Zelensky incastrato da Mosca e Washington

Articolo senza data, arrivato in e-mail il 26 Novembre 2022 dc

Zelensky incastrato da Mosca e Washington

di Thierry Meyssan

L’evoluzione del rapporto di forze sul campo di battaglia ucraino e il tragico episodio del G20 di Bali segnano un capovolgimento della situazione. Gli Occidentali continuano a credere di poter sconfiggere presto Mosca, ma gli Stati Uniti hanno già avviato negoziati segreti con la Russia. Si apprestano a scaricare l’Ucraina e ad addossarne la responsabilità soltanto a Zelensky. Come già in Afghanistan, il risveglio sarà brutale.

RETE VOLTAIRE PARIGI (FRANCIA)| 22 NOVEMBRE 2022

Una decina di giorni fa, discutendo a Bruxelles con un capofila dei deputati europei, reputato uomo di ampie vedute, mi sono sentito dire che il conflitto ucraino è certamente complesso, ma che è inconfutabilmente vero che la Russia ha invaso l’Ucraina.

Gli ho risposto che il diritto internazionale imponeva a Germania, Francia e Russia l’obbligo di applicare la risoluzione 2202. Solo Mosca lo ha fatto. Proseguivo ricordandogli anche la responsabilità della Russia di proteggere i propri cittadini in caso di tralignamento dei governi. Il deputato mi ha interrotto: «Se il mio governo deplorasse la situazione dei propri cittadini in Russia e attaccasse il Paese, lo riterrebbe normale?» Gli ho risposto: «Sì, se il suo Paese avesse una risoluzione del Consiglio di Sicurezza da far rispettare. Ce l’ha?» Spiazzato, ha cambiato argomento. Gli ho chiesto per ben tre volte di affrontare la questione dei nazionalisti integralisti. Per tre volte ha rifiutato. Ci siamo lasciati con cortesia.

La questione della responsabilità di proteggere le popolazioni andava espressa in modo più articolato. È un principio che non autorizza una guerra, ma un’operazione di polizia condotta con mezzi militari sì. Per questa ragione il Cremlino si guarda bene dal definire il conflitto «guerra», ma lo chiama «operazione militare speciale»: denominazioni usate per indicare gli stessi fatti, ma «operazione militare speciale» circoscrive il conflitto.

Sin dall’ingresso delle truppe russe in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin ha precisato che non è sua intenzione annettere il Paese, vuole solo liberare le popolazioni perseguitate dai “nazisti” ucraini. In un lungo articolo ho spiegato che, sebbene la denominazione “nazisti” sia giusta dal punto di vista storico, non è così che queste persone si auto-definiscono: ricorrono all’espressione «nazionalisti integralisti». È comunque doveroso ricordare che l’Ucraina è l’unico Stato al mondo con una Costituzione esplicitamente razzista.

Il fatto di riconoscere che il diritto internazionale dà ragione alla Russia non significa concederle carta bianca. Ognuno può legittimamente criticare il modo in cui Mosca applica il diritto. Ma le azioni degli Occidentali, i quali insistono a giudicare la Russia «asiatica», «selvaggia» e «brutale», sono state spesso molto più devastanti di quelle russe.

ROVESCIAMENTO DELLA SITUAZIONE

Chiariti i punti di vista della Russia e dell’Occidente, è inevitabile constatare che diversi fatti hanno determinato un’evoluzione occidentale.
– Sta arrivando l’inverno, stagione difficile in Europa centrale. Dall’invasione napoleonica, la popolazione russa è consapevole di non poter difendere un Paese tanto vasto. Ma ha anche imparato a sfruttare l’immensità del territorio e le stagioni per sconfiggere chi l’attacca. In inverno il fronte rimane immobile per parecchi mesi. Al contrario dei discorsi propagandistici secondo cui i russi sono ormai sconfitti, è evidente che l’esercito russo ha liberato il Donbass e parte della Novorossia.
– Prima dell’arrivo dell’inverno, il Cremlino ha fatto ripiegare la popolazione liberata a nord del Dnepr: poi ha ritirato l’esercito, abbandonando la parte di Kherson situata sulla sponda destra del fiume. È la prima volta che una frontiera naturale, il fiume Dnepr, segna il confine tra i territori controllati da Kiev e quelli controllati da Mosca. Ebbene, nel periodo fra le due guerre fu la mancanza di confini naturali a far cadere i poteri che si succedettero in Ucraina. Ora la Russia è in condizione di mantenere la posizione.
– Sin dall’inizio del conflitto l’Ucraina ha potuto contare sull’aiuto degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma con le elezioni di metà mandato l’amministrazione Biden ha perso la maggioranza della Camera dei Rappresentanti. Ora il sostegno di Washington sarà limitato. Anche l’Unione Europea incontra ostacoli: le popolazioni non capiscono perché devono sopportare il rialzo dei costi dell’energia, la chiusura di alcune imprese, nonché l’impossibilità di riscaldarsi normalmente.
– Infine, in alcuni circoli di potere, dopo aver ammirato il talento comunicativo dell’attore Volodymyr Zelensky, ora si comincia a interrogarsi sulle voci della sua improvvisa ricchezza: in otto mesi di guerra sembra sia diventato miliardario. I sospetti sono inverificabili, ma lo scandalo dei Pandora Papers (2021) li rende credibili. È davvero necessario dissanguarsi per vedere sparire le donazioni in società off shore invece che arrivare in Ucraina?

Gli anglosassoni (Londra e Washington) avrebbero voluto trasformare il G20 di Bali in summit contro la Russia. Hanno dapprima esercitato pressioni per escluderne Mosca, come riuscirono a fare nel 2014 con il G8. Ma se la Russia fosse stata esclusa dal G20 la Cina, di gran lunga primo Paese esportatore a livello mondiale, non vi avrebbe partecipato. È stato allora affidato al francese Emmanuel Macron il compito di convincere gli altri membri a firmare una feroce dichiarazione contro la Russia. Per due giorni le agenzie di stampa occidentali hanno garantito che era cosa fatta. Ma la dichiarazione finale, benché riassuma il punto di vista degli Occidentali, chiude con queste parole: «Esistono altri punti di vista e diverse valutazioni della situazione e delle sanzioni. Riconoscendo che il G20 non è la sede per risolvere i problemi di sicurezza, siamo consapevoli che i problemi di sicurezza possono avere conseguenze rilevanti sull’economia mondiale». In altri termini, per la prima volta gli Occidentali non sono riusciti a imporre la loro visione del mondo al resto del pianeta.

LA TRAPPOLA

Peggio: gli Occidentali hanno imposto un intervento video di Zelensky, come avevano già fatto il 24 agosto e il 27 settembre al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma, mentre a settembre a New York la Russia aveva cercato invano di opporsi, a novembre a Bali vi ha acconsentito. La Francia, che presiedeva il Consiglio di Sicurezza, ha violato il regolamento interno consentendo a un capo di Stato d’intervenire via video. L’Indonesia invece, che al G20 manteneva una posizione assolutamente neutrale, non si sarebbe arrischiata a consentire al presidente ucraino d’intervenire senza autorizzazione della Russia. Era evidentemente una trappola. Il presidente Zelensky, che non conosce il funzionamento di queste istituzioni, ci è cascato.

Zelensky, dopo aver ridicolizzato Mosca, ha invitato a escluderla dal… «G19». In altri termini, il modesto ucraino ha impartito per conto degli anglosassoni un ordine a capi di Stato, primi ministri e ministri degli Esteri delle 20 maggiori potenze mondiali, che però non l’hanno ascoltato. In realtà la divergenza tra questi Paesi non verteva sull’Ucraina, ma sulla sottomissione o meno all’ordine mondiale americano. Tutti i partecipanti latino-americani, africani, nonché quattro asiatici hanno detto che il dominio statunitense è finito, che ora il mondo è multipolare.

Gli Occidentali devono aver sentito tremare la terra sotto i piedi. E non solo loro. Zelensky ha constatato per la prima volta che i suoi protettori, finora padroni assoluti del mondo, possono abbandonarlo senza remore, pur di mantenere ancora per poco la loro posizione di predominio.

È probabile che Washington e Mosca fossero d’accordo. Gli Stati Uniti vedono che la situazione a livello mondiale cambia a loro svantaggio. Non esiteranno ad addossarne la responsabilità al regime ucraino. William Burns, direttore della CIA, ha già incontrato in Turchia Sergei Naryshkin, direttore dell’SVR. Il colloquio segue quelli di Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, con diversi ufficiali russi. Due mesi prima dell’inizio del conflitto spiegavo che il problema di fondo non era in rapporto con l’Ucraina, e nemmeno con la Nato. Riguarda sostanzialmente l’agonia del mondo unipolare.

Così non c’è da stupirsi che, pochi giorni dopo lo schiaffo del G20, Zelensky abbia contraddetto per la prima volta in pubblico i padrini statunitensi. Ha accusato la Russia di aver lanciato un missile sulla Polonia e ha insistito anche quando il Pentagono ha detto che si sbagliava: il missile era ucraino. Zelensky voleva proseguire nel solco del Trattato di Varsavia, concluso il 22 aprile 1920, tra i nazionalisti integralisti di Symon Petlioura e il regime Piłsudski: spingere la Polonia a entrare in guerra contro la Russia. Per la seconda volta Washington ha fatto suonare un campanello d’allarme, ma Zelensky non l’ha sentito.

Probabilmente non assisteremo più a contraddizioni di questo tipo manifestate in pubblico. Le posizioni occidentali si ammorbidiranno. L’Ucraina è avvertita: nei prossimi mesi dovrà negoziare con la Russia. Il presidente Zelensky può già ora prevedere di essere costretto a fuggire: i suoi compatrioti, martoriati dalla guerra, non gli perdoneranno di averli ingannati.

Thierry Meyssan
Traduzione di Rachele Marmetti
https://www.voltairenet.org/?lang=it

Benvenuta Shangai

20 Agosto 2022 dc, dal sito Noi non abbiamo patria 12 Aprile 2022 dc:

Benvenuta Shangai

Shanghai e la Guerra in Ucraina

Le scene da Shanghai di ventenni e trentenni che spontaneamente in molti quartieri violano il lockdown e rivendicano il cibo, rifornimenti alimentari e in taluni casi se lo vanno a prendere in massa, tutti rigorosamente con la mascherina al volto, qualche cosa ci trasmette per il futuro:

Benvenuta Shanghai nella lotta di classe all’epoca del coronavirus!

Nel frattempo ci induce ad un paio di riflessioni.

Uno, la propaganda e l’ideologia “orientalista” in salsa razzista si rafforzerà, anche a partire del conflitto in Ucraina, contro “gli orchi Russi”, contro i “dragoni Cinesi” da contenere con le armi del civile occidente.

Due, che non abbiamo mai capito nulla degli atteggiamenti delle forze impersonali del capitale nei confronti della pandemia.

Laddove la composizione organica del capitale è alta e a sfavore del capitale variabile, il fermo delle produzioni ha un impatto maggiore dei milioni di ore perse per malattia. È ovvio che la perdita delle ore di lavoro alla fine incide sulla produttività. Risultato, lockdown equilibrato, campagna vaccinale (quarta dose?) e green pass.

Laddove come in Cina il rapporto ancora non è così elevato, e l’accumulazione si trova nella sua curva più alta basata sulla estorsione del plusvalore assoluto attraverso l’utilizzo estensivo del capitale variabile, ossia l’uso estensivo di un numero eccezionalmente vasto di forza lavoro operaia, il lockdown rigido ristretto nel tempo per la Cina è l’equilibrio migliore per affrontare la crisi, ma fame per i proletari come in Occidente.

È la composizione organica e tecnica del capitale che determina le strategie anti covid dei diversi governi e nazioni presi in una competizione mondiale di mercato sempre più agguerrita, dove la subordinazione dei Paesi ricchi di materie prime e di quelli produttori delle stesse fonti primarie minerarie e agricole è fattore vitale per gli USA e la decadente Europa che non hanno più l’esclusivo appannaggio della rapina imperialista delle risorse naturali della terra.

Benvenuta sia la Cina nella contesa generale da ambo i lati: dal lato delle forze del capitale, perchè il loro emergere è possibile solo in virtù dello scricchiolio e della crisi generale di un sistema di sfruttamento mondiale che si trova prigioniero delle sue stesse contraddizioni, ma soprattutto dal lato dell’immenso mare proletario composto da cinesi e milioni di immigrati di tutta l’Asia, di cui le scene di Shanghai potrebbero segnare una svolta verso un preludio di un futuro anche nel breve periodo di lotte improvvise, spontanee e generalizzate.

Se questi sono i prodromi del tempo che sta per precipitare velocemente, la durata della attesa sul bordo del fiume giallo nel veder scorrere il cadavere del concorrente capitalista occidentale si accorcia per le forze del capitalismo cinese. Necessariamente tanto più se le scene di Shanghai si ripeteranno altrove nel dormiente Paese e subcontinente cinese determinando il presupposto che i margini di compensazione della crisi del capitalismo anche lì si stanno esaurendo.

Benvenute siano queste scene nonostante non conosciamo chi si batte contro i lockdown, quali convinzioni abbiano, quali le determinazioni del rapporto del capitale spinge a rompere il coprifuoco anti pandemico: se per “ripristinare” il libero mercato interrotto cui ceti medi produttivi e lavoratori si sono determinati, o per sperimentare una lotta proletaria che necessariamente deve confrontarsi con la schiavitù del mercato e dello scambio di valore tra le merci prodotte, che non consente più come prima la riproduzione delle condizioni della vita proletaria e in generale.

Come le persone sfruttate lì si dislocheranno a breve, se per difendere la “casa comune” cinese contro cui l’occidente già ora rivolge le sue attenzioni armate, oppure la lasceranno bruciare, non è dato sapere.

Tantomeno non è dato sapere come si dislocherà il proletariato europeo, occidentale e statunitense (anch’esso multirazziale e meticcio che insieme a quello black, bipoc e immigrato si è manifestato nella George Floyd Rebellion), se intenderà difendere la casa comune “culla della civiltà” democratica liberale occidentale minacciata dagli orchi dell’Oriente, oppure anche esso la lascerà scricchiolare e poi franare perchè anche in questa sacra culla la condizione della vita è sempre meno resiliente alla legge del modo di produzione del valore capitalistico.

Dal coprifuoco anti pandemico a quello della legge marziale di guerra, la cui sostanza medesima è la difesa della determinazione della “casa comune” capitalistica sul mercato mondiale come dominatori a difesa della propria contrastata supremazia, o come ascari asserviti ad esso, oppure come resistenti reazionari all’interno di una legge del valore capitalistico da non oltrepassare.

Gli sfruttati dell’India, Bangladesh, Pakistan, Sud Africa e soprattutto di quelle nazioni Africane che sono altrettanto ricche di materie prime, in questa guerra in Ucraina e nella escalation che si prepara non vorrebbero entrarci. Come non lo vorrebbero i contadini nativi e poveri dell’America Latina ed il proletariato meticcio, attualmente tutti mal rappresentati dai loro governi agli ordini della legge del mercato, che all’ONU non si uniscono alla condanna della Russia, oppure lo fanno davvero malvolentieri.

Il minimo che possiamo fare, ma che è il massimo, è chiarire che non vi è pace per gli sfruttati proletari, i razzializzati e gli oppressi in generale nel riconoscere una strumentale causa e principio di “autodeterminazione delle nazionalità”, che non può che essere altro dall’uso strumentale dall’Occidente in cui viviamo per la Ucraina (e del Donbass incluso) sottomessa al dominio ed allo sfruttamento del mercato in agguerrita competizione, tantomeno quella per la sovranità di Taiwan, che insieme rappresentano la misura della difesa e della offensiva della “casa comune” del capitale occidentale che bisognerebbe qui contrastare.

Benvenuta Shanghai, che i venti della crisi possano spingere verso una determinazione di un nuovo mostro proletario meticcio e multirazziale contro le sirene dell’Orientalismo occidentale e di un impossibile mercato multipolare tutte a difesa della barbarie capitalista!

La guerra in Ucraina e i “nazisti bravi” del battaglione Azov

24 Maggio 2022 dc, da Micromega, articolo del 20 Aprile 2022 dc:

La guerra in Ucraina e i “nazisti bravi” del battaglione Azov

L’ampio consenso che i paramilitari di estrema destra stanno raccogliendo è l’ennesimo errore di lettura che porterà allo sdoganamento di forze reazionarie. In Italia ne sappiamo qualcosa. Per questo è utile ricordare chi sono veramente i “ragazzi” di Azov.

di Valerio Nicolosi

“Questo è il fiore del partigiano, morto per la libertà” recita Bella ciao, canzone della resistenza italiana conosciuta in tutto il mondo e tradotta in oltre 40 lingue, anche in ucraino. A inizio marzo la cantante Khrystyna Soloviy ha riadattato il testo contro l’invasore russo e l’ha fatta diventare una delle canzoni della resistenza ucraina. Il testo recita: “Uccideremo i boia maledetti senza pietà (…) nella Difesa territoriale ci sono dei ragazzi migliori, nelle nostre forze armate combattono veri eroi”.

Scorrendo la bacheca Facebook di Khrystyna Soloviy, esattamente sotto al post in cui lancia la rivisitazione di Bella ciao, c’è una foto dei suoi anfibi in cui spicca la scritta “Батько нaш Банде́ра” che tradotto significa “Nostro padre Bandera”. Il riferimento è a Stepan Bandera, il capo dei nazionalisti ucraini durante la Seconda guerra mondiale che giurò fedeltà a Hitler e che oggi continua a essere ricordato in Ucraina nei settori di estrema destra e nazionalisti, che nel 2012 con la formazione Svoboda hanno raggiunto il 10% dell’elettorato e che hanno cavalcato il movimento di Piazza Maidan del 2014, entrando a far parte del governo provvisorio. Una parabola poi discendente: Poroschenko li caccia rapidamente dal governo e alle elezioni del 2019 ottengono poco più del 2% dei voti.

Dell’estrema destra ucraina fanno parte anche Pravy Sector e il Corpo Nazionale, gruppo politico legato al Battaglione Azov: entrambi si rifanno al nazismo e, dopo aver partecipato alle manifestazioni del 2014, hanno perso parte del consenso elettorale ma si sono rafforzati su quello militare, combattendo in Donbass contro i separatisti filorussi acquistando prestigio militare, tanto che nel gennaio 2015 il Battaglione Azov viene integrato alla Guardia Nazionale Ucraina.

Con l’inizio della guerra abbiamo assistito a quello che potremmo chiamare un’operazione di pulizia dell’immagine di questi gruppi, in particolare del Battaglione Azov, con interviste da parte dei media in cui dichiarano di non essere nazisti, di leggere Kant e di combattere per la libertà. Versione che confligge con il loro simbolo, la runa Wolfsangel, utilizzata da un battaglione delle SS e ripresa in Italia dall’organizzazione eversiva neofascista Terza Posizione, operativa dal 1978 al 1982 e sciolta dopo una serie di arresti e processi.

Fino a poco tempo fa invece il Battaglione Azov era collegato alle inchieste giornalistiche e giudiziarie sul suprematismo bianco e all’antisemitismo: nell’autunno 2019 in Campania sono stati arrestati alcuni membri di un’associazione spirituale che secondo gli inquirenti funzionava da base per il reclutamento e l’addestramento paramilitare di singoli militanti, spesso fuoriusciti dalle organizzazioni neofasciste italiane. Secondo le indagini c’è un filo che collega questa attività al Battaglione Azov e alle altre organizzazioni neonaziste e suprematiste internazionali. Sempre nel 2019 negli Stati Uniti c’è stata la richiesta da parte di alcuni deputati del Congresso di Washington di inserire i Azov nella lista delle organizzazioni terroristiche, anche per i rapporti con i suprematisti d’oltreoceano che spesso si sono arruolati nelle sue fila.

Ma non c’è solo Azov nell’estrema destra ucraina paramilitare, ci sono anche Aidar, Donbass, Dnepr 1 e Dnepr 2, tutti battaglioni sostenuti economicamente dallo stesso oligarca, Ihor Kolomoyskyi, tra le prime tre persone più ricche d’Ucraina, dal 2021 ospite non gradito negli Usa, con un mandato di cattura sulla sua testa da parte dei tribunali russi. Personaggio molto controverso, è stato ex-governatore dell’oblast di Dnipropetrovsk, presidente della maggiore banca ucraina “Privat Bank”, proprietario della squadra di calcio FC Dnipro Dnipropetrovsk nonché dell’emittente televisiva 1+1, quella che ha trasmesso la serie tv “Servant of the People” in cui Vlodomyr Zelensky interpretava proprio la parte del presidente dell’Ucraina.

Secondo il giornale “Politico” Kolomoyskyi avrebbe finanziato il battaglione Dnepr con 10 milioni di euro, costituendo di fatto un suo esercito privato che ha respinto le truppe separatiste, mantenendo la regione in pace. “Mentre il Donbass brucia, la nostra città è tranquilla come un cimitero. E questo è grazie al nostro governatore Kolomoisky” è una frase attribuita a un ristoratore di Dnipro sempre da Politico.

Durante la campagna elettorale gli altri candidati accusavano Zelensky di essere il burattino di Kolomoisky e che di fatto sarebbe stato lui il vero presidente in caso di vittoria del comico.

Aldar, uno dei battaglioni che il magnate ucraino avrebbe sostenuto dal 2014, si è reso protagonista di una serie di violazioni dei diritti umani denunciati da un rapporto di Amnesty International. “Sono stati coinvolti in abusi diffusi, inclusi rapimenti, detenzioni illegali, maltrattamenti, furti, estorsioni e possibili esecuzioni” accusa l’organizzazione umanitaria mentre una donna di Donetsk ha raccontato a Newsweek di aver ricevuto la testa di suo figlio, combattente filo-russo, in una scatola di legno.

Complessivamente dopo il 2014 in Ucraina sono nati circa 30 battaglioni indipendenti che sono andati a colmare le falle che l’esercito nazionale aveva lasciato nell’Est e nel Sud del Paese, tanto da essere comunque coordinati dal Ministero della Difesa di Kiev e, con tempi e modalità differenti, inseriti nella Guardia Nazionale ucraina, a eccezione del battaglione Alder che, dopo una serie di provocazioni e interferenze con la politica di Kiev, è stato sciolto nel 2015 e di fatto trasformato nel 24° battaglione d’assalto. “In connessione con la necessità di una regolamentazione legislativa dell’esistenza di battaglioni di volontari, nonché di prevenzione di azioni illegali da parte di alcuni rappresentanti di formazioni di volontari, lo Stato maggiore delle forze armate dell’Ucraina ha deciso di formare unità militari delle forze armate sulla base dei battaglioni di volontari”, ha dichiarato Vladislav Seleznev, all’epoca capo del servizio stampa dello stato maggiore ucraino.

Stessa sorte è toccata al Battaglione Azov dopo aver riconquistato la città di Mariupol, strategica per l’affaccio sul Mar d’Azov e oggi tornata centrale in questa guerra, tanto che proprio i militari dell’Azov stanno resistendo all’interno del plesso industriale della città, cosa per la quale sono stati paragonati da Giuliano Ferrara agli spartani alle Termopili, con un editoriale intitolato “Ora che sta per soccombere, il battaglione Azov merita solo rispetto” e nel quale dice: “Qualche curvaiolo della Dinamo Kyiv, tatuato con la svastika, fa parte di un battaglione nazionalista chiamato battaglione Azov. E dunque?”.

L’editoriale di Ferrara non è un caso isolato, anzi. Come sottolineato in apertura i media europei, soprattutto italiani, stanno facendo un’operazione di pulizia dei “ragazzi”, come spesso vengono definiti, del battaglione Azov, sminuendo la rilevanza che potrebbero avere a livello politico dopo questa guerra. Non è un caso, infatti, se Zelensky in conferenza con il parlamento greco li ha fatti presenziare insieme a lui. La comparsata degli “eroi di Mariupol” ha creato molte polemiche ad Atene, dove appena un anno e mezzo fa è stata messa al bando l’organizzazione neofascista Alba Dorata che con il Battaglione Azov ha condiviso l’esperienza del Forum “Iron March”, chiuso nel 2017, e che è stato un punto di aggregazione dei neofascisti e neonazisti a livello internazionale.

Al momento Azov ha due battaglioni nell’Oblast di Kiev, è presente a Zaporižžja e ha circa 1.500 uomini a Mariupol, dove si trova anche “l’eroe d’Ucraina” Denis Prokopenko, il comandante del Battaglione che è stato insignito da Zelenski della più alta carica del Paese. Dalla loro postazione  hanno affermato attraverso un video che i russi stanno usando armi chimiche, notizia ripresa dai giornali italiani come fonte attendibile mentre il governo di Kiev non si sbilanciava e i servizi d’intelligence occidentali davano la notizia come non verificata.

La centralità di Azov e degli altri gruppi neonazisti è quindi cresciuta nel corso della guerra, l’attenzione mediatica che ricevono e l’attendibilità come fonte conferisce loro anche una credibilità politica, potenzialmente pericolosa per il futuro.

Intervista al professor Boris J. Kagarlickij sulla guerra in Ucraina

4 Marzo 2022 dc, dal sito Bollettino Culturale, articolo del 7 Marzo 2022 dc:

Intervista al professor Boris J. Kagarlickij sulla guerra in Ucraina

L’intervista a Boris Jul’evič Kagarlickij sulla guerra in Ucraina è molto utile per avere informazioni di prima mano sulla tenuta del fronte interno russo. L’intervistato è una nostra vecchia conoscenza. Si tratta di uno dei più importanti intellettuali della New Left russa. Informazioni del genere saranno sempre più difficili da reperire dopo la legge, approvata dalla Duma, che “che introduce multe fino a 5 milioni di rubli e carcere fino a 15 anni per chi diffonde notizie diverse dalle fonti ufficiali – anche inoltrando sui social materiale vietato”. La mia vicinanza va a quanti in Russia e nel resto del mondo si stanno mobilitando in queste settimane contro la guerra.

1. Come sta vivendo la guerra la società russa? C’è consenso per l’invasione dell’Ucraina?

1.  La società russa, rispetto all’invasione dell’Ucraina, può essere divisa in tre fazioni. Le prime due hanno fatto una scelta ideologica rispetto al conflitto. La prima fazione, che rappresenta una buona fetta della società civile, è contro la guerra perché contro Putin e le sue politiche reazionarie. La seconda fazione sostiene la guerra perché condivide l’ideologia reazionaria del regime. Infine abbiamo una terza fazione, la maggioranza della popolazione, che è mossa dal panico e non dalla politica. Ancora non è toccata materialmente, a causa delle sanzioni, dalla guerra. La sua esistenza è spiegabile da una trasformazione precisa della società russa. Non è più quella di 30, 40 o 100 anni fa. Si tratta della società più individualista del mondo, estremamente materialista. Per farvi un esempio, in questi giorni IKEA sta abbandonando la Russia. Si sono create file enormi davanti ai suoi negozi perché molti cittadini russi vogliono comprare l’ultimo prodotto di questa azienda prima della chiusura di ogni sua sede nel Paese.

2. Che conseguenze avranno le sanzioni economiche sul potere di Putin?

2. Il panico di cui parlavo prima esiste perché ancora non stiamo vivendo pienamente le conseguenze delle sanzioni. Non sono uguali a quelle del 2014, le quali erano solamente simboliche. Si tratta di sanzioni adatte ad una situazione di vera e propria guerra. Colpiscono l’economia in maniera profonda. Non solo dal punto di vista della finanza [esclusione dallo SWIFT, impossibilità di rifinanziare il debito in euro o dollari, utilizzo delle riserve auree del paese per sostenere le banche private russe ndr], che è il problema minore per la Russia, ma soprattutto in termini di perdite di posti di lavoro e dipendenza tecnologica. Vi faccio un altro esempio. Negli scorsi giorni sono stato in Siberia. Per andare da Mosca alla Siberia vengono utilizzati aerei comprati in leasing dall’Occidente. Grazie alle sanzioni non potranno più essere utilizzati, andando a colpire direttamente le comunicazioni interne al Paese. Per non parlare delle limitazioni nell’utilizzo della tecnologia occidentale. Nelle prossime settimane vedremo meglio le conseguenze delle sanzioni sulla Russia.

Questi sono i motivi che spiegano l’agitazione di alcuni oligarchi che si sono schierati contro la guerra. Hanno paura di perdere il loro business.

3. Che giudizio hai delle manifestazioni contro la guerra in Russia e credi che debbano essere sostenute dai comunisti?

3. Il mio giudizio è positivo. Le manifestazioni sono piene di militanti di sinistra e liberali. I manifestanti vengono arrestati in massa. A dimostrazione di come gli spazi di democrazia verranno ulteriormente ristretti a causa della guerra. Ma la notizia positiva è che anche la risposta dell’opposizione si sta radicalizzando in modo inedito rispetto al passato. Un grande protagonista di queste lotte è il movimento studentesco che si sta organizzando nelle università russe. Un fatto inedito nella nostra storia.

4. Quali sono le posizioni dei sindacati russi rispetto alla guerra?

4. I sindacati russi stanno iniziando a prendere posizioni sulla guerra. Ci sono sindacalisti ostili al conflitto per le conseguenze che avrà sulla perdita dei posti di lavoro. Sono destinati a rafforzarsi parallelamente ai posti di lavoro persi a causa delle sanzioni (pensiamo alle aziende occidentali che stanno lasciando in questo momento la Russia).

5. Quali sono le posizioni del KPRF sulla guerra?

5.  Zyuganov è una marionetta di Putin che accetta tutte le scelte del governo. Nel partito la situazione è più complicata a tutti i livelli, dai militanti alle sezioni locali. Recentemente ho partecipato a delle conferenze organizzate dal KPRF in Siberia. I militanti più anziani e nostalgici sono favorevoli alla guerra e vicini a Putin. Quelli più giovani sono più radicali e ostili a Putin e alla guerra.

6. La Bielorussia che ruolo ha nell’invasione dell’Ucraina?

6. Ai russi Lukashenko ora sembra meno autoritario di Putin. Non ha alcun interesse nel conflitto, è costretto ad agire dalla presenza dei militari russi nel suo Paese.

7. Come valuti la posizione della Cina in questa guerra?

7. La tradizione politica cinese è contraddistinta da un’ostilità verso l’avventurismo. Non è contenta della guerra di Putin perché potrebbe diventare un conflitto nucleare che colpirebbe anche le città russe in Estremo Oriente, molto vicine alla Cina. Anche la possibilità di fare affidamento su questo Paese per compensare le sanzioni occidentali va chiarita. La Cina pubblicamente afferma di essere contro le sanzioni alla Russia ma le sue banche vi partecipano come quelle occidentali.

8. Ti aspettavi questa guerra?

8. Mi aspettavo una guerra locale, confinata al Donbass e che finisse in una maniera tale da consentire ad entrambi gli schieramenti di dichiararsi vincitori. La scelta di Putin è stata totalmente irrazionale, figlia di un gruppo dirigente senza più un contatto con la realtà e che ormai crede alla propria propaganda. Non so se la guerra potrà estendersi in altri Paesi come la Moldavia o la Georgia. La Russia non potrà vincere questa guerra, deve quanto prima sedersi a trattare. E non esistono neanche margini per creare un governo fantoccio in Ucraina perché il conflitto ha contribuito a rafforzare i nazionalisti ucraini.

9. Di chi è la responsabilità per lo scoppio di questo conflitto? In Italia spesso i comunisti accusano la NATO, che si è espansa ad Est dagli anni ‘90 non rispettando i patti siglati con Gorbaciov dopo la riunificazione della Germania, di aver provocato questa reazione della Russia.

9.  La situazione di tensione è stata sicuramente alimentata dall’Occidente e possiamo metterci a ragionare su queste questioni quanto vogliamo ma la responsabilità della guerra in quanto tale è tutta di Putin e del suo gruppo dirigente reazionario. Non hanno voluto in alcun modo trovare alternative al conflitto.

10. Un commento finale sulla montante russofobia in Occidente?

10. Semplicemente qualcosa di ridicolo. Leggevo che volevano impedire la partecipazione a dei concorsi di bellezza per animali ai gatti russi. Ho risposto in un commento di non aver mai visto un gatto votare per Putin.

Le origini cristiane dell’Europa tra retorica e mistificazioni

4 Aprile 2022 dc, dal sito Italialaica, articolo del 15 Marzo 2022 dc:

Le origini cristiane dell’Europa tra retorica e mistificazioni

di Marco Comandè

Avevamo scampato l’elezione dell’integralista Marcello Pera a Presidente della Repubblica, ma ci ritroviamo con un despota che ha attuato tutti i punti programmatici della sua battaglia contro il relativismo religioso, per poi scatenare una guerra contro l’Ucraina: le origini cristiane nella costituzione russa nell’art. 71, la difesa della tradizione con l’inaugurazione della mostra “I Romanov e la Santa Sede: 1613-1917” nel mese di dicembre del 2017, l’imposizione della festività patriottica il 7 novembre (in ricordo della cacciata dei polacchi da Mosca nel 1612).

C’è una certa macabra ironia nel citare il pensiero di Marcello Pera e Joseph Ratzinger, sul rischio della mancata trascrizione delle origini cristiane nella Costituzione europea: “il rischio che il timore delle scelte induca i cristiani a pensare che, se il cristianesimo comporta oneri gravosi, allora è meglio affievolire la fede o abbassare la voce piuttosto che rischiare un conflitto”.

E il politologo si riferiva alla possibilità di uno scontro con l’Islam, non con il cristianesimo ortodosso russo, il cui Patriarca ha di recente giustificato il conflitto in Ucraina con la crociata contro i gay!

Tanto medievale è l’ultima giustificazione, da ricordare una celebre frase del monaco Arnaud Amaury prima del massacro contro gli eretici gnostici a Béziers, dove il 22 luglio 1209 avrebbe detto: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi!”, per significare che era preferibile avere morti un cristiano giusto ed uno sbagliato piuttosto che salvarli entrambi. La frase è stata messa in dubbio dagli storici, ma il senso della frase è realmente condiviso dai fanatici cattolici ed ortodossi, come dimostra la battaglia contro i relativisti-materialisti-democratici-gay ucraini.

Tutti questi giri di parole non possono lasciare inevasa la questione di fondo sulle reali, autentiche origini del cristianesimo in Europa, se il nuovo zar Putin rinnega il dialogo con l’Occidente cristiano per affermare la supremazia dell’Oriente cristiano. Ben lungi dall’essere una rivendicazione del ruolo della religione nel mondo multipolare, l’ostinazione nell’attribuire alla Divina Provvidenza il ruolo preponderante nella storia universale ha un che di minaccioso, che non si arresta nemmeno di fronte alla minaccia atomica. Esistono tante soluzioni per un’Ucraina neutrale che non contemplano la guerra, ma tutte devono necessariamente passare attraverso le regole laiche della democrazia pluralista.

Vorremmo infine sollevare il velo sulla polemica innescata dagli integralisti cattolici, contro l’Europa relativista che censura il Natale e le persecuzioni cristianofobe nel mondo. I vari Marcello Pera, Marcello Veneziani, Antonio Socci, Magdi Allam ogni giorno elencano le stragi compiute nelle civiltà “altre” contro i cristiani, disinteressandosi poi degli equivalenti genocidi contro i musulmani, dall’India governata dal fanatico indù Narendra Modi alla Birmania del Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Ora, è innegabile che le vittime in Ucraina siano cristiane. Questo non significa affatto che esista una cristianofobia nel mondo, bensì che il fanatismo religioso rigetta ovunque i principi laici della tolleranza e della pace e giustifica le violenze con la presunta supremazia culturale tanto cara ai Marcello Pera e Vladimir Putin.

Marco Comandè
Reggio Calabria