Intervista al professor Boris J. Kagarlickij sulla guerra in Ucraina

4 Marzo 2022 dc, dal sito Bollettino Culturale, articolo del 7 Marzo 2022 dc:

Intervista al professor Boris J. Kagarlickij sulla guerra in Ucraina

L’intervista a Boris Jul’evič Kagarlickij sulla guerra in Ucraina è molto utile per avere informazioni di prima mano sulla tenuta del fronte interno russo. L’intervistato è una nostra vecchia conoscenza. Si tratta di uno dei più importanti intellettuali della New Left russa. Informazioni del genere saranno sempre più difficili da reperire dopo la legge, approvata dalla Duma, che “che introduce multe fino a 5 milioni di rubli e carcere fino a 15 anni per chi diffonde notizie diverse dalle fonti ufficiali – anche inoltrando sui social materiale vietato”. La mia vicinanza va a quanti in Russia e nel resto del mondo si stanno mobilitando in queste settimane contro la guerra.

1. Come sta vivendo la guerra la società russa? C’è consenso per l’invasione dell’Ucraina?

1.  La società russa, rispetto all’invasione dell’Ucraina, può essere divisa in tre fazioni. Le prime due hanno fatto una scelta ideologica rispetto al conflitto. La prima fazione, che rappresenta una buona fetta della società civile, è contro la guerra perché contro Putin e le sue politiche reazionarie. La seconda fazione sostiene la guerra perché condivide l’ideologia reazionaria del regime. Infine abbiamo una terza fazione, la maggioranza della popolazione, che è mossa dal panico e non dalla politica. Ancora non è toccata materialmente, a causa delle sanzioni, dalla guerra. La sua esistenza è spiegabile da una trasformazione precisa della società russa. Non è più quella di 30, 40 o 100 anni fa. Si tratta della società più individualista del mondo, estremamente materialista. Per farvi un esempio, in questi giorni IKEA sta abbandonando la Russia. Si sono create file enormi davanti ai suoi negozi perché molti cittadini russi vogliono comprare l’ultimo prodotto di questa azienda prima della chiusura di ogni sua sede nel Paese.

2. Che conseguenze avranno le sanzioni economiche sul potere di Putin?

2. Il panico di cui parlavo prima esiste perché ancora non stiamo vivendo pienamente le conseguenze delle sanzioni. Non sono uguali a quelle del 2014, le quali erano solamente simboliche. Si tratta di sanzioni adatte ad una situazione di vera e propria guerra. Colpiscono l’economia in maniera profonda. Non solo dal punto di vista della finanza [esclusione dallo SWIFT, impossibilità di rifinanziare il debito in euro o dollari, utilizzo delle riserve auree del paese per sostenere le banche private russe ndr], che è il problema minore per la Russia, ma soprattutto in termini di perdite di posti di lavoro e dipendenza tecnologica. Vi faccio un altro esempio. Negli scorsi giorni sono stato in Siberia. Per andare da Mosca alla Siberia vengono utilizzati aerei comprati in leasing dall’Occidente. Grazie alle sanzioni non potranno più essere utilizzati, andando a colpire direttamente le comunicazioni interne al Paese. Per non parlare delle limitazioni nell’utilizzo della tecnologia occidentale. Nelle prossime settimane vedremo meglio le conseguenze delle sanzioni sulla Russia.

Questi sono i motivi che spiegano l’agitazione di alcuni oligarchi che si sono schierati contro la guerra. Hanno paura di perdere il loro business.

3. Che giudizio hai delle manifestazioni contro la guerra in Russia e credi che debbano essere sostenute dai comunisti?

3. Il mio giudizio è positivo. Le manifestazioni sono piene di militanti di sinistra e liberali. I manifestanti vengono arrestati in massa. A dimostrazione di come gli spazi di democrazia verranno ulteriormente ristretti a causa della guerra. Ma la notizia positiva è che anche la risposta dell’opposizione si sta radicalizzando in modo inedito rispetto al passato. Un grande protagonista di queste lotte è il movimento studentesco che si sta organizzando nelle università russe. Un fatto inedito nella nostra storia.

4. Quali sono le posizioni dei sindacati russi rispetto alla guerra?

4. I sindacati russi stanno iniziando a prendere posizioni sulla guerra. Ci sono sindacalisti ostili al conflitto per le conseguenze che avrà sulla perdita dei posti di lavoro. Sono destinati a rafforzarsi parallelamente ai posti di lavoro persi a causa delle sanzioni (pensiamo alle aziende occidentali che stanno lasciando in questo momento la Russia).

5. Quali sono le posizioni del KPRF sulla guerra?

5.  Zyuganov è una marionetta di Putin che accetta tutte le scelte del governo. Nel partito la situazione è più complicata a tutti i livelli, dai militanti alle sezioni locali. Recentemente ho partecipato a delle conferenze organizzate dal KPRF in Siberia. I militanti più anziani e nostalgici sono favorevoli alla guerra e vicini a Putin. Quelli più giovani sono più radicali e ostili a Putin e alla guerra.

6. La Bielorussia che ruolo ha nell’invasione dell’Ucraina?

6. Ai russi Lukashenko ora sembra meno autoritario di Putin. Non ha alcun interesse nel conflitto, è costretto ad agire dalla presenza dei militari russi nel suo Paese.

7. Come valuti la posizione della Cina in questa guerra?

7. La tradizione politica cinese è contraddistinta da un’ostilità verso l’avventurismo. Non è contenta della guerra di Putin perché potrebbe diventare un conflitto nucleare che colpirebbe anche le città russe in Estremo Oriente, molto vicine alla Cina. Anche la possibilità di fare affidamento su questo Paese per compensare le sanzioni occidentali va chiarita. La Cina pubblicamente afferma di essere contro le sanzioni alla Russia ma le sue banche vi partecipano come quelle occidentali.

8. Ti aspettavi questa guerra?

8. Mi aspettavo una guerra locale, confinata al Donbass e che finisse in una maniera tale da consentire ad entrambi gli schieramenti di dichiararsi vincitori. La scelta di Putin è stata totalmente irrazionale, figlia di un gruppo dirigente senza più un contatto con la realtà e che ormai crede alla propria propaganda. Non so se la guerra potrà estendersi in altri Paesi come la Moldavia o la Georgia. La Russia non potrà vincere questa guerra, deve quanto prima sedersi a trattare. E non esistono neanche margini per creare un governo fantoccio in Ucraina perché il conflitto ha contribuito a rafforzare i nazionalisti ucraini.

9. Di chi è la responsabilità per lo scoppio di questo conflitto? In Italia spesso i comunisti accusano la NATO, che si è espansa ad Est dagli anni ‘90 non rispettando i patti siglati con Gorbaciov dopo la riunificazione della Germania, di aver provocato questa reazione della Russia.

9.  La situazione di tensione è stata sicuramente alimentata dall’Occidente e possiamo metterci a ragionare su queste questioni quanto vogliamo ma la responsabilità della guerra in quanto tale è tutta di Putin e del suo gruppo dirigente reazionario. Non hanno voluto in alcun modo trovare alternative al conflitto.

10. Un commento finale sulla montante russofobia in Occidente?

10. Semplicemente qualcosa di ridicolo. Leggevo che volevano impedire la partecipazione a dei concorsi di bellezza per animali ai gatti russi. Ho risposto in un commento di non aver mai visto un gatto votare per Putin.

Arrestati in Ukraina Mikhail e Aleksander

13 Marzo 2022 dc, in e-mail il 12/03/22 dc da ListaNoNato:

Arrestati in Ukraina Mikhail e Aleksander

Chi sono Mikhail e Aleksander Kononovich?

Sono due giovani ucraini, arrestati la notte del 6 marzo dalla polizia governativa di Zelensky.

Perché?

I due sono stati accusati di essere spie russe e bielorusse per la loro appartenenza ad un’organizzazione dichiarata illegale e terroristica, l’Unione della Gioventù Comunista Leninista dell’Ucraina.

Mikhail ne è il primo segretario.

Detenuti attualmente in un carcere di massima sicurezza, i ragazzi potrebbero essere assassinati nelle prossime ore.

Mentre tutto l’Occidente presenta Zelensky come il campione della democrazia che si batte contro la dittatura, diverso è il punto di vista di chi si è opposto all’ascesa del governo di Kiev sostenuto dai neonazisti.

I due ragazzi incriminati, infatti, sin dal 2014 sono stati alla testa delle mobilitazioni giovanili e studentesche che tentarono di aprire gli occhi al popolo ucraino sulla vera natura di Euromaidan.

Quelle battaglie vennero perseguitate e poi represse nel sangue da Pravi Sektor, Azov e altre organizzazioni di estrema destra mentre l’Occidente si tappava occhi e orecchie.

Per la loro adesione alla Gioventù Comunista Leninista di Ucraina Mikhail e Aleksander sono stati aggrediti e picchiati per le strade di Kiev e arrestati più volte. I loro parenti e amici hanno subito minacce e intimidazioni.

Questo è ciò che migliaia di militanti politici e sindacali subiscono in Ucraina dal governo Zelensky nel più totale oscuramento mediatico del nostro sistema informativo.

È chiaro che una notizia del genere offuscherebbe il mito di un Presidente dell’Ucraina, presentato come leader democratico della resistenza anti-russa, che un giorno sì e l’altro pure invoca l’intervento armato della NATO e la guerra atomica.

Cosa ne pensa, invece, l’opinione pubblica occidentale di questi episodi?

Per ora, nulla! Si campa nell’ignoranza della realtà sulle malefatte del governo populista e neofascista di Kiev.

La Federazione Mondiale della Gioventù Democratica (WFDY/FMJD) ha chiamato alla mobilitazione internazionale in solidarietà di Mikhail e Aleksander Kononovich.

All’appello hanno risposto diverse organizzazioni nel Mondo, tra cui il Partito Comunista Brasiliano (PCB), che oggi scenderà in piazza in diverse città del Brasile per chiedere la loro liberazione e protestare contro il regime neofascista ucraino, al fine di cercare di usare la pressione internazionale per prevenire il possibile assassinio di due dei numerosi oppositori politici di Zelensky.

Chiediamo il rilascio immediato di Mikhail,  Aleksander e di tutti i prigionieri politici che hanno sfidato il regime di Kiev.

Solidarietà internazionalista, pace e uguaglianza fra gli oppressi, guerra agli oppressori.

PS: i comunisti in Ucraina sono dichiarati illegali dal 2014. In Russia, invece, il Partito Comunista della Federazione Russa è la principale opposizione al governo Putin.

Afghanistan: i conti non tornano

31 Dicembre 2021 dc, in e-mail il 26 Agosto 2021 dc:

Afghanistan: i conti non tornano. Alcune osservazioni e alcune domande.

di Dino Erba

ll Biden diceva che Kabul sarebbe crollata dopo 60/90 giorni. È crollata dopo 6/9 ore! L’esercito, 180mila uomini, si è dissolto come neve al sole.

Non è la prima volta che gli «analisti» yankee (la solita Cia?) le sballano. Tuttavia, in questa occasione, più che insipienza, intravvedo furbizia.

Mi spiego.
Da quasi mezzo secolo l’Afghanistan vive un regime di occupazione militare, prima i russi poi gli yankee, con governi fantoccio. Le truppe Nato sono/erano costituite in gran parte da mercenari – contractors – a cui si è aggiunto uno stuolo di funzionari e faccendieri di vari organismi, governativi o meno, provenienti dai quattro angoli del pianeta.

Il regime di occupazione ha alimentato un crescente affarismo locale che spazia dal settore militar-industriale, alle intermediazioni commerciali e finanziarie nonché alla burocrazia. Si è così gonfiato un ceto sociale privilegiato, collaborazionista, avulso dalla struttura economico-sociale afghana, fondata sull’agricoltura (44% degli occupati), in gran parte in regime di sussistenza (oppio a parte). I disoccupati sono il 24%. Il 55% degli afghani vive sotto la soglia di povertà. Una composizione sociale fortemente sperequata che, inevitabilmente, alimenta il forte risentimento in cui allignano i talebani.

Campagna contro città e contrasti etnici

I talebani sono gli studenti delle scuole coraniche, incaricati della prima alfabetizzazione e, come tali, rispettati nelle campagne e nei quartieri popolari urbani, dove surrogano lo Stato.

Facendo un estemporaneo paragone, i talebani ricordano i predicatori che, soprattutto all’inizio del XI secolo, animarono in Europa movimenti pauperistici di varia natura: valdesi, francescani, gioachimiti, catari, albigesi… Ma anche in seguito, nel XV-XVI secolo Girolamo Savonarola a Firenze, Thomas Müntzer in Germania… Infine, nella metà del XIX secolo, Davide Lazzaretti, il Cristo dell’Amiata. Del tutto spontanee, senza capi, anarchiche, furono le jacquerie nella Francia del XIV secolo. Quasi sempre, la campagna è contro la città.

Caratteristica sociale del movimento talebano è la natura agrario-pastorale (nomade) o, genericamente, popolare che scoppia in rivolta quando il contrasto tra ricchi e poveri diventa insanabile.

A complicare la situazione contribuiscono poi le svariate etnie che, nel corso dei secoli, hanno formato la popolazione afghana, senza però abbozzare un embrione di melting pot. Anzi, sono spesso affiorate rivalità – anche di natura tribale – che il governo centrale, invece di sedare, a volte ha attizzato, nella perversa logica del divide et impera. I talebani sono prevalentemente di etnia pashtun, largamente maggioritaria. E tendenzialmente egemone.

Il Grande Gioco e l’ipocrisia dell’Occidente

L’Afghanistan è uno dei pochi Paesi sfuggito al giogo coloniale, grazie alla sua posizione geografica, verso cui convergevano le mire russe, da Nord, e quelle anglo-indiane, da Sud. Finendo entrambe in stallo, nel cosiddetto «grande gioco».

Dopo circa quarant’anni di pace e di relativa prosperità, alla fine degli anni Settanta, il «grande gioco» riprese per le maldestre velleità geo-politiche dell’Unione sovietica che offrì il pretesto per l’intervento Usa, scoperchiando il vaso di Pandora.

Gli yankee dettero spazio agli avversari delle riforme economiche e civili, avviate nei precedenti anni.

Con poche eccezioni, si basarono sugli strati più retrivi, finanziando, armando e addestrando i mujāhidīn, rinfocolando il mai sopito integralismo islamista. Una strategia che si sarebbe ritorta contro gli apprendisti stregoni made in Usa.

Scacciati i russi (1989), (Nota mia: i russi erano in difficoltà ma non vennero scacciati, si ritirarono. Il regime locale resistette circa altri cinque anni prima di venire “sconfitto” dai talebani, foraggiati dagli alleati filo-USA) si instaurò un regime islamista che, via via, volle rendersi autonomo dall’ingerenza yankee. Il clou fu l’attentato alle torri gemelli di New York (11 settembre 2001), di cui fu ritenuto ideatore Bin Laden, ex creatura Usa.

Washington colse la palla al balzo e, col pretesto della lotta al terrorismo, pianificò con la Nato l’invasione dell’Afghanistan. Un pretesto – la lotta al terrorismo – assolutamente ipocrita, dal momento che, da almeno vent’anni, Usa e manutengoli Nato avevano bombardato a man salva popolazioni civili, rovinando Somalia, Iraq, Siria… Lo scopo: esportare la democrazia e costruire Stati (State-building) su modello occidentale. i risultati sono sotto i nostri occhi.

La disinformazione regna sovrana

Ben pochi hanno ricordato che Abdul Ghani Baradar, il nuovo Presidente del neo proclamato Emirato islamico dell’Afghanistan, negli anni Ottanta ha combattuto in chiave anticomunista finanziato dagli Usa nella guerra sovietico-afghana. Nel 2010 la Cia e i servizi segreti pakistani lo catturarono. Il 24 ottobre 2018 venne rilasciato su esplicita richiesta degli Stati Uniti d’America. Il 29 febbraio 2020 firmò col il segretario di Stato di Donald Trump, Mike Pompeo, un accordo in cui si stabilisce la ritirata delle truppe Nato dall’Afghanistan e la riabilitazione dei talebani nel Paese.

Questo atto diplomatico è noto come Accordo di Doha (capitale del Qatar). Oggi, agosto 2021, il mondo occidentale, in special modo quello dei Paesi della Nato, sembra essere sorpreso dalla dinamica degli eventi, quando invece tutto era stato diplomaticamente e pacificamente stabilito. Dietro la disinformazione e la confusione mediatica, le cancellerie occidentali tramano i loro sporchi intrallazzi.

Che fanno i signori del G7? Poco, e male

A breve è prevista una riunione del G7, il club dei Paesi più ricchi. Sorvoliamo sul cosiddetto G20 che conta come il due di picche alla briscola. A parte l’impronta razzista, squisitamente eurocentrica – condivisa peraltro da molti compagnucci Lenin-marxisti –, dobbiamo chiederci quali prospettive potrebbe avere codesta iniziativa?

Da quando capitalismo è capitalismo, i rapporti internazionali nascono e si fondano sulle relazioni commerciali. Benché l’Afghanistan sia ricco di importanti materie prime (dal rame all’oro, dal litio al gas….), solo in minima parte sono state messe a frutto. E fanno gola.

Attualmente, le ragioni di scambio afghane sono fortemente, anzi estremamente squilibrate, determinando una nefasta dipendenza da alcuni Paesi.

Export circa 800 milioni di $ (oppio compreso, sembra che rappreseti l’11% del Pil).
Import circa 7 miliardi e mezzo di $.
Le esportazioni sono rivolte per il 91% a: Emirati Arabi Uniti, Pakistan, India.
Le importazioni sono rivolte per il 53% a: Emirati Arabi Uniti, Pakistan, India (vengono poi Usa e Cina, entrambi col 9%).

Come si evince, le «potenze» occidentali del G7, a parte gli Usa (ma fino a quando?), non hanno alcun concreto legame economico con l’Afghanistan. E non potranno «inventarlo» dall’oggi al domani.

In questo desolante scenario si fanno avanti Russia e Cina. La Russia, con le pezze al culo, ha poco da offrire, può solo nascondere il proprio aggressivo passato. E la Cina ha la coscienza assai sporca, con la violenta repressione contro gli islamici uiguri del Xinjiang. Potrebbe farsi male con le sue stesse mani.

Se il buon giorno si vede dal mattino, non tutti gli afghani accettano la shari’a talebana. Anzi… C’è solo da augurarsi che la combriccola del G7 non allunghi troppo le sue zampine pelose.

Dino Erba, Milano, 20 agosto 2021.

Sul «Grande Gioco», vedi: Dino Erba, recensione a Peter Hopkirk, Avanzando nell’Oriente in Fiamme (Mimesis, Milano-Udine, 2021), All’Insegna del Gatto Rosso, Milano, luglio 2021.
Siti:
https://www.cia.gov/the-world-factbook/countries/afghanistan/#economy
Segnali di disfattismo dal fronte interno durante la ritirata Afgana.

Escalation nucleare in Europa

da il Manifesto 19 Aprile 2016 dc:

Escalation nucleare in Europa

di Manlio Dinucci

La Casa Bianca è «preoccupata» perché caccia russi hanno sorvolato a distanza ravvicinata una nave Usa nel Baltico, effettuando un «attacco simulato»: così riportano le nostre agenzie di informazione.

Non informano però di quale nave si trattasse e perché fosse nel Baltico.

È la USS Donald Cook, una delle quattro unità lanciamissili dislocate dalla U.S. Navy per la «difesa missilistica Nato in Europa».

Tali unità, che saranno aumentate, sono dotate del radar Aegis e di missili intercettori SM-3, ma allo stesso tempo di missili da crociera Tomahawk a duplice capacità convenzionale e nucleare.
In altre parole, sono unità da attacco nucleare, dotate di uno «scudo» destinato a neutralizzare la risposta nemica.

La Donald Cook, partendo l’11 aprile dal porto polacco di Gdynia, incrociava per due giorni ad appena 70 km dalla base navale russa di Kaliningrad, ed è stata per questo sorvolata da caccia ed elicotteri russi.

Oltre che le navi lanciamissili, lo «scudo» Usa/Nato in Europa comprende, nella conformazione attuale,  un radar «su base avanzata» in Turchia, una batteria missilistica terrestre Usa in Romania, composta da 24 missili SM-3, e una analoga che sarà installata in Polonia.

Mosca avverte che queste batterie terrestri, essendo in grado di lanciare anche missili nucleari Tomahawk, costituiscono una chiara violazione del Trattato Inf, che proibisce lo schieramento in Europa di missili nucleari a medio raggio.

Che cosa farebbero gli Stati uniti – che accusano la Russia di provocare con i sorvoli «una inutile escalation  di tensioni» – se la Russia inviasse unità lanciamissili lungo le coste statunitensi e installasse batterie missilistiche a Cuba e in Messico?
Nessuno se lo chiede sui grandi media, che continuano a mistificare la realtà.

Ultima notizia nascosta: il trasferimento di F-22 Raptors, i più avanzati cacciabombardieri Usa da attacco nucleare, dalla base di Tyndall in Florida a quella di Lakenheath in Inghilterra, annunciato l’11 aprile dal Comando europeo degli Stati uniti.
Dall’Inghilterra gli F-22 Raptors saranno «dispiegati in altre basi Nato, in posizione avanzata per massimizzare le possibilità di addestramento ed esercitare la deterrenza di fronte a qualsiasi azione destabilizzi la sicurezza europea».

È la preparazione all’imminente schieramento in Europa, Italia compresa, delle nuove bombe nucleari Usa B61-12 che, lanciate a circa 100 km di distanza, colpiscono l’obiettivo con una testata «a quattro opzioni di potenza selezionabili». Questa nuova arma rientra nel programma di potenziamento delle forze nucleari, lanciato dall’amministrazione Obama, che prevede tra l’altro la costruzione di altri 12 sottomarini da attacco (7 miliardi di dollari l’uno, il primo già in cantiere), armato ciascuno di 200 testate nucleari.

È in sviluppo, riporta il New York Times (17 aprile), un nuovo tipo di testata, il «veicolo planante ipersonico» che, al rientro nell’atmosfera, manovra per evitare i missili intercettori, dirigendosi sull’obiettivo a oltre 27000 km orari.

Russia e Cina seguono, sviluppando armi analoghe.

Intanto Washington raccoglie i frutti.
Trasformando l’Europa in prima linea del confronto nucleare, sabota (con l’aiuto degli stessi governi europei) le relazioni economiche Ue-Russia, con l’obiettivo di legare indissolubilmente la Ue agli Usa tramite il Ttip.

Spinge allo stesso tempo gli alleati europei ad accrescere la spesa militare, avvantaggiando le industrie belliche Usa le cui esportazioni sono aumentate del 60% negli ultimi cinque anni,  divenendo la maggiore voce dell’export statunitense.

Chi ha detto che la guerra non paga?

Sullo stesso argomento vedi La notizia su Pandora TV http://www.pandoratv.it/?p=7372

Siamo in guerra!

In e-mail il 5 Marzo 2016 dc:

Siamo in guerra!

Sì, siamo in guerra.

Solo Renzi e Mattarella fanno finta di niente mentre armano aerei, usano decine di basi militari e tengono vertici di guerra.
Invece sì, siamo in guerra, una guerra che da anni ormai attraversa il medio oriente, l’Europa orientale, i mari cinesi, che è arrivata a Parigi e Londra.

La guerra e l’uso della forza militare sono oggi il principale strumento di politica internazionale. Interessi vari e diversi, protagonisti globali e potenze locali cozzano tra sé e travolgono quelle regioni in una spirale di lutti e sofferenze immani: gli interessi in gioco sono quelli delle classi dirigenti, petrolio, gas, vendita di armi, tratta di esseri umani.

L’Italia è impegnata da anni sia in conflitti gestiti dalla NATO – a guida USA – sia nelle avventure geopolitiche promosse in seno all’UE.
Adesso si profila un ulteriore intervento militare, ancora più pesante, con un possibile intervento in Libia sotto guida italiana.
I mostri evocati da queste politiche imperialiste stanno portando gli incubi della guerra anche nei nostri Paesi.

Il protagonismo neocoloniale francese è sicuramente connesso con gli attacchi subiti a Parigi e le piccole smanie del governo italiano potrebbero evocare analoghi disastri nelle nostre città; i “nostri” lutti non sono più importanti di quelli altrui, ma è bene che l’opinione pubblica si risvegli e sappia che anche il nostro governo sta portandoci la guerra in casa.

Mentre si preparano altre guerre, si continuano a tagliare le spese sociali, la sanità, la scuola, i servizi di ogni tipo, ma non le spese militari.
Solo per il mantenimento della basi NATO in Italia occorrono 50 MILIONI AL GIORNO.
La legge di stabilità 2015 prevede per l’anno venturo quasi 18 miliardi di spese militari, di cui oltre 5 miliardi per l’acquisito di nuovi armamenti.

E questo accade in tutti i Paesi della Unione Europea, che è pienamente investita dall’arco di crisi che va dall’Ucraina alla Siria: in ben 31 Paesi europei si stima in media un aumento delle spese militari nel 2016 pari all’8,3 per cento rispetto al 2015.

Come oppositori a queste politiche di guerra crediamo sia necessario denunciare:

  • l’impoverimento che queste scelte di guerra causano alle classi subalterne,
  • le politiche di riarmo sono anche di concentrazione di ricchezza e di smantellamento dei residui di welfare,
  • la militarizzazione della vita e dei territori,
  • la presenza di ordigni nucleari nelle basi di Ghedi e Aviano,
  • le armi atomiche sono presenti in Medio Oriente: Israele, Pakistan e Arabia Saudita le possiedono e quest’ultima ne minaccia l’uso, in una situazione di pericolosa estensione dei conflitti,
  • che l’esodo enorme verso l’Europa di tanti profughi è figlio diretto delle scelte politiche di guerra,
  • che l’emergenza, la paura, il caos sono strumenti per demolire anche quel poco che resta di una falsa democrazia liberale; un autoritarismo sempre più pervasivo sta diventando la norma in ogni luogo,
  • che esistono forme di resistenza e autogoverno che possono indicare una via per uscire dal disastro globale: dalle sinistre popolari arabe e palestinesi agli esempi del movimento curdo legato al PKK

12 Marzo manifestazione a Camp Darby (Pisa)

Assemblea Fiorentina contro la Guerra e la NATO