariato, ossia la costituzione della classe operaia in classe dominante, la distruzione dello Stato borghese e la sua sostituzione con lo Stato proletario erano considerate da Marx come l’inevitabile fase di transizione per attuare il passaggio al comunismo, la società senza classi in cui lo Stato, in quanto strumento del dominio di classe, avrebbe dovuto estinguersi.

Dopo il congresso dell’Aja (1872), nel cui documento si proclama definitivamente la necessità di attuare una dittatura proletaria (secondo la linea di Marx), Bakunin fu espulso dall’associazione internazionale per volere di Marx stesso. Ritornando al pensiero di Bakunin, esso, apparentemente privo di sistematicità, è in realtà caratterizzato da una forte coesione intorno ad alcune tesi fondamentali: la liberazione totale dell’uomo attraverso l’abolizione dello Stato, il rifiuto di qualunque socialismo di Stato, la valorizzazione di quelle forze sociali che il processo d’industrializzazione tendeva ad emarginare.

L’opera principale nella quale ha trovato espressione il suo pensiero è ” Stato e anarchia ” pubblicata in russo nel 1873, alla quale si devono aggiungere le lunghe lettere indirizzate agli amici e i numerosi opuscoli che venne componendo per le esigenze dell’azione rivoluzionaria, scritti in lingue (il francese o il tedesco) che non erano la sua e pubblicati occasionalmente.

Nei suoi scritti Bakunin prende decisamente posizione contro Mazzini il cui rivoluzionarismo, alla metà dell’Ottocento, non faceva più paura ai governanti europei. Di Mazzini non condivide la concezione teocratica dello Stato, la “teologia politica” che pone al suo centro lo “Stato-Chiesa”, per usare le parole dell’anarchico russo: per Bakunin l’impegno di un vero rivoluzionario non deve proporsi la riforma o la separazione delle due istituzioni, ma la loro abolizione.

Anche il dissenso con Marx ha trovato ampia espressione negli scritti di Bakunin, secondo il quale il nucleo centrale del pensiero marxiano sta nella conquista dello Stato, nella centralizzazione del potere per emancipare il proletariato (ma anche l’accusa per il sostegno di Marx per l’unificazione della Germania sotto la guida dei socialdemocratici).

Va detto chiaramente che Bakunin nutriva per Marx una forte antipatia, per altro cordialmente ricambiata: ai compagni italiani, nel gennaio del 1872, scrisse a proposito del filosofo tedesco: ” Marx è un comunista autoritario e centralista. Egli vuole ciò che noi vogliamo: il trionfo completo dell’eguaglianza economica e sociale, però, nello Stato e attraverso la potenza dello Stato, attraverso la dittatura di un governo molto forte e per così dire dispotico, cioè attraverso la negazione della libertà “.

Ciò che lo divide da Marx, quindi, è la concezione decisamente pessimistica che egli ha dello Stato, fondato esclusivamente sul principio d’autorità, concepito come oppressione dell’uomo, identificato con quelle strutture repressive (la polizia, la magistratura, il carcere, l’esercito) che, nell’Ottocento, la borghesia capitalistica utilizzava per imporre il proprio dominio di classe al proletariato.

Lo Stato, sostenne per tutta la sua vita Bakunin, dovunque sia presente e in qualunque forma istituzionale operi (borghese, socialista o comunista), non è altro che ” sinonimo di costrizione, di dominazione attraverso la forza, camuffata se possibile, ma, al bisogno, brutale e nuda “. Per attuare pienamente la sua libertà, l’uomo non ha altra via che la lotta a fondo contro lo Stato e contro quella che, secondo Bakunin, ne è la prima conseguenza: la proprietà privata ereditaria (mentre può essere consentita la proprietà privata non trasmissibile ereditariamente).

Una vera rivoluzione deve porre termine definitivamente a quello stato d’assoggettamento in cui sono vissute fino ad oggi le masse popolari, sempre guidate dall’alto “metafisicamente” (cioè per quanto concerne la visione della vita) dalla religione, politicamente dal governo, psicologicamente dalle leggi ed economicamente tramite la ricchezza e la proprietà. Lo Stato è contrario alla natura dell’uomo, che è un essere sociale e non può fare a meno di vivere in società, ma senza alcun bisogno di una struttura statale, che non è altro che tirannia ed oppressione.

Combattendo lo Stato Bakunin ovviamente prende posizione anche contro la Chiesa e la religione in tutte le loro manifestazioni, considerandole oppressive ed autoritarie allo stesso modo, se non in misura peggiore. La società futura a cui l’uomo approderà è descritta da Bakunin in termini ottimistici, che mostrano chiaramente quale influenza egli abbia subito da parte degli utopisti a lui precedenti di qualche decennio.

In questo senso giunse a proporre una modificazione delle risoluzioni del Congresso Internazionale dei Lavoratori di Ginevra, del 1866 sostenendo, ” la necessità di distruggere l’influenza d’ogni dispotismo in Europa, mediante l’applicazione del diritto d’ogni popolo, grande o piccolo, debole o potente, civile o non civile, di disporre di se stesso e di organizzare spontaneamente, dal basso in alto, attraverso la via di una completa libertà, al di fuori d’ogni influenza e d’ogni pretesa politica o diplomatica, indipendentemente da ogni forma di stato, imposta dall’alto in basso, da un’autorità qualunque, sia collettiva, sia individuale, sia indigena, sia straniera, e non accettando per basi e per leggi che i principi della democrazia socialista, della giustizia e solidarietà internazionali “.

Bakunin non ha sentito l’esigenza, presente invece in Marx, di approfondire i concetti di classe e di capitalismo come produttore o condizionatore della condizione d’oppressione e sfruttamento in cui l’uomo vive. Non a caso Marx criticava delle concezioni bakuniniane soprattutto il fatto che “la volontà, non le condizioni economiche, è fondamento della sua rivoluzione sociale “. Per Bakunin è lo Stato la causa principale d’ogni forma di oppressione e di tirannia, per cui il capitalismo non è altro che lo strumento di cui questo ente superiore, burocratizzato e gerarchizzato, si serve per attuare i suoi disegni. Sono queste le considerazioni che portano Bakunin a guardare più che alla classe operaia, nel senso marxiano del termine, alle masse popolari: invece di agire sul proletariato, che si serve della lotta di classe, egli propone di trasformare lo stato usando la violenza del sottoproletariato e quindi di rinviare ad un momento successivo l’attuazione di quei mutamenti sociali da cui scaturirà la società anarchico-egualitaria.

Al centralismo soffocante e burocratico, nato con l’assolutismo e affermatosi ovunque con la rivoluzione francese, Bakunin contrappone il comune popolare, dove il cittadino ha la possibilità di manifestare il proprio patriottismo, identificandosi col libero sviluppo della collettività di cui fa parte. A loro volta i comuni si riuniscono in una libera federazione su scala regionale e in seguito le regioni si uniranno in una federazione ancora più ampia, che, al limite, potrà estendersi a tutta l’umanità.

Per queste idee federalistiche Bakunin è influenzato dal pensiero di Proudhon, con il quale condivide la convinzione che per questa via l’umanità possa garantirsi non solo il progresso, l’armonia e la solidarietà, ma anche la pace. Le tesi libertarie di Bakunin comportano un’ulteriore conseguenza: il rifiuto dell’organizzazione politica dei lavoratori, pur nel riconoscimento della necessità di muoversi entro il movimento operaio. Per questo Bakunin propone di lasciare all’azione spontanea dei lavoratori la possibilità di agire in senso rivoluzionario, usufruendo della violenza e dello sciopero politico e facendo leva sugli strati più miseri della popolazione. La guida delle masse popolari deve essere assunta da una ristretta minoranza di rivoluzionari, interamente dediti alla causa anarchica e impegnati totalmente nella lotta per abbattere l’attuale ordinamento politico.

In questo modo Bakunin anticipava la tesi bolscevica, sostenuta da Lenin, che rese possibile il successo della rivoluzione in Russia nell’ottobre del 1917. Bakunin aveva molta fiducia nei contadini, che sono portati naturalmente al federalismo e all’antiautoritarismo. Per questo raccolse proseliti, più che in mezzo al proletariato operaio, in mezzo al sottoproletariato delle campagne, composto da braccianti e da lavoratori precari e stagionali, cui affidava, specie in paesi arretrati economicamente e socialmente come la Spagna e l’Italia, il compito di guida rivoluzionaria.

Gli obiettivi a cui la rivoluzione deve tendere sono riassumibili, per Bakunin, nell’emancipazione universale, che consisterà nella liberazione dal bisogno, nell’eguaglianza economico-sociale di tutti gli uomini e nella libertà politica.

Quest’ultima però non deve essere confusa con la libertà politica borghese, che in realtà per il proletariato è schiavitù ed oppressione, ma deve essere identificata con ” la grande libertà umana che, distruggendo tutte le catene dogmatiche, metafisiche, politiche e giuridiche, da cui tutto il mondo è oggi oppresso, restituirà a tutti, collettività quanto individui, la piena autonomia dei loro movimenti e del loro sviluppo, liberati per sempre da tutti gli ispettori, direttori e tutori “.

L’anarchismo bakuniniano si affermò nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in particolare in Italia e in Spagna, e costituì la principale corrente di pensiero che disputò al marxismo la guida del movimento operaio nella seconda metà del secolo scorso (mia nota: il XIX secolo). Le teorie del filosofo russo seppero coinvolgere gli operai di tutta Europa, infondendo in essi la speranza di un cambiamento radicale della società attuale, cercando di ottenere quel che sembrava impossibile perché, come disse Bakunin, ‘É ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile non hanno mai avanzato di un solo passo ‘.


Dalla sezione italiana del  Marxist Internet Archive www.marxist.org una scheda su Bakunin

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Bakunin Michail A. (1814-70), rivoluzionario russo tra i fondatori dell’anarchismo. Negli anni ’30 fu seguace di Hegel, traducendo per la prima volta in russo una sua opera (“Letture Ginnasiali“). Nel 1842 Bakunin scrisse “La reazione in Germania“, articolo la cui popolarità si dispiegò tra molti gruppi giovanili: la conclusione di questo suo saggio fornisce una delle asserzioni più citate di Bakunin; “Il desiderio per la distruzione è, allo stesso tempo, un desiderio creativo”. Bakunin incontrò per la prima volta Marx e Proudhon a Parigi nel 1844, poco tempo dopo con Marx, Feuerbach e Ruge fondò il giornale Deutsch-Französische Jahrbücher.

Nel 1948 prese parte alla rivoluzione tedesca (a Dresda), fu arrestato l’anno seguente e condannato (in Sassonia) a morte, ma la sentenza venne presto commutata in ergastolo.

Su richiesta del governo austriaco venne esiliato in Austria, dove venne nuovamente condannato alla pena di morte prima e all’ergastolo poi (in questo periodo Bakunin subì svariate torture). Nel 1950 venne infine consegnato al governo russo, che lo condannò all’ergastolo. Dopo la morte dello Zar Nicola I (e dopo ben 11 anni scontati nelle galere di mezza Europa) fu esiliato in Siberia (1857), da dove riuscì a fuggire nel 1861 per trovare riparo a Londra.

Dopo il lungo periodo di prigionia, Bakunin scrisse la maggior parte dei suoi lavori politici, consolidando e definendo la sua teoria anarchica, volta all’emancipazione spirituale dell’uomo e al raggiungimento della libertà e dell’eguaglianza per il popolo. “Io sono un uomo libero solo in quanto riconosco l’umanità e la libertà di tutti gli uomini che mi circondano. Rispettando la loro umanità, rispetto la mia”.

Bakunin era hegeliano e con Marx ed Engels condivideva la coscienza del bisogno di una società socialista: “Organizzare la società in maniera tale per cui ogni individuo, uomo o donna, possa trovare, nell’arco della sua vita, uguali mezzi per sviluppare le sue diverse facoltà. E organizzare una società tale che, rendendo impossibile lo sfruttamento dell’altrui lavoro, metta ogni individuo in condizione di godere della ricchezza sociale, che in realtà è prodotta solo dal lavoro collettivo, ma di godere di essa solo in quanto anche egli (o ella) contribuisce alla creazione di questa ricchezza sociale”.

Ma il suo socialismo, anziché derivare da un’analisi scientifica e materialistica della società, aveva carattere essenzialmente istintivistico: “Ciò che io predico è quindi […] contro il governo della scienza […] L’unico compito della scienza è quello di illuminare la strada”. La rivoluzione sorgerà attraverso “la spontanea organizzazione del lavoro e della proprietà comune da parte di associazioni di produttori e dall’altrettanto spontanea formazione delle comunità, non dalla suprema azione dello Stato”.

Dopo una rivoluzione vittoriosa (la violenza, spiega Bakunin, deve essere diretta alla distruzione delle istituzioni, non verso le persone che ne sono a capo) occorre non affidarsi allo Stato per raggiungere il socialismo. Se l’uguaglianza è mantenuta per opera dello Stato, egli spiega, la libertà è necessariamente esclusa: “…uguaglianza senza libertà è il dispotismo dello Stato… la più fatale delle combinazioni che può essere creata, ciò sarebbe unire socialismo e assolutismo; unire le aspirazioni del popolo al benessere materiale… con la dittatura o la concentrazione di tutto il potere politico e sociale nelle mani dello Stato… Noi dobbiamo cercare la piena giustizia economica e sociale solo attraverso la libertà… un socialismo che non accetta la libertà come suo unico principio creativo… sarà inevitabilmente… versato alla schiavitù e alla brutalità”.

Bakunin spiega che invece di uno Stato occorre formare un’organizzazione internazionale segreta. Le branche nazionali di tale organizzazione saranno dirette da comitati centrali nazionali, subordinati all’organismo internazionale, la cui localizzazione sarà sconosciuta alla maggior parte dei membri del comitato.

Quest’organizzazione non può creare la rivoluzione, ma il suo compito è invece quello di “…facilitare la nascita della rivoluzione diffondendo tra le masse idee che siano in corrispondenza coi loro istinti, senza creare nessun esercito rivoluzionario, poiché l’esercito deve sempre essere popolare, ma piuttosto qualcosa come un quartier generale, composto da… amici del popolo, capaci da far da intermediari tra l’idea rivoluzionaria e l’istinto delle masse”.

Dopo la rivoluzione l’organizzazione sarà ancora necessaria per aiutare i membri della società a “definire se stessi” e guidare la società verso la corretta via. É lo stesso Bakunin a mettere in luce la contraddizione presente in quest’affermazione: “Ma se noi siamo anarchici, chiederete, che diritto… abbiamo di pretendere di agire sul popolo? Rifiutando ogni potere, con quale potere… dirigeremo la rivoluzione popolare?” Risposta: “Con una forza invisibile, non riconoscibile da nessuno e che non può essere imposta da nessuno, attraverso la dittatura collettiva della nostra organizzazione, che sarà più potente quanto più sarà nascosta e irriconoscibile”.

Bakunin accentua il fatto che il potere ufficiale è corruttibile persino se è posto nelle mani del più nobile e generoso degli uomini, ma quando il potere non ha nessuna ufficialità, senza né diritti né funzioni fornitegli dal gruppo, i suoi membri saranno privi di interessi egoistici (consistenti nel mantenere la loro posizione) e così non avranno bisogno di ricercare potere e privilegi. Infatti i membri di quest’organizzazione avranno l’unico scopo di “assistere l’autodeterminazione del popolo sulla base della massima uguaglianza possibile e… [mantenere] la libertà, senza la minima interferenza di qualsivoglia potere, neppure provvisorio”. “È indispensabile che la gente sia ispirata ad ideali universali… che essi abbiamo una generale idea dei loro diritti e un profonda, appassionata… fede nella validità di questi diritti. Quando quest’idea e questa fede popolare si uniscono alla miseria che porta alla disperazione, allora la Rivoluzione Sociale è vicina ed inevitabile e nessuna forza al mondo può fermarla”.

Marx ed Engels lottarono a lungo contro la superficialità di quest’approccio alla politica, contro questo rifiuto di un’azione politica coscientemente orientata che porta a disarmare il proletariato e a renderlo un soggetto inerme nelle mani della borghesia… e non ha alcuna importanza in questo quanta buona fede possa anche esserci nelle parole di Bakunin o di chicchessia. “[…] Bakunin ha una teoria tutta particolare, uno zibaldone di proudhonismo e di comunismo, in cui prima di tutto l’essenziale è che egli non considera come male principale da eliminarsi il capitale, e quindi il contrasto di classe tra capitalisti e oprai salariati sorto dall’evoluzione della società, ma lo Stato.

Mentre la massa degli operai socialdemocratici è, insieme con noi, dell’opinione che il potere statale non è altro che l’organizzazione che le classi dominanti – proprietari fondiari e capitalisti – si sono dati per difendere i loro privilegi sociali, Bakunin afferma che lo Stato ha creato il capitale, che il capitalista ha il suo capitale solo grazie allo Stato.

Poiché dunque lo Stato è il male principale, si deve prima di tutto sopprimere lo Stato, e allora il capitale se ne andrà al diavolo da solo. Noi invece diciamo il contrario: distruggete il capitale, l’appropriazione di tutti i mezzi di produzione da parte di pochi, e lo Stato cadrà da sé. La differenza è essenziale […] Ma, poiché per Bakunin il male fondamentale è lo Stato, non si deve far nulla che possa mantenere in vita lo Stato, e cioè uno Stato qualsiasi, repubblica, monarchia o quale altro si voglia.

Perciò, dunque, completa astensione da ogni politica. Compiere un atto politico, ma specialmente partecipare ad un’elezione, sarebbe un tradimento dei principi. “[…] Predicare agli operai l’astensione dalla politica in ogni circostanza significa spingerli nelle mani dei preti o dei repubblicani borghesi. “[…] Secondo Bakunin […] [nella] società futura […] non esiste nessuna autorità, perché autorità = Stato = male assoluto. (come faranno costoro a far marciare una fabbrica e le ferrovie, a comandare un bastimento, senza una volontà che decida in ultima istanza, senza direzione unitaria, questo, naturalmente, non ce lo dicono).

Anche l’autorità della maggioranza sulla minoranza cessa di esistere. Ogni singolo ed ogni comunità sono autonomi: Bakunin però dimentica ancora una volta di dirci come sia possibile una comunità anche solo di due uomini, senza che nessuno di essi rinunci a qualcosa della sua autonomia” (Engels, Lettera a Cuno del 24 gennaio 1872).

Ancora Engels (nel suo scritto Sull’autorità) pone con decisione l’accento sulla contraddittorietà di una teoria che pretende di essere al contempo rivoluzionaria e anti-autoritaria: “[…] Tutti i socialisti son d’accordo […] che lo Stato politico e con lui l’autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e si cangeranno in semplici funzioni amministrative, veglianti ai veri interessi sociali.

Ma gli anti-autoritari domandano che lo Stato politico autoritario sia abolito d’un tratto, prima ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali che l’hanno fatto nascere. Essi pretendono che il primo atto della rivoluzione sociale sia l’abolizione della società. Non hanno mai visto questi signori una rivoluzione? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che ci sia: è l’atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all’altra parte per mezzo di fucili, baionette e cannoni; mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuole aver combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi inspirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità del popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può, al contrario, rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?

“Dunque, delle due cose l’una: o gli anti-autoritari non sanno ciò che dicono, e in questo caso non seminano che confusione, o essi lo sanno, e in questo caso tradiscono il movimento del proletariato. Nell’un caso e nell’altro essi servono la reazione”.

Bakunin non entrò subito nell’Internazionale, inizialmente fu anzi membro della Lega per la Pace e la Libertà di stampo borghese. Con la sua corrente (composta da E. Reclus, Aristide Rey, Jaclard, Fanelli, N. Joukovsky, V. Mratchkovsky e altri) fu però messo in minoranza al Congresso di Berna della Lega, dalla quale uscì per fondare l’Alleanza Internazionale per la Democrazia Socialista. Con quest’organizzazione entrò a far parte dell’Internazionale (nel 1869), ponendosi in contrapposizione a Marx.