Ricordo di Piné


Ricordo di Pinè

Incontrai per la prima volta Giuseppe Cartagini, detto Pinè, nel settembre del 1983 dc quando, con l’amico Oscar e su sua segnalazione, mi iscrissi al corso di speleologia che si teneva all’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, a Milano in via Venezian 1.

Pinè lavorava come magazziniere all’INT, ed era anche segretario del Circolo Sociale dello stesso. Ed era anche speleologo, e uno degli animatori del gruppo speleologico che aveva l’INT come sede e patrocinatore.

Dopo il corso continuai a fare speleologia fino agli inizi del 1990 dc, poi durante il corso tra la fine del 1992 dc e l’inizio del 1993 dc, poi dovetti smettere del tutto perché andai per due anni in trasferta a Roma per lavoro.

Per tutto questo periodo frequentai il Pinè quasi ogni due domeniche per andare in grotta, quasi tutte le settimane per la riunione del nostro gruppo, e spesso a casa sua, nello stesso palazzo del suo collega-amico e poi mio amico Giuseppe, a Segrate.

Ci vedemmo anche alcune volte alla Malga Ervinia, vicino a Schilpario (Brescia), presa in affitto dal Circolo e di cui Pinè è sempre stato il cuore principale, nonché assiduo frequentatore.

Piné
Una delle volte che Giuseppe ed io andammo a cavallo alla baita scattai questa foto con la camera di Giuseppe. Il Pinè è al centro, e Giuseppe sulla destra. Anni ’80 o ’90….

Quando Pinè andò in pensione non ci frequentammo più: lui andava sempre alla baita o nei suoi giri con altri amici, poi vendette la casa e ritornò al suo paese natale in Emilia, sulle dolci colline intorno a Parma e Salsomaggiore.

Capitò di incontrarci al matrimonio di Giuseppe e ai funerali di suo padre, avvenuti qualche anno fa.

Il Pinè era quasi sempre di buon umore, rideva, scherzava, prendeva in giro: lo stesso fece subito con me quando, incauto, gli confessai in auto, mentre ci recavamo alla Caerna in Val Brembana, di credere di avere qualche difficoltà nelle strettoie per i miei fianchi larghi. Diventai subito “Culo grosso” appena scendemmo dall’auto, ad alta voce e perché tutti lo sapessero!

Di solito delle persone che ci lasciano, e che ci sono care, ricordiamo sempre i lati migliori, la parte positiva: per Pinè, a parte qualche discussione, non posso ricordare altro, in quanto mi è difficile trovargli qualche difetto. Al contrario, saltava subito evidente la sua generosità.

Non abbiamo granché discusso di politica o di religione: seppi vagamente, o forse lo disse lui stesso, che votava per il PCI. Per quanto riguarda la religione non ho motivo di ritenere che fosse un cattolico praticante piuttosto che un ateo incallito: ho però l’impressione che il funerale in chiesa, in quel piccolo santuario sulle colline parmensi ammantate della neve dell’inverno del 2010 dc, e la sua sepoltura nel vicino cimitero, che altri vollero per lui, nella migliore delle ipotesi lo avrebbero lasciato del tutto indifferente, se non infastidito e contrario.

Mi ricordo la difficoltà, a volte, di capire cosa dicesse perché si mangiava un po’ le parole, quando non ritornava al dialetto più stretto. Quando rideva gli mancava il fiato perché se la spassava di gusto, come grande impegno metteva nel mangiare e, con grande successo, nel cucinare.

Alla fine del 1989 ci fu un periodo in cui andammo a giocare a bocce all’Ortica, un quartiere popolare di Milano: io non avevo quasi mai giocato e, mi ricordo benissimo, feci una grande bocciata con un tiro al volo molto alto centrando la palla avversaria! Il Pinè proruppe in imprecazioni e gestacci, sempre gioiosi però, rimarcando il fatto che era incredibile che uno come me che non aveva mai giocato facesse un tiro del genere!

Il Pinè ha lasciato esterrefatti e più soli un gruppo di amici e parenti, e il suo adorato cane Billy, che tanta compagnia gli aveva fatto in questi anni.

A costo di cadere nella banalità sappi, Pinè, che non ti dimenticheremo mai!

Jàdawin di Atheia, aprile 2010 dc