Jung


Jung

Jung

Contenuto visualizzato il 25 Maggio 2020 dc su Wikipedia. Riporto il testo principale senza le note e i link nel testo.


Jung

Carl Gustav Jung (AFI: [ˈkarl ˈɡʊstaf jʊŋ]; Kesswil, 26 luglio 1875 – Küsnacht, 6 giugno 1961) è stato uno psichiatra, psicoanalista, antropologo, filosofo e accademico svizzero, una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico e psicoanalitico.

La sua tecnica e teoria, di derivazione psicoanalitica, è chiamata “psicologia analitica” o “psicologia del profondo”, più raramente “psicologia complessa”. Inizialmente vicino alle concezioni di Sigmund Freud, se ne allontanò nel 1913, dopo un percorso di differenziazione concettuale culminato con la pubblicazione, nel 1912, di La libido: simboli e trasformazioni. In questo libro egli esponeva il suo orientamento, ampliando la ricerca analitica dalla storia del singolo alla storia della collettività umana.

C’è un inconscio collettivo che si esprime negli archetipi, oltre a un inconscio individuale (o personale). La vita dell’individuo è vista come un percorso, chiamato processo di individuazione, di realizzazione del sé personale a confronto con l’inconscio individuale e collettivo.
In Italia l’orientamento junghiano della psicoanalisi è stato introdotto da Ernst Bernhard.

La vita e l’opera

Formazione

Nacque nel 1875 da Paul Achilles Jung (1842-1896), teologo e pastore protestante, e da Emilie Preiswerk (1848-1923) a Kesswil, nel cantone svizzero di Turgovia. Dopo poco la famiglia si trasferì a Sciaffusa e nel 1879 a Klein Hüningen (ora periferia di Basilea), dove il padre diventò rettore della pieve, esercitando poi anche la funzione di cappellano nel manicomio della città.

Fu un bambino solitario, figlio unico per nove anni, fino alla nascita della sorella Johanna Gertrud, detta “Trudi” (1884-1935). Il suo amico d’infanzia Albert Oeri (1875-1950) ricordò il primo incontro con Carl, quando entrambi erano molto piccoli: lo descrisse come “un mostro di asocialità”, concentrato sui propri giochi, il contrario di quello che aveva conosciuto all’asilo, dove i bambini giocavano, si picchiavano e stavano sempre insieme. I due restarono amici per tutta la vita.

Al liceo fu suo insegnante Jacob Burckhardt, che gli parlò di Johann Jakob Bachofen. Le sue letture andavano dalla letteratura alla filosofia, dalla teoria della religione allo spiritualismo (Mörike, Goethe, specie Faust e le conversazioni con Johann Peter Eckermann, Kant, Swedenborg, Schopenhauer, ecc.). Il libro che più lo colpì fu Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche.

Nel 1895 s’iscrisse all’Università di Basilea e nel 1900 si laureò in Medicina e Chirurgia con la tesi Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti, una trattazione sui fenomeni medianici della cugina, Hélène Preiswerk detta “Helly” (1880-1911), che pubblicò nel 1902.

Nel dicembre 1900 cominciò a lavorare all’istituto psichiatrico di Zurigo, il Burghölzli, diretto da Eugen Bleuler. Nell’inverno 1902-1903 Jung fu a Parigi per frequentare le lezioni di Pierre Janet. Nel 1903 sposò Emma Rauschenbach (1882-1955), che rimase con lui fino alla morte. Nel 1905 fu promosso ai vertici del Burghölzli e divenne libero docente all’Università di Zurigo, dove rimase fino al 1913. Tra il 1904 e il 1907 pubblicò vari studi sul test di associazione verbale e nel 1907 il libro Psicologia della dementia praecox.

La personalità scientifica di Jung si manifesta con il concetto di “complesso”. Esso è un insieme strutturato di rappresentazioni, consce e meno consce, dotate di una carica affettiva. La psiche umana è un insieme indeterminato e indeterminabile di complessi, tra i quali lo stesso “Io”, il complesso che ha l’appannaggio della coscienza ed è in relazione con tutti gli altri. Quando questa relazione s’indebolisce o si spezza, gli altri complessi si fanno autonomi, inconsci, e cominciano a dirigere l’azione, con un processo di dissociazione, origine del disagio psichico.

L’incontro con Sigmund Freud

Concordando con le interpretazioni date da Freud nei confronti dei fenomeni psichici, cominciò una fitta corrispondenza con lui, che incontrò a Vienna nel 1907. I due parlarono per tredici ore. Lo incontrò nuovamente in Svizzera a Zurigo, dove scrissero un libro.

Nel 1909, con Freud e Ferenczi, Jung si recò alla Clark University di Worcester, Massachusetts, ove ricevette la laurea honoris causa in Legge. Nel 1910 divenne presidente dell’Associazione psicoanalitica internazionale e direttore dello “Jahrbuch”, rivista ufficiale della società. Cominciò a essere chiamato “delfino” della psicoanalisi, possibile successore di Freud alla guida del movimento psicoanalitico.

Nel 1909 si ebbero le prime avvisaglie della separazione da Freud, che sarà all’origine dell’articolarsi dei due principali orientamenti storici della psicoanalisi, intesa tanto come terapia quanto come via per la conoscenza della psiche. Nel 1909, infatti, la Clark University invitò sia Freud sia Jung a tenere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti.

Durante il viaggio in nave i due pionieri della psicoanalisi analizzarono l’uno i sogni dell’altro. In questa psicoanalisi ‘sull’oceano’, dove ciascuno fungeva sia da psicoanalista sia da paziente, Freud, a detta di Jung, ebbe un atteggiamento di reticenza su alcuni particolari della sua vita privata che invece sarebbero serviti a Jung per una migliore interpretazione. Ad aggravare la situazione fu il fatto che Freud su questo punto fu molto chiaro: il motivo della sua reticenza era che non poteva mettere a repentaglio la sua autorità. Fu in quel momento che Jung cominciò a mettere in discussione la stima che fino a quel momento aveva avuto per Freud.

La separazione da Freud e il nuovo orientamento della psicoanalisi

«Quanto più domina la ragione critica, tanto più la vita si impoverisce; ma quanto più dell’inconscio e del mito siamo capaci di portare alla coscienza, tanto più rendiamo completa la nostra vita.»
(C.G. Jung)

Nel 1912 Jung pubblicò il suo testo fondamentale La libido: simboli e trasformazioni (o Simboli della trasformazione), in cui erano presenti i primi disaccordi teorici con Freud assieme al primo abbozzo di una concezione finalistica della psiche.

I disaccordi continuarono nelle conferenze sulla psicoanalisi (Fordham lectures) tenute da Jung lo stesso anno a New York. L’aspetto centrale delle differenze teoriche risiedeva in un diverso modo di concepire la libido: mentre per Freud il “motore primo” dello psichismo risiedeva nella pulsionalità sessuale, Jung proponeva di riarticolare ed estendere il costrutto teorico di libido, rendendolo così comprensivo anche di altri aspetti pulsionali costitutivi “dell’energia psichica”.

La “sessualità” da costrutto unico e centrale (metapsicologia freudiana) passa a essere costrutto importante ma non esclusivo della vita psichica (punto di vista junghiano). La libido è energia psichica in generale, motore di ogni manifestazione umana, sessualità ma non solo.

Essa va al di là di una semplice matrice istintuale proprio perché non è interpretabile solo in termini causali. Le sue “trasformazioni”, necessarie a spiegare l’infinita varietà di modi in cui si dà l’uomo, sono dovute alla presenza di un particolare apparato di conversione dell’energia, la funzione simbolica.

Il termine “simbolo” è inteso secondo una concezione diversa da quella di Freud, che aveva assimilato il concetto di simbolo a quello di segno, sulla base dell’elemento comune del rinvio. Ma mentre il segno compone in modo convenzionale qualcosa con qualcos’altro (aliquid stat pro aliquo), il simbolo è un caso particolare del segno in cui, pur rimanendo l’elemento genericamente semiotico del rinvio, questo non è diretto a una realtà determinata da una convenzione, ma alla ricomposizione di un intero, come vuole l’etimologia della parola.

Un’altra differenza: se Freud interpretava le fantasie inconsce alla stregua di meri segni di pulsioni, inaccettabili per la coscienza, per Jung esse sono, se interpretate adeguatamente dall’Io, simboli di nuove realizzazioni psichiche. Solo così si rende conto del carattere costitutivamente aperto al nuovo della psiche, non più ancorata al passato in un’inarrestabile coazione a ripetere. La funzione trascendente è capace di superare le opposizioni di cui la psiche è costituita proprio mediante la produzione di simboli. Essa opera affinché vi sia ‘individuazione’, processo sintetico che coinvolge gli opposti che costituiscono l’uomo, nel quale egli si riconosce nella sua autonomia dagli stereotipi culturali. L’adattamento trova la sua prosecuzione in questo processo, diviso in una fase di distinzione degli opposti, da cui si fa un “passo indietro”, e in una di integrazione.

Il conflitto tra Freud e Jung crebbe al quarto congresso dell’Associazione Psicoanalitica, svoltosi a Monaco nell’agosto del 1913 contro le posizioni psicoanalitiche espresse da Pierre Janet durante la sessione dedicata alla psicoanalisi. Nell’ottobre successivo si ebbe la rottura ufficiale, e Jung si dimise dalla carica di direttore dello “Jahrbuch”. Ad aprile 1914 si dimise da presidente dell’Associazione e uscì definitivamente dal movimento psicoanalitico.

La psicoanalisi, creatura i cui meriti di gestazione erano ascritti al solo Freud, per la cui nascita aveva pagato con l’isolamento e l’ostracismo da parte del mondo accademico, nuova via della conoscenza, per Jung era divenuta più importante dello stesso padre che l’aveva generata. Era nata dal lavoro di Freud e adesso si trattava di farla crescere.

L’aspetto che più li differenziava era la concezione dell’inconscio. Per Freud l’inconscio alla nascita era vuoto e durante la vita si riempiva di quanto per la coscienza era “inutile” o dannoso per l’Io: (rimozione).

Invece per Jung la coscienza nasceva dall’inconscio, che aveva quindi già una sua autonomia. Inoltre, per Jung, la psicoanalisi di Freud teneva poco conto della persona nel suo contesto vitale. Invece Jung, che dava importanza alla persona e al suo contesto, fondò la “psicologia analitica”, che voleva essere uno strumento per guarire da patologie psichiche e una concezione del mondo, o meglio, uno strumento per adattare la propria anima alla vita e coglierne le potenzialità di espressione e specificità individuale. Chiamò questo percorso “individuazione”.

Al concetto di individuazione si lega la nozione di archetipo.

Jung ipotizza che alla trasformazione della libido e ai suoi simboli sia sottesa una pluralità di “immagini primordiali”, collettiva e immutabile, intese come una sorta di kantiane “forme a priori” che concorrono, come serbatoio originario dell’immaginazione, alla formazione dei simboli.

La funzione trascendente proietta l’individuo fuori di sé, sul piano d’un pensiero inconscio collettivo. Se la coscienza riesce a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti dei simboli, prodotti di questa facoltà, l’individuo può liberarsi del disagio riaffrontandolo da un punto di vista diverso, “trascendentale”. Inoltre egli, nel differenziarsi da queste matrici collettive di senso e dagli istinti primordiali, può integrare i valori universali custoditi dalla cultura, trovando una modalità personale di attuarli.

Gli inizi di Jung analista in proprio

Dopo la separazione da Freud, Jung ebbe una crisi nervosa che, come ricorda nelle sue memorie (Ricordi, sogni, riflessioni, a cura di Aniela Jaffé) lo impegnò per sei durissimi anni. Una vera e propria “malattia creativa”, come la ribattezzò lo storico della psicoanalisi Henri Ellenberger.

Alla fine del 1913 Jung, che aveva quattro figli (Agathe Regina, Anna Margaretha detta “Gret”, Franz Karl e Marianne, detta “Nannerl”) e aspettava da Emma la quinta e ultima figlia (Emma Helene, detta “Lil”), incontrò Antonia Wolff (1888-1953), detta Toni, che da paziente si trasformò in analista e amante dello stesso in un triangolo emozionale che non escludeva la moglie, la quale reagì come ci si sarebbe aspettati da un’esponente dell’alta borghesia, ossia fingendo di ignorare.

Una volta staccatosi da Freud, Jung cominciò ad attrarre attorno a sé un proprio gruppo di pazienti, studenti e analisti, tra i quali vanno ricordati Franz Beda Riklin (1878-1938), Maria Moltzer (1874-1944), Hans Trüb (cognato di Toni Wolff), Emilii Medtner (1872-1936), Linda Fierz-David (1891-1955) ed Edith Rockefeller McCormick (1872-1932), che con la sua ricchezza quasi smisurata aiutò il già (per via della moglie) ricco Jung a sviluppare ulteriormente una scuola analitica, fondando lo “Psychologischer Club” di Zurigo (nato nel 1913 e ancora attivo).

Altre persone che aiutarono lo sviluppo del pensiero junghiano negli anni 1913-1920 furono il pastore Adolf Keller (la cui moglie Tina rimase amica di Emma anche dopo la rottura fra lui e Jung), Alphons Maeder (1882-1971), Oskar Pfister (1873-1956, che rimase più fedele a Freud) e Hans Schmid-Guisan (1881-1932), che pur abitando a Basilea rimase sempre in contatto con Jung (tanto che la figlia, Marie-Jeanne Schmid, fece poi da segretaria a quest’ultimo dal 1932 al 1952).

I tipi psicologici

Un altro concetto fondamentale, il tipo, viene introdotto da Jung nel libro Tipi psicologici.

Oggetto dell’opera è una classificazione degli individui secondo “tipologie psicologiche”, che prendono le mosse dal carattere del loro adattamento. Essi si articolano attorno alla basilare polarità “Introverso/Estroverso”, e alla conseguente distinzione di due individui tipici fondamentali. Individuati dall’opposto orientamento generale della loro libido primaria (intro-versa o estro-versa) riprendono, in individui diversi, il ritmo sistole/diastole tematizzato da Goethe.

Per spiegare le rilevanti differenze individuali all’interno dei gruppi, Jung incrocia l’iniziale modello bipolare con un’ulteriore quadripartizione in “funzioni” psichiche: pensiero, sentimento, sensazione e intuizione.

L’appartenenza a uno dei quattro sottogruppi è determinata dalla funzione privilegiata nel corso dell’adattamento, funzione a cui l’individuo, a partire dall’infanzia, affida le sue principali speranze di riuscita. La combinazione tra i due “assi” (quello Introversione/Estroversione e le quattro funzioni) dà luogo a otto tipi psicologici individuali. Non preme a Jung presentare l’ennesima classificazione delle personalità, ma relativizzarne l’esperienza fenomenologica. È l’orientamento della coscienza dunque, il suo intenzionarsi, che viene classificato, non un banale coacervo di caratteristiche individuali.

Questa teoria assume rilievo nel processo di individuazione, nel quale è necessario che l’Io sia consapevole dell’atteggiamento psicologico che si è reso dominante o esclusivo. Solo superando la propria unilaterale adesione a un modo di rappresentare la realtà e aprendosi agli altri modi, l’individuo può affermare la sua autonomia da modelli collettivi accettati inconsapevolmente (che siano gli archetipi dell’inconscio collettivo o le “modalità di funzionamento” della facoltà di rappresentare, considerata nella sua formalità).

La “scelta” del tipo psicologico a cui l’individuo appartiene corrisponde, infatti, più a esigenze collettive che individuali. Mostrare il valore delle opzioni trascurate dallo sviluppo è il compito dell’individuazione, allo studio e alla pratica della quale d’ora in poi la psicologia analitica si consacrerà. Diventa così possibile il confronto con le funzioni arrestatesi a uno stadio arcaico dello sviluppo, integrandole in un’individualità dinamicamente matura.

Il carisma di psicoterapeuta

Benché tra gli studi, i viaggi e il servizio militare periodico Jung non avesse molto tempo per la pratica analitica, si consultarono e curarono da lui molte persone, tra cui Herbert Oczeret (1884-1948), Aline Valangin (1889-1986), Sabina Spielrein (anche futura psicoanalista, che aveva avuto una relazione sentimentale con Jung dal 1904 al 1911), Hermann Hesse, Ermanno Wolf-Ferrari, Beatrice Moses Hinkle (1874-1953), M. K. Bradby (poi divulgatrice del suo pensiero), Montague David ed Edith Eder, Eugen ed Erika Schlegel, Constance Long, Mary Bell, Helen Shaw, Adela Wharton, Mary Esther Harding (1888-1971), Kristine Mann (1873-1945) e Helton Godwin Baynes detto “Peter” (1882-1943).

Mentre aumentava il suo carisma, qualcuno era critico e non sopportava quel che ai propri occhi sembrava un vuoto culto della personalità.

Comunque, Jung aveva ormai quasi 50 anni e riuscì, come aveva in mente da tempo, a costruire una casa (detta “Turm”, torre) nel villaggio di Bollingen, affacciata sul lago. Lo aiutò nei disegni il giovane architetto Walther Niehus, fratello di Kurt, che aveva sposato la figlia Agathe e che a sua volta sposerà la figlia Marianne.

Durante la lenta costruzione Jung organizzò nel 1925 una spedizione in Africa, con George Beckwith (1896-1931), Peter Baynes (marito di Hilda, già paziente di Jung e poi di Baynes, quindi suicida) e Ruth Bailey, una nobildonna inglese incontrata durante il viaggio in nave e che vivrà con Jung dalla morte della moglie Emma (1955, come fu lei a chiederle) in poi (ossia fino al 1961, anno di morte di Jung stesso).

La spedizione “Bugishu”, verso il Kenya e l’Uganda attraverso il Monte Elgon, filmata da Baynes con una cinepresa, portò Jung (che cominciò a studiare anche lo sciamanesimo) a contatto con riti e miti delle popolazioni indigene, ed indirettamente con il proprio inconscio.

Archetipi

«Gli archetipi sono come i letti dei fiumi abbandonati dall’acqua, che però possono nuovamente accoglierla dopo un certo tempo. Un archetipo è simile a una gola di montagna in cui la corrente della vita si sia lungamente riversata: quanto più ha scavato questo letto, quanto più ha conservato questa direzione, tanto più è probabile che, presto o tardi, essa vi ritorni.»
(Carl Gustav Jung, Aspetti del dramma contemporaneo)

La psiche si compone della parte inconscia, individuale e collettiva, e della parte conscia.

La dinamica tra le due parti è considerata da Jung come ciò che permette all’individuo di affrontare un lungo percorso per realizzare la propria personalità in un processo che egli denomina “individuazione”. In questo percorso l’individuo incontra e si scontra con delle organizzazioni archetipe (inconsce) della propria personalità: solo affrontandole egli potrà dilatare maggiormente la propria coscienza. Esse sono “la Persona”, “l’Ombra”, “l’Animus e l’Anima” e “il Sé”. L’archetipo è una sorta di “DNA psichico”: il concetto deve molto a Platone e alle sue “idee”, oltre che agli studi di filogenetica iniziatisi con Freud.

La Persona (dalla parola latina che indica la “maschera teatrale”) può essere considerata come l’aspetto pubblico che ogni persona mostra di sé, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è.

La Venere di Willendorf, un’immagine della “Grande Madre”. Nella psicologia di Jung la Grande Madre è una delle potenze numinose dell’inconscio, un archetipo di grande ed ambivalente potenza, nello stesso tempo distruttrice e salvatrice, nutrice e divoratrice.

L’Ombra rappresenta la parte della psiche più sgradevole e negativa, coincide con gli impulsi istintuali che l’individuo tende a reprimere. Impersona tutto ciò che l’individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto. È, in un certo senso, l’evoluzione junghiana dell’Es freudiano.

Animus e Anima rappresentano rispettivamente l’immagine maschile presente nella donna e l’immagine femminile presente nell’uomo. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell’innamoramento. L’immagine dell’anima o dell’animus ha una funzione compensatoria con la Persona, è la sua parte inconscia e offre possibilità creative nel percorso di individuazione.

Il Sé è il punto culminante del percorso di realizzazione della propria personalità, nel quale si portano a un’unificazione tutti gli aspetti consci e inconsci del soggetto.

Altri archetipi rappresentano immagini universali, che esprimono contemporaneamente positività o negatività: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, l’Apollo, numerose figure della religione, ecc. Esse vengono chiamate da Jung anche – specie quando riprendono figure mitiche, religiose o leggendarie, in particolare di divinità – “potenze numinose”, riprendendo il termine di Rudolf Otto.

La “querelle” su Jung e il nazionalsocialismo

Nel 1930 Jung fu nominato presidente onorario dell’Associazione tedesca di psicoterapia. L’Associazione, cui aderivano molti psicoterapeuti ebrei, fu sciolta dal nazismo nel 1933.

Ne fu creata un’altra, a carattere internazionale, con Jung, cristiano, presidente.

Molti psicoanalisti giudei, espulsi dalla sezione tedesca, poterono così entrare a far parte della sopranazionale (grazie a un articolo da lui proposto nello statuto fondativo), e chiesero loro stessi a Jung di accettare la presidenza. Jung aveva inoltre molti pazienti e amici ebrei. Tuttavia nel 1944 verrà messa una clausola, definita “di sicurezza” dai commentatori, per cui la percentuale di psicoanalisti ebrei non poteva superare il 10 %.

Nel 1934 Jung fu però criticato per la sua adesione a questa organizzazione, che taluni consideravano di origine nazionalsocialista, per il fatto che la sezione tedesca divenne semplicemente un’emanazione del regime, oltre che per la sua funzione di redattore capo della rivista Zentralblatt fur Psychotherapie, un periodico che era divenuto di matrice nazionalsocialista. Al congresso fondativo tributa un omaggio al perseguitato Freud, riconoscendogli il merito della scoperta dell’inconscio. Tenterà anche di aiutarlo finanziariamente durante la fuga dall’Austria, ma Freud rifiutò il denaro dell’ex allievo.

Jung e i suoi difensori, in questa querelle sulla presunta adesione di Jung al nazionalsocialismo, replicarono sostenendo che la sua presenza in questi organismi avrebbe permesso di salvaguardare l’attività degli psicoterapeuti tedeschi di origine ebraica. I sostenitori di Jung affermano anche che accettò questo incarico non a cuor leggero, ma nella speranza di salvare il salvabile, tant’è che quando egli si accorse di non poter fare nulla, nel 1939 rassegnò le dimissioni dalla carica di presidente della “Società medica internazionale di psicoterapia” e da redattore della rivista nel 1940.

Pochi anni prima, nel 1936, Jung tenne una conferenza che verrà poi pubblicata con il titolo di “Il concetto d’inconscio collettivo” e, a proposito del regime nazista e del fanatismo del popolo tedesco, affermò:

«Se trent’anni fa qualcuno avesse osato predire che il nostro sviluppo psicologico tendeva a una reviviscenza delle persecuzioni medievali degli ebrei, che l’Europa avrebbe di nuovo tremato davanti ai fasci romani e al passo cadenzato delle legioni, che le persone ancora una volta avrebbero fatto il saluto romano come duemila anni fa, e che un’arcaica svastica, invece della croce cristiana, avrebbe attratto milioni di guerrieri pronti a morire, ebbene sarebbe stato accolto come mistico folle. E oggi? Anche se può sorprendere, queste cose assurde sono diventate un’orribile realtà.»
(Il concetto d’Inconscio collettivo)

In questa stessa epoca Hitler prendeva il potere in Germania e, sfortunatamente per Jung, il caso volle che il redattore tedesco della rivista, il cui nome compariva accostato a quello di Jung, risultasse essere il professor Mathias Heinrich Göring, di scuola adleriana, e cugino del più famoso Hermann Göring, delfino di Adolf Hitler. Questo psicoanalista era direttore dell’Istituto tedesco per la ricerca psicologica e Psicoterapia di Berlino, di cui Jung non fece mai parte, e incontrò Goebbels con molto disgusto e disagio.

In questo periodo di presidenza Jung scrisse l’articolo Wotan, apparso sulla Neue Schweizer Rundschau, che in seguito diverrà il primo capitolo dell’opera Aspetti del dramma contemporaneo. In esso afferma che l’archetipo Wotan/Odino dorme nell’inconscio collettivo dei tedeschi, popolo guerriero dall’epoca dei barbari germani: esso è il dio della guerra e della distruzione, ma anche della rinascita nella mitologia norrena e germanica; se in Hitler si manifesta il primo aspetto (e tramite lui trasmesso alla Germania), quello violento, Jung spera che emerga nei tedeschi anche il secondo.

Nell’articolo, sotto l’aspetto della psicoanalisi e dell’antropologia, si trovano anche dure critiche al nazionalsocialismo, considerato anche come fenomeno sociale e non solo psicologico. Già nel 1918 aveva messo in guardia contro il crescente nazionalismo tedesco:

«Il cristianesimo ha scisso il barbaro germanico in una metà superiore e una metà inferiore, rimuovendo la parte oscura e addomesticando la parte superiore per adattarla alla civiltà. […] Via via che la concezione cristiana del mondo va perdendo di autorità, sentiamo che la «bionda bestia» si agita sempre più minacciosamente nel suo carcere sotterraneo, pronta a balzare all’aperto ad ogni istante con conseguenze devastatrici.»
(L’inconscio, pp. 144-145)

Taluni gli rimproverano alcune affermazioni ambigue pubblicate sul giornale, ma a differenza di altri accademici che si asservirono al regime, Jung non ebbe mai la tessera del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, e non elogiò mai la politica di Hitler.

In questo periodo, a causa del suo comportamento non ligio alla dittatura, le autorità hitleriane avevano già preso misure contro Jung: gli era stato negato l’accesso in territorio tedesco (cosicché si ritirò a Basilea, dove insegnava; anche Giappone, Italia e Ungheria gli negarono il visto), le sue opere vennero bruciate o mandate al macero nei Paesi d’Europa nei quali era possibile, come accadde in Francia, e il suo nome figurò nella famigerata “lista Otto”, vicino a quello di Freud e di molti altri autori vietati in Germania e nei territori occupati, come Karl Marx e Thomas Mann (come testimoniato da alcuni conoscenti e famigliari, Jung temeva molto una vittoria del nazionalsocialismo e un’eventuale invasione della Svizzera durante la seconda guerra mondiale, proprio per via delle sue note posizioni critiche anti-nazionalsocialiste espresse dal 1940 in poi).

Jung vide personalmente Hitler e Mussolini a una parata nel 1939 a Berlino. Descrisse il Führer come un tipo “sciamanico”, mentre il duce e Stalin rappresentavano il “capovillaggio”; Mussolini era l’uomo della “forza fisica” ma Stalin era “solo un bruto, un contadino furbo, una belva istintiva e possente, di gran lunga il più potente, questo è vero, di tutti i dittatori”.

Anche dopo la guerra la relazione tra Jung e il nazismo causò polemiche e dibattiti.

Nella sua autobiografia (“Ricordi, Sogni, Riflessioni”) e nella raccolta di testimonianze sulla sua vita Jung parla, appaiono numerosi spunti critici rispetto al fenomeno nazista, che in alcuni suoi scritti e passaggi Jung analizzò, con preoccupazione, da un punto di vista psicologico-analitico collettivo. Jung, comunque, consapevole com’era delle falsità di tale accuse (la cosa che ammise fu la sottovalutazione della pericolosità del regime ai suoi inizi), non diede mai troppo peso alla questione, ma per avere un quadro più ampio è utile riferirsi allo stralcio di un’intervista del 1949:

«Chiunque abbia letto uno qualsiasi dei miei libri non può avere dubbi sul fatto che io non sono mai stato filonazionalsocialista e tanto meno antigiudaico; non c’è citazione, traduzione o manipolazione tendenziosa di ciò che ho scritto che possa modificare la sostanza del mio punto di vista, che è lì stampato, per chiunque voglia conoscerlo. Quasi tutti questi brani sono stati in qualche misura manomessi, per malizia o per ignoranza. Prendiamo la falsificazione più importante, quella sul Saturday dell’11 giugno: “L’ebreo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai. L’inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello giudaico”. Guarda caso, se lette nel loro contesto queste frasi acquistano un significato esattamente contrario a quello attribuito a esse da questi “ricercatori”. Sono state prese da un articolo intitolato “Situazione attuale della psicoterapia. […] Perché si possa giudicare il senso di queste frasi controverse, le leggerò per intero il paragrafo in cui ricorrono: “In virtù della loro civiltà, più del doppio antica della nostra, essi presentano una consapevolezza molto maggiore rispetto alle debolezze umane e ai lati dell’Ombra, e perciò sono sotto questo aspetto molto meno vulnerabili. Grazie all’esperienza ereditata dalla loro antichissima civiltà essi sono capaci di vivere, con piena coscienza, in benevola, amichevole e tollerante prossimità dei loro difetti, mentre noi siamo ancora troppo giovani per non nutrire qualche “illusione” su noi stessi… Il giudeo, quale appartenente a una razza che dispone di una civiltà di circa tremila anni, possiede, come il cinese colto, un più ampio spettro di consapevolezza psichica rispetto a noi. Il giudeo, che è una specie di nomade, non ha mai creato una forma propria di civiltà, e probabilmente non lo farà mai, poiché tutti gli istinti e i suoi talenti presuppongono, per potersi sviluppare, un popolo che li ospiti, dotato di un grado più o meno elevato di civiltà. La religione giudaica nel suo insieme possiede perciò – per l’esperienza che me ne sono fatta – un inconscio che si può paragonare solo con alcune riserve a quello ariano. Eccezion fatta per alcuni individui creativi, possiamo dire che il giudeo medio è già molto più consapevole e raffinato per covare ancora in sé le tensioni di un futuro non nato. L’inconscio ariano dispone di un potenziale più elevato di quello giudaico, il che costituisce al tempo stesso il vantaggio e lo svantaggio di una giovane età che non si è ancora completamente distaccata dall’elemento barbarico».

Il concetto di inconscio giudaico e inconscio ariano, come l’uso della parola “razza”, era comunque stato già introdotto da Freud negli studi psicoanalitici. Secondo documenti desecretati, Jung ebbe rapporti con i servizi segreti statunitensi in funzione anti-nazionalsocialista durante la guerra, e avrebbe rifiutato di diventare lo psicologo analitico di Hitler durante la guerra. Occupandosi di psicoanalizzare il nazionalsocialismo intero, divenne l’agente segreto n. 488 dell’OSS, l’organismo precursore della CIA.

La torre

Risale al 1923 la costruzione della famosa e in parte misteriosa Torre di Jung.

Quell’anno si avvicinava ai cinquant’anni e non trovava più soddisfacente testimoniare con la sola scrittura l’avventura della psicoanalisi e del processo individuativo che in lui si realizzava, voleva cercare un altro modo di simbolizzarlo, un modo che gli desse un’impressione più concreta della scrittura.

Così dopo la morte di sua madre Jung comprò un terreno a Bollingen, al di là del lago di Zurigo. Qui realizzò il progetto di un’abitazione dove trascorreva le vacanze e i fine settimana. Complessivamente risiedeva a Bollingen ben sei mesi l’anno.

All’inizio era solo un edificio circolare a forma di torre, successivamente aggiunse tre sezioni, ampliando così la casa. L’espandersi della torre andò sempre parallelo con la sua crescita psichica nella totalità della sua vicenda. L’edificio originale era basso e nascosto fra le due torri, ma all’età di ottant’anni, dopo la morte della moglie nel 1955, si sentì di aggiungere un altro piano. Allora la casa di Bollingen, priva di elettricità e di acqua e silenziosa, diventò il ritiro spirituale di Jung.

Essa darà il nome alla fondazione che curerà la pubblicazione dell’opera junghiana in America.

L’edificio è visibile ancor’oggi, anche se l’accesso avviene mediante il passaggio in una proprietà privata. Nell’ala dell’edificio affacciato sul lago, protetta dalle mura in sasso che circondano il nucleo centrale della torre, si può ancora vedere la pietra scolpita da Jung. Un’immagine della pietra è visibile nella biografia Ricordi, sogni e riflessioni.

La fama

Verso la metà degli anni Venti colleghi e pazienti smisero si rivolgersi a lui con “Dottore” e venne chiamato “Professore”.

Nello stesso tempo i suoi viaggi, e l’arrivo anche di curiosi dall’estero, portavano la sua fama a estendersi a livello internazionale. Nel 1928, per esempio, dall’Inghilterra giunse Barbara Hannah (1891-1986), nel 1930 dall’Austria Wolfgang Ernst Pauli (1900-1958), dalla Germania Carl Alfred Meier (1905-1995), dall’Ungheria Jolande Jacobi (1890-1973), dagli Stati Uniti Catherine “Katy” Rush Cabot, che con il longevo Joseph Lewis Henderson (1903-2007) è tra i pochissimi ad aver trascritto parole ed eventi di ogni seduta con Jung.

Si formò attorno a lui un gruppo di amici, dalla giovane Marie-Louise von Franz (1915-1999), al sinologo Richard Wilhelm (1873-1930, che lo introdusse all’uso de Il Libro dei Mutamenti e lo affascinò con la sua traduzione del classico taoista Il segreto del fiore d’oro, dall’indologo Heinrich Zimmer (1890-1943) al conte Hermann Graf Keyserling (che aveva per amante Victoria Ocampo, poi ritornata in Argentina, e introdusse Jung a diversi aristocratici, come Maria Alice di Sassonia o Victor e Margaret Lüttichau), da Christiana Morgan (nata Drummond Councilman, 1897-1967) al suo amante Henry Murray (1893-1988), poi entrambi analisti di primo piano di Harvard.

Si rivolsero a lui scrittori come Hugh Walpole (del quale ammirava The Prelude to Adventure), H. G. Wells (che lo trasformò in un personaggio del suo The World of William Clissold), F.S. Fitzgerald (per la moglie Zelda) e studiosi come Carola Welcker (moglie di Sigfried Giedion) che gli rimproverò di non aver capito l’arte contemporanea e persino, dopo la guerra, agenti segreti come Allen Welsh Dulles o Mary Rüfenacht Bancroft (1903-1997).

Nel 1939 morì Freud e l’ex allievo lo ricordò con un Necrologio.

Jung e il “paranormale”

«La psiche possiede facoltà particolari, per cui non è del tutto confinata entro lo spazio e il tempo. Si possono fare sogni e avere visioni del futuro, si può vedere attraverso i muri e via dicendo. Solo gli ignoranti negano questi dati di fatto, è assolutamente evidente che questi fatti esistono e sono sempre esistiti.»
(Carl Gustav Jung)

Tra gli interessi di Jung vi era anche il paranormale, un tipo di ricerca sviluppato già in gioventù, analizzando i fenomeni della sua cugina medium. Egli stesso condusse analisi ed esperimenti parapsicologici.

Era convinto di essere un sensitivo. Diceva di aver avuto diverse premonizioni e una visione nel 1913 che annunciava la rovina dell’Europa (la prima guerra mondiale).

Sosteneva che i fenomeni paranormali fossero segnali dell’inconscio collettivo, come i sogni sono spie dell’inconscio individuale.

Cominciò un lavoro analitico su sé stesso, a base di tutta la sua opera, annotando sogni, fantasie e disegnandole anche (immaginazione attiva), in quello che sarebbe diventato il Libro Rosso: non lo pubblicò mai, gli eredi autorizzarono la visione dell’opera solo nel 2001 e la pubblicazione del saggio, di intonazione profetica e ispirato allo stile di Nietzsche, solo nel 2008. Le illustrazioni riprendono la tecnica visionaria di William Blake.

Jung studiò anche la credenza nella reincarnazione, che interpretava originata dai ricordi dell’inconscio collettivo.

Nel 1920 disse di avere assistito alle manifestazioni di un fantasma mentre si trovava in una villa in Inghilterra, una notte mentre era a letto aprì gli occhi e vide accanto a sé una vecchia che lo fissava. Saltato giù dal letto accese una candela e la visione era sparita.

Jung tendeva a spiegare i fenomeni, più che come manifestazioni di spiritismo come manifestazioni di inconsci turbati e particolarmente sensibili: tuttavia sostenne che certi fenomeni erano, a suo parere, inspiegabili, avvicinandosi a una posizione possibilista.

In un libro-intervista del 1950 fu più scettico e spiegò la visione del 1920 come un’illusione ipnagogica semi-onirica derivante dal ricordo di un’anziana paziente affetta da carcinoma, che lui aveva memorizzato.

Jung organizzava regolari sedute spiritiche e si dice che durante una di esse un pesante tavolo di noce si rovesciò, mentre subito dopo un coltello per tagliare il pane, custodito in un cassetto, si spezzò in quattro parti con un rumore simile a un colpo di pistola.

Tra le sue altre esperienze anche percezioni insolite, allucinazioni senza patologia psicotica, interpretate come segnali dell’inconscio personale e collettivo: all’epoca di Jung non venivano usati psicofarmaci e lui stesso aveva mostrato scetticismo sull’uso degli allucinogeni in psichiatria in una lettera del 1955, quindi non è chiaro se sperimentò droghe come la mescalina per indurre stati di alterazione della coscienza, se si trattasse di fantasie vivide o se davvero era in grado di auto-indursi visioni come sosteneva.

Tra le sue esperienze mistiche, una forte connessione agli eventi passati, come durante la visita nel 1913 al mausoleo di Galla Placidia a Ravenna. Jung tornò con un’amica a Ravenna venti anni dopo. Nel battistero Neoniano entrambi videro un mosaico, raffigurante Cristo che salva san Pietro dalle acque del lago di Tiberiade, che Jung interpretava come un simbolo inconscio di rinascita psicologica. In realtà tale mosaico non esisteva (è presente invece il battesimo di Cristo nel fiume Giordano), se non nelle intenzioni originali dei costruttori, ed era quindi frutto dell’immaginazione di Jung e della sua accompagnatrice.

Nel 1944 ebbe un incidente domestico e si fratturò una gamba e, durante il ricovero, ebbe un successivo infarto miocardico dovuto a embolia polmonare, che gli causò una perdita di coscienza per tre settimane. Quando si riprese sostenne di aver avuto, in coma, un’esperienza di pre-morte, comprendente un’esperienza extra-corporea in cui disse di aver visto la Terra dallo spazio (descrivendo una situazione simile a quella che vivranno i primi astronauti e cosmonauti), visioni di un luogo luminoso e viaggi “extradimensionali”, e descriverà così l’inizio dell’esperienza:

«In stato di incoscienza ebbi deliri e visioni che dovettero cominciare quando ero in pericolo di vita e mi curavano con ossigeno e iniezioni di canfora… Mi pareva di essere sospeso nello spazio, sotto di me, lontano vedevo il globo terrestre avvolto in una splendida luce azzurrina e distinguevo i continenti e l’azzurro scuro del mare. Proprio ai miei piedi c’era Ceylon e dinanzi a me, a distanza, l’India. La mia visuale comprendeva tutta la Terra; la sua forma sferica era chiaramente visibile e i suoi contorni splendevano di un bagliore argenteo, in quella meravigliosa luce azzurra. In molti punti il globo sembrava colorato o macchiato di verde scuro, come argento ossidato. Sulla sinistra, in fondo, c’era una vasta distesa, il deserto giallo rossastro dell’Arabia; come se l’argento della terra in quel punto avesse preso una sfumatura di oro massiccio. Poi seguiva il Mar Rosso e lontano — come a sinistra in alto su una carta — potevo scorgere anche un lembo del Mediterraneo, oggetto particolare della mia attenzione. Tutto il resto appariva indistinto. Vedevo anche i nevai dell’Himalaya coperti di neve, ma a quella distanza c’era nebbia e nuvole. Non guardai per nulla verso destra. Sapevo di essere sul punto di lasciare la Terra. Più tardi mi informai dell’altezza a cui si dovrebbe stare nello spazio per avere una vista così ampia: circa 1500 chilometri. La vista della Terra a tale altezza è la cosa più meravigliosa che avessi mai visto. (…) Ero sospeso nello spazio cosmico, e io pure fluttuavo per il cosmo… È impossibile farsi un’idea della bellezza e dell’intensità dei sentimenti durante quelle visioni. Furono la cosa più tremenda che io abbia mai provato.»

Jung descrive una sorta di meteorite, come una casa, simile a certi blocchi di granito di Ceylon, nei quali viene a volte scavato un tempio: la porta ha lampade accese e a destra siede, in attesa, un indù a gambe incrociate nella posizione del loto.

«Quando mi avvicinai ai gradini che portavano all’entrata accadde una cosa strana: ebbi la sensazione che tutto il passato mi fosse all’improvviso tolto violentemente. Tutto ciò che mi proponevo, o che avevo desiderato o pensato, tutta la fantasmagoria dell’esistenza terrena, svanì, o mi fu sottratta: un processo estremamente doloroso. Nondimeno qualcosa rimase: era come se adesso avessi con me tutto ciò che avevo vissuto e fatto, tutto ciò che mi era accaduto intorno. Potrei dire: era tutto con me e io ero tutto ciò. Consistevo di tutte queste cose, per così dire: consistevo della mia storia personale e avvertivo con sicurezza “Questo è ciò che sono. Sono questo fascio di cose che sono state e che si sono compiute”. Questa esperienza mi dava una sensazione di estrema miseria e al tempo stesso di grande appagamento. Non vi era più nulla che volessi o desiderassi. Esistevo, per così dire, oggettivamente: ero ciò che ero stato e che avevo vissuto…»

Nel suo testo autobiografico Ricordi, sogni, riflessioni commentò anche:

«Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente… Prima o poi, i morti diventeranno un tutt’uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d’essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell’eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo»
(Intervista a Jung)

Fanno parte di queste credenze nel paranormale gli scritti che Jung pubblicò nel 1952 sulla sincronicità: secondo questa spiegazione alcuni fenomeni avvengono in modo sincrono senza che vi siano correlazioni di causa-effetto, poiché hanno un’origine comune, un fine comune e una comunanza evidente di significato, e sono parte di uno stesso meccanismo apparentemente attribuibile ad una sorta di “destino”.

Per questi interessi Jung è stato criticato dagli psicoanalisti classici di scuola freudiana e dai materialisti per aver dato, a loro avviso, troppo credito al paranormale nel mondo moderno, mescolando indebitamente psicologia, pseudoscienza e religione.

Jung e la fisica quantistica

Jung, da parte sua, era anche affascinato dalla fisica quantistica e dalle particelle subatomiche che possono scomparire e apparire in altri punti remoti, collegati da “misteriose connessioni”, nonché dalla teoria del multiverso, oltre che dalla relatività di Einstein e gli studi di Schrödinger; egli le vedeva se non come possibili conferme scientifiche dei suoi concetti psicologici sulla sincronicità e il paranormale, almeno come riprova di una diffusione di tali concetti e dell’estensibilità di tali dinamiche; riferendosi inoltre alle invisibili connessioni di cui egli parlava, a livello estremamente piccolo, si potrebbero trovare analogie con la teoria scientifica delle stringhe, proposta da alcuni fisici in anni più recenti, e il fenomeno dell’entanglement quantistico.

Collaborazioni
La collaborazione con Pauli

Il fisico teorico e sperimentale Premio Nobel Wolfgang Pauli, inizialmente suo paziente, collaborò con Jung agli studi sulla sincronicità. Il confronto intellettuale generò quella ricerca nota come “il quarto escluso”, individuato in fisica classica nel modello di triade e in alchimia nel modello sviluppato da Jung negli studi sull’alchimia, perché questo processo simbolicamente rappresentato completava una triade fino ad allora in attesa di un quarto elemento che sciogliesse i dubbi ancora presenti sulla validità di ciò che era stato compreso, verificato e accettato dalla scienza fino a quel momento. La sincronicità si rivelava così essere il modello ideale per sciogliere molti dei dubbi innescati anche nel modello di triade in fisica classica: 1) tempo 2) spazio 3) causalità; al “quarto escluso” è stato appunto dato il nome di sincronicità.

In analogia alla causalità che agisce in direzione della progressione del tempo e mette in connessione fenomeni che accadono nello stesso spazio ma in istanti diversi, come per esempio l’entanglement, viene ipotizzata l’esistenza di un principio che mette in connessione fenomeni che accadono nello stesso tempo ma in spazi diversi. Viene cioè ipotizzato che oltre lo svolgimento di un evento conforme al principio in cui in tempi diversi accadono avvenimenti provocati da una medesima causa, ne esista un altro in cui accadono avvenimenti nello stesso tempo ma in due spazi differenti perché, essendo casuali, non sono direttamente provocati da un effetto, risultando così aderenti a un principio di a-temporalità.

Nel 1952 Jung e Pauli pubblicarono due saggi nel volume Naturerklärung und Psyche. Nel proprio saggio Pauli applicava il concetto di archetipo alla costruzione delle teorie scientifiche di Keplero, mentre Jung intitolava il proprio Sincronicità come Principio di Nessi Acausali. Dopo più di venti anni di dubbi e ripensamenti di carattere etico-intellettuale, l’analista si decise a definire il concetto per cui riteneva “d’essere scientificamente impreparato” a enunciare. Jung, rigoroso e pragmatico scienziato, è infatti imbarazzato verso la comunità scientifica per l’evidente orientamento dei suoi studi in cui evidenze empiriche divengono fenomenologie su cui lavorare con metodo scientifico.

Nella prefazione del saggio scrive che: «la sincronicità è un tentativo di porre i termini del problema in modo che, se non tutti, almeno molti dei suoi aspetti e rapporti diventino visibili e, almeno spero, si apra una strada verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto riguarda la nostra concezione del mondo».

Interventi sugli allievi

Intervenne anche con scritti in omaggio di suoi allievi, come Toni Wolff, Linda Fierz-David (1891-1955), Jolande Jacobi, Frances G. Wickes, H. G. Baynes, Gerhard Adler, Hedwig von Roques, Marie-Louise von Franz ed Erich Neumann.

Allievi più distanti furono Hans Schär, William Purcell Witcutt, Victor White, Gerhard Frei, Hans Trüb, Philip Wylie, Ira Progoff, Gustav Bally (1893-1966), Hans Bänziger. Altri letterati e studiosi che a lui si riferirono sono John Boynton Priestley, Philip Toynbee, Károly Kerényi.

L’alchimia e l’astrologia

«L’alchimia è, come il folclore, un grandioso affresco proiettivo di processi di pensiero inconsci. A causa di questa fenomenologia mi sono sottoposto allo sforzo di leggere da cima a fondo l’intera letteratura classica dell’alchimia»

Gli ultimi lavori e scritti di Jung si concentrarono sull’alchimia. L’ultimo libro s’intitola infatti Mysterium Coniunctionis, che tratta dell’archetipo omonimo, il “Mysterium Coniunctionis” o matrimonio sacro o “alchemico” tra il Sole e la Luna. Jung ha riesaminato la teoria e il simbolismo alchemico e ha cominciato a mettere in luce il significato del lavoro alchemico come ricerca spirituale.

L’esposizione junghiana della teoria dei rapporti intercorrenti tra alchimia e inconscio si trova in varie sue opere che abbracciano un arco di tempo che va dai primi anni quaranta a poco prima della sua scomparsa:

Psicologia e alchimia (1944)
Psicologia del transfert (1946)
Saggi sull’alchimia (1948)
Mysterium Coniunctionis (1956).

La tesi dello psicoanalista svizzero consiste nell’identificazione delle analogie esistenti tra i processi alchemici e quelli legati alla sfera dell’immaginazione e in particolare a quella onirica. Secondo Jung, le fasi attraverso le quali avverrebbe l’opus alchemicum avrebbero una corrispondenza nel processo di individuazione, inteso come consapevolezza della propria individualità e scoperta dell’essere interiore. Mentre l’alchimia non sarebbe altro che la proiezione (psicologia) nel mondo materiale degli archetipi dell’inconscio collettivo, il procedimento per ottenere la pietra filosofale rappresenterebbe l’itinerario psichico che conduce alla coscienza di sé e alla liberazione dell’io dai conflitti interiori.

Jung studiò anche approfonditamente l’astrologia e la legò alle sue teorie sui tipi psicologici.

Concezione di Dio

Jung era un cristiano protestante, di confessione riformata, tuttavia nutrì interesse per le tradizioni orientali (scrivendo la prefazione al citato I Ching nonché al Libro tibetano dei morti) e per molte religioni, filosofie e culture straniere, specie per il neoplatonismo e lo gnosticismo. Sosteneva di non credere a nulla per tradizione, ma affermava di “credere per esperienza”, come riportato nella seguente citazione:

«Tutto ciò che ho appreso nella vita, mi ha portato passo dopo passo alla convinzione incrollabile dell’esistenza di Dio. Io credo soltanto in ciò che so per esperienza. Questo mette fuori campo la fede. Dunque io non credo all’esistenza di Dio per fede: io so che Dio esiste.»

In una lettera a The Listener Jung chiarisce cosa intenda per “Dio”:

«Questo non vuol dire: “so che esiste un Dio determinato (Zeus, Yahweh, Allah, il Dio trinitario, ecc.)”, ma piuttosto: “so che sono palesemente confrontato con un fattore in sé sconosciuto e che chiamo Dio in consensu omnium… In quanto so di una collisione con una volontà superiore nel mio proprio sistema psichico, so di Dio, e se volessi tuttavia osare l’ipostatizzazione in sé illegittima della mia idea, direi: so di un Dio al di là del bene e del male che è altrettanto in me quanto in ogni luogo al di fuori di me”.»
(C.G. Jung, Opere, vol. 11°: Psicologia e religione, p. 487)

«Se poniamo un Dio fuori di noi, ci strapperà al nostro Sé, perché il Dio è più forte di noi. Allora il nostro Sé si troverà in grave difficoltà. Se invece il Dio si insedia nel Sé, ci sottrarrà alla sfera di ciò che è fuori di noi. (…) Nessuno ha il mio Dio, ma il mio Dio ha tutti quanti, me compreso.»
(Libro rosso)

Nel Libro rosso, pubblicato nel 2009, Jung illustra il proprio concetto di Dio: negli anni della sperimentazione su sé stesso aveva maturato un Dio personale, riflesso di contenuti inconsci:

«Devo liberare da Dio il mio Sé, poiché il Dio che ho conosciuto è più che amore, è anche odio; è più che bellezza, è anche ripugnanza; è più che sapienza, è anche assurdità; più che forza, è anche impotenza; più che onnipresenza, è anche la mia creatura.»
(Libro rosso)

Si tratta di un Dio ambivalente, come precisa in I Sette sermoni ai morti parlando della figura divina gnostica di Abraxas (Jung soleva portare un anello con inciso questo nome):

«Ma Abraxas pronuncia la parola santificata e maledetta che è vita e morte insieme. Abraxas genera verità e menzogna, bene e male, luce e tenebra, nella stessa parola e nello stesso atto. Perciò Abraxas è terribile. È splendido come il leone nell’attimo in cui abbatte la preda. È bello come un giorno di primavera.»

Jung ebbe rispetto della religiosità dei suoi pazienti, senza coinvolgerla troppo nella terapia o metterla in dubbio: l’aspetto terapeutico per lui risultava più importante della fede professata, talvolta considerandola un modo per vivere gli archetipi, o consigliando la confessione ai pazienti cattolici. Riguardo a questo fatto, però, rimane da chiarire per i teologi cristiani[quali? Di chi stiamo parlando?] se nella sua teoria si dia una distinzione reale tra l’uomo e Dio, o se quest’ultimo non si riduca a una produzione o una mera interpretazione della psiche di qualcosa che direttamente non può essere sperimentato, anche a motivo di una nozione – l’archetipo – affascinante, ma vaga e ambigua, e che è l’unico tramite possibile che può essere esperito.

Resta da chiarire se Jung ritenesse ammissibile o credesse davvero a una rivelazione storica, irriducibile al soggetto e all’analisi psicologica: Jung infatti rifiuta la possibilità che sia mai avvenuta fisicamente la risurrezione di Gesù, per il semplice fatto che i morti non resuscitano, e la nozione di peccato o di male sembra essere sempre da lui ricondotta al disordine mentale, alla deviazione o al disagio psichico.

In merito al problema del male e alla teodicea, notevole la sua opera Risposta a Giobbe in cui, esaminando il libro di Giobbe, Jung si scaglia contro la “selvatichezza e perversità divina [di] un Dio smodato nelle sue emozioni…roso dall’ira e dalla gelosia”. In questo e in altri documenti, Jung sembra esprimere una forte inclinazione verso il misoteismo, descrivendo il Dio biblico come il Demiurgo gnostico.

«Rimasi sconvolto la prima volta che […] lessi il libro di Giobbe: dunque Yahweh è ingiusto, pensai, un malvagio. Infatti si lascia persuadere dal demonio, accetta di infliggere orribili torture a Giobbe su istigazione di Satana. Nella sua onnipotenza, non gli importa della sofferenza umana.»
(C.G. Jung, Jung parla. Interviste e incontri, Adelphi, Milano 1995, p. 292)

Riguardo all’Islam, Jung fece un raffronto tra Maometto e Hitler:

«Non sappiamo se Hitler sia in procinto di fondare un nuovo Islam. È già a buon punto; è come Maometto. L’emozione in Germania è islamica; propensa alla guerra e islamica. Sono tutti ubriacati da un dio selvaggio.»

In ambito cattolico, egli commentò la proclamazione del dogma dell’assunzione di Maria da parte di papa Pio XII nel 1954 come un fatto positivo; Jung rimase da essa impressionato, ritenendola “l’evento più rilevante della storia del cristianesimo dai tempi della riforma”, definì tale proclamazione “petra scandali per una mente priva di sensibilità psicologica”, affermando che tuttavia “il metodo che il Papa adopera per dimostrare la verità del dogma ha senso per la mente psicologica”.

Jung aveva esplorato in particolare anche il dogma della Immacolata concezione e l’importanza data dalla Chiesa cattolica alla figura mistica rappresentata dalla Madonna. Nel nuovo dogma Jung apprezzava in particolare l’estensione simbolica della Trinità a una “quaternità”, che apriva finalmente il cristianesimo alla dimensione sacra femminile e, quindi, alla totalità.

Visione sociologica

«Ho spesso visto persone diventare nevrotiche per essersi accontentate di risposte inadeguate o sbagliate ai problemi della vita; cercano la posizione, il matrimonio, la reputazione, il successo esteriore o il denaro, e rimangono infelici e nevrotiche anche quando hanno ottenuto tutto ciò che cercavano. Persone del genere di solito sono confinate in un orizzonte spirituale troppo angusto, la loro vita non ha sufficienti contenuti, non ha significato, se riescono ad acquistare una personalità più ampia generalmente la loro nevrosi scompare. Tra i cosiddetti nevrotici del nostro tempo ve ne sono molti che in altre epoche non lo sarebbero stati, non sarebbero stati cioè in disaccordo con sé stessi: se fossero vissuti in un’epoca, in un ambiente nel quale l’uomo attraverso i miti era ancora in rapporto con il mondo ancestrale e quindi con la natura sperimentata realmente e non vista solo dall’esterno avrebbero potuto evitare questo disaccordo con sé stessi.

Oggi si vuol sentire parlare di grandi programmi politici ed economici ossia proprio di quelle cose che hanno condotto i popoli ad impantanarsi nella situazione attuale, ed ecco che uno viene a parlare di sogni e di mondo interiore… tutto ciò è ridicolo, che cosa crede di ottenere di fronte ad un gigantesco programma economico, di fronte ai cosiddetti problemi della realtà? Ma io non parlo alle nazioni, io mi rivolgo solo a pochi uomini. Se le cose grandi vanno male, è solo perché i singoli individui vanno male, perché io stesso vado male, perciò, per essere ragionevole, l’uomo dovrà cominciare con l’esaminare sé stesso, e poiché l’autorità non riesce a dirmi più nulla, io ho bisogno di una conoscenza delle intime radici del mio essere soggettivo. È fin troppo chiaro che se il singolo non è realmente rinnovato nello spirito neppure la società può rinnovarsi poiché essa consiste nella somma degli individui.»
(Carl Gustav Jung)

si è dunque “un archetipo a provocare una determinata visione”.

Mandala nel cielo: Jung e il “fenomeno UFO”

Jung scrisse quattro saggi sui Maṇḍala, i disegni rituali buddisti e induisti, dopo averli studiati per oltre venti anni.

Secondo Jung durante i periodi di tensione psichica figure mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per portare o indicare la possibilità di un ordine interiore.

Il simbolo del mandala, quindi, non è solo un’affascinante forma espressiva ma, agendo a ritroso, esercita anche un’azione sull’autore del disegno perché in questo simbolo si nasconde un effetto magico molto antico: l’immagine ha lo scopo di tracciare un magico solco intorno al centro, un recinto sacro della personalità più intima, un cerchio protettivo che evita la “dispersione” e tiene lontane le preoccupazioni provocate dall’esterno; oltre a operare al fine di restaurare un ordinamento precedentemente in vigore, un mandala persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualcosa che tuttora non esiste, a qualcosa di nuovo e di unico. Come afferma Marie-Louise Von Franz (allieva di Jung), il secondo aspetto è ancora più importante del primo, ma non lo contraddice poiché, nella maggior parte dei casi, ciò che vale a restaurare il vecchio ordine, comporta simultaneamente qualche nuovo elemento creativo.

Collegandosi a ciò Jung, a partire dagli anni quaranta, si occupò anche di un fenomeno nuovo, che s’intensificava sempre di più, soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. Si trattava degli “oggetti volanti non identificati”, o UFO. Jung, che leggeva tutto ciò che veniva pubblicato in merito, nei suoi scritti si occupò più volte del tema e tre anni prima di morire, nel 1958, pubblicò un saggio dal titolo Un mito moderno. Le cose che si vedono in cielo, che può esser visto come una puntuale interpretazione psicologica del fenomeno, ma anche come una ricapitolazione essenziale delle sue principali idee sulla psiche, e insieme come un messaggio – uno degli ultimi – in cui trovano posto le speranze e i timori che egli nutriva sul futuro dell’umanità.

Per Jung la coscienza del nostro tempo è lacerata, frammentata da un contrasto politico, sociale, filosofico e religioso di eccezionali dimensioni. L’Io si è troppo allontanato dalle sue radici inconsce; le “meraviglie” della scienza e della tecnica sembrano volgersi in forze distruttive. I dischi volanti rappresentano visioni, oggettivazioni fantastiche di un inconscio troppo duramente represso. Tra le varie ipote è dunque “un archetipo a provocare una determinata visione”.

Jung considera con distacco e ironia l’esistenza degli UFO come fenomeno fisico, sebbene nell’ultima parte del suo saggio egli sembri disposto a dare un certo credito alla loro esistenza, per introdurre cautamente l’ipotesi che esista una sincronicità tra inconscio e fenomeno reale.

Una vita per la psicoanalisi

«La mia vita è la storia di un’autorealizzazione dell’inconscio»
(Ricordi, sogni, riflessioni)

Nel 1953 morì Toni Wolff. Al funerale si recò solo Emma, perché Carl Gustav non se la sentì. Non si evitò quello della moglie, due anni dopo. Morì lui stesso il 6 giugno 1961, dopo una breve malattia cardiovascolare, nella sua casa sul lago. La figlia Gret raccontò la morte di Jung per il documentario Dal profondo dell’anima di Werner Weick:

«È rimasto immobile per 24 ore prima di morire e non rispondeva più a nessuna sollecitazione… era molto lontano ormai. I suoi ultimi respiri erano così meravigliosi e liberi che non c’era spazio nel mio cuore per la tristezza. Un quarto d’ora dopo la sua morte, con un boato spaventoso, un fulmine a ciel sereno ha lacerato per tutta la sua lunghezza uno dei pioppi del giardino»

Dopo una cerimonia religiosa, Jung venne sepolto nel cimitero di Küsnacht, nella tomba di famiglia.

Precursori ed epigoni

Fra i precursori di Jung figurano soprattutto Platone, il neoplatonico Plotino, Johann Wolfgang von Goethe (che Jung sentiva legato a sé, al punto che da ragazzo diceva ai compagni di scuola di esserne la reincarnazione), Johann Heinrich Jung-Stilling, Carl Gustav Carus, Emanuel Swedenborg, Johann Jakob Bachofen, Herbert Silberer o Pierre Janet. Importanti furono anche le letture giovanili di Immanuel Kant, Friedrich Nietzsche (soprattutto Così parlò Zarathustra), Friedrich Schelling, Cesare Lombroso, Arthur Schopenhauer e Jacob Burckhardt, e ovviamente la collaborazione con Sigmund Freud.

Da ragazzo aveva letto anche letteratura di autori come Friedrich Gerstäcker e Friedrich Theodor Vischer.

Spesso si dimentica il fatto che avesse finito precocemente il liceo e fatto studi di medicina e che nella famiglia materna vi erano diversi appassionati di spiritualismo e occultismo. Alcuni, richiamando i suoi studi esoterici sull’alchimia e il simbolismo parlano di influenze antiche e sapienziali, anche dall’oriente (il libro I Ching).

Diverse testimonianze raccontano di come conoscesse bene il latino e amasse leggere le opere classiche e medioevali.

Qualcuno ha fatto un paragone con il trascendentalismo di Ralph Waldo Emerson, specialmente con l’idea di Over-Soul (dalla prima serie di Essays), e con la conferenza Demonology (1839, della serie Human Life), ma non si sa se Jung l’avesse letto.

Una gran parte degli epigoni italiani di Jung, psichiatri e psicologi, hanno fondato l’Associazione Italiana di Psicologia Analitica (A.I.P.A.). Fausto Rossano ne fu esponente di spicco, specie per la sede di Napoli.

Jung nella cultura
Influenza del pensiero di Jung in letteratura

Hermann Hesse
Hermann Broch
Cesare Pavese
Hilda Doolittle
Northrop Frye
Thomas Stearns Eliot
Timothy Irving Frederick Findley
Philip K. Dick
Ignazio Silone

Influenza di Jung sull’arte

Jung influenzò il cinema. Influenzò tramite l’allievo Ernst Bernhard larga parte dei film di Federico Fellini e influenzò anche le prime opere di Jackson Pollock, che conobbe le teorie di Jung grazie al dott. Henderson, suo seguace, che lo ebbe a lungo in cura.

L’artista Maria Lai fu profondamente influenzata dal suo percorso, di Jung se ne trova traccia soprattutto nella fase dei libri cuciti degli anni ottanta.

Nell’artista genovese Claudio Costa si trovano influenze junghiane, sia nel suo operato artistico sia nel suo metodo d’indagine e interpretazione del visibile attraverso la serie “per un museo dell’Alchimia”.

Nel 2017 il rapper Caparezza ha inserito nel suo album Prisoner 709 una canzone a lui dedicata chiamata “Forever Jung” (Nota mia: essere citato da un rapper non depone certo a favore di Jung…)


Un estratto dal sito State of Mind, consultato il 4 Giugno 2020 dc:

Carl Gustav Jung, il padre della psicologia analitica – Introduzione alla Psicologia

di Francesca Fiore

Carl Gustav Jung è il padre della psicologia analitica, il cui scopo clinico è riportare il soggetto alla realtà liberandolo dai disturbi patogeni

Carl Gustav Jung diede vita alla psicologia analitica, secondo la quale lo scopo clinico è riportare il soggetto alla realtà liberandolo dai disturbi patogeni. Nel 1928, Carl Gustav Jung affermò che l’inconscio è composto da immagini, gli archetipi, che determinano lo psichismo, e la cui rappresentazione simbolica si esprime attraverso i sogni, l’arte e la religione.

La teoria di Carl Gustav Jung

La principale causa della rottura tra Jung e Freud fu il rifiuto, da parte di Jung, del pansessualismo freudiano, ovvero la concezione secondo cui al centro del comportamento psichico degli individui vi è l’istinto sessuale. Carl Gustav Jung sosteneva che il comportamento dell’uomo non è condizionato soltanto dalla sua storia individuale e come membro della razza umana, ma anche dalle sue aspirazioni e scopi; sia il passato come realtà, sia il futuro come eventualità, guidano il comportamento presente.

Carl Gustav Jung diede vita alla psicologia analitica, secondo la quale lo scopo clinico è riportare il soggetto alla realtà liberandolo dai disturbi patogeni. Nel 1928, Carl Gustav Jung affermò che l’inconscio è composto da immagini, gli archetipi, che determinano lo psichismo, e la cui rappresentazione simbolica si esprime attraverso i sogni, l’arte e la religione.

La personalità o psiche

La personalità è formata da un certo numero di istanze, separate ma interagenti tra loro. Queste istanze sono:

  • L’Io, ovvero la mente cosciente
  • L’Inconscio personale, formato dalle esperienze rimosse, da quelle troppo deboli per lasciare una traccia cosciente nella persona e dai complessi, che indicano un contesto psichico attivo i cui molteplici elementi, sentimenti- pensieri-percezioni-ricordi, sono unificati dalla comune tonalità affettiva (ad esempio il complesso materno).
  • Inconscio collettivo, base della psiche, struttura immutabile propria dell’insieme dell’umanità. Esso appare come il magazzino di tracce latenti provenienti dal passato ed è il residuo psichico dello sviluppo evolutivo dell’uomo, accumulatosi in seguito alle ripetute esperienze di innumerevoli generazioni. Quindi, dal momento che gli esseri umani hanno sempre avuto una madre, ogni bambino nasce con la predisposizione a percepirla e a reagire ad essa.

L’esperienza personale è, dunque, influenzata dall’inconscio collettivo attraverso un’azione diretta sul comportamento dell’individuo sin dall’inizio della vita.

Nell’inconscio collettivo sono presenti gli Archetipi, ovvero forme universali di pensiero dotato di contenuto affettivo. Tali forme di pensiero generano immagini o visioni che corrispondono, nel normale stato di vigilanza, ad alcuni aspetti della vita cosciente.

Tra gli archetipi troviamo: l’animus, immagine del maschile; l’amima, immagine del femminile; il Selbst, il Sé, se stesso. Ad esempio, il bambino eredita una concezione preformata di avere una madre, che in parte determina la percezione che egli avrà dalla propria madre. In tal modo, l’esperienza del bambino è il risultato finale di una predisposizione interna a percepire il mondo in un determinato modo e della reale natura che possiede questa realtà.

  • La Persona, ovvero una maschera che l’individuo porta per rispondere alle esigenze della società nella quale è immerso. Essa costituisce il ruolo che l’individuo svolge, cioè il compito che si attenda possa svolgere attraverso un ruolo sociale.

La persona è rappresentato dalla personalità pubblica, quegli aspetti che si palesano al mondo o che l’opinione pubblica attribuisce all’individuo, in opposizione alla personalità privata che esiste dietro alla facciata sociale.

  • L’Ombra, che consiste negli istinti animali ereditati dall’uomo nella sua evoluzione, ovvero il lato animalesco della natura umana.

I tipi psicologici

Nel 1921 Carl Gustav Jung pubblica il suo libro più importante, “Tipi psicologici”, in cui parla della personalità, o psiche, e attribuisce un posto centrale al Selbst (Sé), intorno a cui si raggruppano tutti gli altri sistemi psichici. Il Selbest funge da collante e garantisce alla personalità l’equilibrio e l’unità.

Jung concepiva la personalità come un sistema dotato di energia e parzialmente chiuso, perché a esso si aggiunge l’energia proveniente da fonti esterne. Per spiegare la dinamica della personalità Jung ricorre al concetto della libido, che per Freud rappresentava un insieme di tendenze sessuali dell’uomo, mentre per Jung è sinonimo di energia psichica e può essere rivolta verso l’interno o verso l’esterno.

Jung individua quattro funzioni psicologiche:

  1. Il pensiero, attraverso il quale l’uomo cerca di comprendere la natura del mondo e sé stesso e utilizza processi logici;
  2. Il sentimento, che rappresenta il valore delle cose in rapporto al soggetto e apporta dei giudizi di valore;
  3. La sensazione, che ha la funzione percettiva dei fatti o rappresentazioni concrete del mondo.
  4. L’intuizione, ovvero la percezione attraverso i processi dell’inconscio, che permette di elaborare modelli della realtà che esulano dai fatti.

Il pensiero e il sentimento sono denominati funzioni razionali, poiché fanno uso del ragionamento. La sensazione e l’intuizione sono funzioni irrazionali, perché basate sulla percezione del concreto e del particolare.

Carl Gustav Jung distingue due tipi di atteggiamenti: introversione, in cui si orienta l’energia psichica verso il mondo interiore, pensieri ed emozioni; l’estroversione in cui si orienta la sua energia verso il mondo esteriore, fatti e persone. Ambedue questi opposti atteggiamenti sono presenti nella personalità, ma di regola uno di essi è dominante e cosciente, mentre l’altro è subordinato e inconscio.

Le funzioni psicologiche si sviluppano, dunque, in ciascun individuo in maniera diversa e derivano da una alternanza tra introversione ed estroversione, processo che conduce all’unità della personalità attraverso il gioco della metamorfosi. L’oscillazione tra un estremo o l’altro determinano il manifestarsi di un diverso tipo psicologico.

Jung individuò il principio di equivalenza, secondo il quale se un valore diviene più debole o scompare, la quantità di energia a esso legata non andrà perduta per la psiche, ma riapparirà in un nuovo valore, e quello di entropia, ovvero la distribuzione di energia nella psiche tende a un equilibrio o armonia.

Fra due valori di diversa forza, l’energia tenderà a passare dal più forte al più debole fino a raggiungere uno stato di equilibrio. Tutta l’energia psichica di cui la personalità dispone è utilizzata per due fini generali: svolgimento del lavoro necessario al mantenimento della vita e propagazione della specie. Queste due funzioni istintive raggruppano gran parte dell’energia, e la rimanente può essere impiegata in attività culturali e spirituali.

Lo sviluppo

Per Carl Gustav Jung lo sviluppo può svolgersi in senso progressivo ovvero soddisfacente per l’io, se riesce a rispondere alle richieste dell’ambiente esterno e ai bisogni dell’inconscio. Invece, se un evento frustrante dovesse interrompere il movimento progressivo dell’io, la libido non potrà più essere investita in valori orientati verso il mondo o estroversi, di conseguenza regredirà verso l’inconscio legandosi a valori introversi e portando al manifestarsi di disagio mentale.

Il fine ultimo dello sviluppo, secondo Jung, è determinato dall’autorealizzazione.

Per raggiungere questo scopo è necessario che le diverse istanze della personalità si differenzino ed evolvano completamente determinando una personalità sana. Il processo attraverso il quale si raggiunge tale stato è detto processo di individuazione. La funzione trascendente permette di conciliare i poli opposti dei diversi sistemi e di operare per raggiungere la totalità perfetta. L’energia psichica può essere spostata attraverso la sublimazione, ovvero spostamento dell’energia dai processi primitivi, istintivi e meno differenziati, a processi altamente spirituali, culturali e maggiormente differenziati.

Gli ultimi anni di Carl Gustav Jung

Carl Gustav Jung, negli ultimi anni della sua vita, si dedica essenzialmente all’attività psicoterapeutica privata, a lunghi viaggi, alla rielaborazione delle sue teorie e alla stesura di saggi.

L’approccio terapeutico di Jung consiste, in breve, nel riconciliare le forze opposte all’interno della personalità, non solo estroversione ed introversione, ma anche sensibilità e intuizione, emozioni e pensiero razionale. Attraverso la comprensione dell’integrazione tra inconscio personale e inconscio collettivo, la terapia permette di arrivare ad uno stato di individuazione o interezza di sé.

Nel 1944 si trasferisce nuovamente a Basilea dove ottiene la cattedra di Psicologia medica.

Il 6 giugno del 1961, Carl Gustav Jung muore a Kusnacht, sulle rive del lago, nei pressi di Zurigo dove ha trascorso i suoi ultimi anni. La sua casa è ancora oggi meta di pellegrinaggi.