Pseudopoesie


Pseudopoesie

Molti, da giovani, hanno creduto di essere “poeti”. L’ho creduto anch’io, ed ho continuato….

Ora, per pudore, le chiamo “pseudopoesie”. Sono tutte qui, in ordine cronologico.

Amica

(11/08/72 dc)

Un tribunale fu il teatro
Del nostro primo incontro
Lunghi sguardi nel baratro
Nel vuoto della coscienza

La simpatia ci tendeva la mano
Quando incrociavamo gli sguardi
Tempo che volava quando tu
Con me camminavi veloce

Ritagli di tempo la sera
Perché ti fossi vicino
Solo per parlare con te
Per dirmi che non ero solo

Ti regalai quella medaglia
Solo per baciarti una sera
E quando le labbra si lasciarono
In silenzio, per poco, restavi

No, tu non eri sola, forse lo speravo
Ma non mi abbandonasti, non mi feristi
In futuro, ancora amica sarai

Rivederti sarà ricordare
L’attimo più bello della nostra storia
Quello che non è stato, ne sarà mai,

Antonella

Quando si fa sera

(18/08/72 dc)

Quando si fa sera
E il mistero e il fascino
Del tramonto precedono
L’ora in cui aspetti t’abbraccino
Le scure foriere del sogno

Già pregusti il piacere
Del buio, di quell’entità
Che ti apre le porte
Alla conosciuta eppur nuova città

La sera aveva ceduto il posto
Alla notte quando mi son imposto
Di mirare il cielo, sul balcone
Della fraterna ospite stanza

Quando i bagliori di lampi lontani
Mi giunsero dispersi da nube
Immensa, a levante, a tratti lucente
Bassa e greve, a volte assente

Impossibile castello del cielo
Copia sfocata e inerte d’immani terrori
Sparviera di una morte lontana
Recante gli ammorbanti fetori
Della nostra coscienza avvilita

Qui, sopra la città

Per la mia morte tranquilla

(dicembre 1972 dc)

Voglio che alla mia morte
non venga fatto tanto chiasso
voglio che per la strade
non si veda troppo il mio funerale
voglio che tutto quello in sovrappiù
venga dato a chi ne ha bisogno
voglio che al mio letto
non si veda ne una croce ne un prete
voglio che tutto ciò che ho scritto
venga dato a chi lo ritenga importante
voglio che il mio corpo sia bruciato
e le ceneri chiuse in uno scrigno
voglio che questo scrigno venga
sepolto su una montagna impervia
con una lapide e poche righe

Se, dopo tutto ciò una sola persona
verrà su quella montagna
allora non avrò vissuto del tutto invano

Rovine

(05/06/74 dc)

Camminavi per città e campagne antiche
Ripensando alle trascorse tue fatiche
Cercando un’oasi di pace per riposare
Una fonte vicino per ristorare
La gola riarsa da fiumi di parole

Incontrando all’improvviso le rovine
Di un passato perso nel tempo
Ti fermasti, incantato, a guardare
Senza trovare lo spazio per pensare
Ne le parole inutili da pronunciare

Riprendesti la strada, incontrando altre rovine
Già rivedesti nella mente i grandi scontri
Di destini, eserciti, idee
Che coprirono quei massi di fitti misteri
A cui ti volgevi, cercandone il perché

Sostando pensoso, triste vagabondo,
cercavi le fila che reggono il mondo
ma, accorgendoti che non ci sono
regole che ne traccino il cammino
ti alzasti, guardando lontano, verso il tuo destino

Mediterraneo

(11/07/75 dc)

Azzurra distesa di serenità
Superficie increspata
Dall’incontro degli elementi
Priva delle nostre quotidiane assurdità
Qui la solitudine
Acquista la sua dimensione:
il rifiuto del rischio
di indesiderate promiscuità

Mediterraneo

Puoi startene dove vuoi, solo
O in ristretta compagnia,
puoi avvicinarti alla costa,
guardare e poi fuggirtene via,
via dal frastuono e dalle grida,
via dal caos, dalla lotta impietosa per la vita
che nulla risparmia, che nulla rispetta.
Ecco, ti sei allontanato.
Ti puoi fermare.
Da lontano, la vita
Del paese costiero ora puoi guardare.
Le case bianche in riva al mare
Basse, quadrate, colpite dal sole.
Ora questo ti pare bello
Ora che sei alla sicura distanza
Dove puoi ammirare senza
Esserne coinvolto.

Mediterraneo

Che importa che sia Siviglia,
Tripoli, Catania oppure Marsiglia
La meta dei tuoi sguardi assetati.
Ovunque c’è vita. Ovunque c’è lotta.
Ovunque uomini e donne amano,
vivono, lottano per qualcosa.
Ovunque si soffre, si ride,
ovunque si gioca, si piange.
È un gioco continuo.
Arrivi ad un porto, ti fermi,
guardi, osservi, riparti,
rifletti fino al prossimo scalo
e poi ricominci di nuovo.

Mediterraneo

Navighi a lungo, per compagno il mare,
a volte calmo, a volte irato
e allora sei costretto a lottare.
Questa volta per qualcosa di grande.
Altri paesi incontri
Trovi una piccola ansa rocciosa
Con una angusta, bellissima grotta
E ti fermi, e ti perdi
In questa pace immensa.
Riparti di nuovo, viaggi ancora
E così fino alla fine
Fino a che non devi tornare
Alla dura realtà d’ogni giorno.
E ogni giorno ripenserai
A quello che è stato
Che solo ricordo resterà.

Mediterraneo

Bianco

(Ottobre 1975 dc)

Nevica. Falde grosse e fitte.
Alla luce della lampada
Ne misuri la densità.
Fa freddo, un vento gelido
Penetra nelle ossa, ma tu non ci badi.
Esci, superi le poche case montane.
Vai verso il buio. La tua barba è bianca ormai.
Sei al ponte sul torrente, lo superi,
sali faticosamente fino al bosco.
Ora ci sei, sotto il pino, disteso sulla neve.

Silenzio.

Il vento è cessato. Solo tu nel bianco.
La Luna dona il suo incanto alla neve.
Guardi le stelle, e ricordi una musica
Cristallina, sentita il giorno prima.
Una nota per stella.
Un accordo ad ogni costellazione.
Ti volti verso il bosco, fitto, scuro
Sei solo, lo sai. Eppure…

Ora capisci perché gli antichi
Popolavano i boschi di esseri strani.
Elfi, silfidi, ninfe e nani.
Pochi rumori, dalle case di sotto,
rompono, di tanto in tanto, l’armonia del silenzio.
Tutto ciò è troppo, anche per te.
Ritorni, più forte, alle case dell’uomo.

Vorrei

(1/2/76 dc)

Vorrei essere un raggio di sole
nel primo mattino
posarmi sulle tue palpebre
e svegliarti al nuovo giorno

Vorrei essere l’acqua
che ti corre fresca sul viso
quando ti bagni

Vorrei essere lo specchio
e poterti ammirare
e accogliere in me
la tua immagine

Vorrei essere l’erba del prato
che tu calpesti quando, ogni
mattina, esci e vai
tra la folla

Vorrei essere in ogni angolo,
in ogni strada, in ogni vicolo,
ovunque tu vai

Vorrei essere la Luna
di sera, e poterti donare
la mia luce, per farti
ancora più bella

Vorrei essere una farfalla
notturna e, nella tua casa,
potermi posare sulla tua mano
senza timore

Vorrei essere una coperta
e avvolgere il tuo corpo
e darti calore, prima che
ti colga il sonno

Vorrei essere, infine, nei tuoi
pensieri, e condividere così
ogni attimo della tua
meravigliosa esistenza

Sandra Marie

(22/03/76 dc)

Navigavamo sull’azzurro mare di Grecia
Ed io t’ho detto “ti voglio”
Fermi eravamo al molo di Lesbos
E tu mi hai detto “no, non ancora”

Scivolavamo nel vento di Ithkos
Ed io ti ho detto “sei mia”
Ammiravamo felici terra d’Hyppolita
E tu mi hai detto “no, ancora no”

Ci cullava il mare sotto il sole d’Egitto
Ed io ti ho detto “ti desidero”
Ci accoglieva al suo seno la Grande Sirte
E tu mi hai detto “amore effimero”

Distesi nello scirocco arrivammo a Sybaris
Alle rovine mi son detto “nulla io sono”
Silenzio tra le erbe mosse dal vento
Ma tu mi hai detto “non piangere, ora io t’amo”

Sandra Marie
Quanta umiltà mi ci è voluta
Sandra Marie
Per farmi amare da te

Sandra Marie
Quanti altri oceani guardare
Sandra Marie
I nostri occhi insieme potranno?

Città d’autunno

(11/05/76 dc)

Mi sono alzato con la morte nel cuore
Ho visto nello specchio Desolazione
Ho visto Indifferenza dipinta sul volto
Di mia madre, che versava il caffè
Ho visto Superbia in viso a mio padre

Pena nella vita d’intorno
Erbe fragili di Ricordo
Anime dolci in perenne attesa
Zerbo è lontana e vicina

Innocenza mi ha sorriso appena uscito
Onestà mi ha teso la mano
Non ricordo la mia meta
Eppure…

Città d’autunno la mia salvezza
Ti guardo e mi sento rinascere
In te c’è vita, amore, sentimento
Con te dimentico ogni tormento

Ho camminato per strade d’incanto
Tra vicoli senza nome
Ho ascoltato il ritmo del traffico
E respirato il silenzio dei parchi di notte

Ho assaporato la pioggia sul viso
Dal ponte della ferrovia
Sono entrato nella pace di un cimitero
Ho fatto alla Luna mute domande
Ho incrociato la folla per le strade

Città d’autunno la mia salvezza
Ti guardo e mi sento rinascere
In te c’è vita, amore, sentimento
Con te dimentico ogni tormento

Niente più

(21/07/76 dc)

Una sera, in una scuola
Vidi una compagna amica mia
La conoscevo dall’anno prima.
Le dissi “le donne non sai
Mai come prenderle
Sei leggero e ti vogliono impegnato
Sei impegnato e ti dicono – che noia
Come si può fare?”
Lei mi guardò e mi disse
“Sii te stesso, e niente più”

Nostra Africa

(21/07/76 dc)

Seguire le orme dei karibù
A fatica, nell’intrico dei rami
Il sudore t’imperla la fronte
La camicia si attacca alla pelle

Esci dalla macchia
L’erba ti arriva al ginocchio
Il calore aumenta
Con la tua ansia

di essere in Africa

perse le tracce, riprendi la jeep
accanto è lei, come sempre
e corri, corri nella savana
i fragili steli mossi dal vento
ti passano accanto

a destra due giraffe, pigre
a sinistra bufali indifferenti
di fronte un gruppo di leoni
che vi aspetta

dove è nato l’uomo°

scendete avvicinandovi
e buttate il fucile
il leone, pigro, vi guarda
è sazio e voi innocui
vi guardate a lungo

una muta intesa
un saluto, un grazie
e ve ne andate

per le pianure d’Africa

un vento caldo muove
la gialla erba
annunciando la tempesta
che presto verrà

i candidi babock°°
lenti vanno
nella corrente di uno stagno
dalle rive fangose

l’Uccello del Paradiso
volteggia nell’aria
mentre un colibrì
gareggia con le api

una scimmia rompe un cocco
sopra una zebra che beve
da lontano giunge il rumore
dell’uomo che coltiva il suolo

di questa nostra Africa

mentre il vento vi bacia i capelli

°              secondo una leggenda indigena l’uomo è nato sotto un baobab

°°            i babock sono fiori acquatici africani, bianchi

Canto Alto ‘76

(21/09/76 dc)

La montagna mi aveva respinto
Un giorno, verso sera
Allora decisi con forza
Che infine avrei vinto

Partii tre ore prima del tramonto
Da solo, ancora una volta
Non volevo intralci
Mi sentivo pronto

Superai l’ultimo punto raggiunto
La casa e il fienile di Pra’ Pajett
Su, su verso il ripido sentiero
Passo su passo, punto su punto

Dopo il roccolo per un prato
Oltre a un capanno d’edera ricoperto
Un altro denso e fitto bosco
Più in là, dopo qualche fungo lì trovato

Finalmente il sentiero
E la salita di fronte
Ma, subito, il dubbio
Non una sola era la strada

A decine, tra rocce ed alberi
Un intrico assurdo
Di ripiani e tracce
Tutti sembravano veri

Su, a caso, per tentativi
Una febbrile ricerca
In gara col tempo
Sbagliai strada

Troppo a ovest mi portai
Indietro dovetti ritentare
Infine, una deserta capanna
Di pastori, sulla cresta del monte

Il sentiero era segnato, adesso
Su per la cresta, irta di massi,
già il paesaggio disteso innanzi
il cuore che batte, in tumulto

cola il sudore dalle tempie
i polpacci dolgono
la mente è tesa
verso la vetta, ora vicina

ora son giunto
in vetta sono arrivato
accanto alla croce eretta
qualche minuto lassù

imperatore del mondo
in pace con tutto ciò
che ora non mi tocca più

ma di nuovo, ancora una volta
ritornare devo, a casa
dell’umana congrega varcare la porta

giù per la cresta
frotte di pecore faccio scappare
nel bosco, anche nel buio,
è per me come una festa
a perdifiato, in gara con la notte,

riperdo la traccia
incespico, cado, mi scortico il viso,
mi sanguina il naso e scende la notte
trovo un sentiero, ma lo perdo,

passo tra l’erba, trovo due vecchie case
vado avanti e in basso
verso il paese fisso lo sguardo
vedo la strada

un pallido nastro più sotto
mi butto giù lungo il pendio
ormai è ora che corra
rotolo sulla strada

la percorro quasi di corsa
tre scure forme, forse faine,
mi attraversano la strada

arrivo a casa
mia madre preoccupata è in lacrime
mio padre finge indifferenza
perché tardi sono a casa

sono sudato, stanco, provato,
ho destato preoccupazione
ma l’unico pensiero è che
su quella vetta ci son arrivato!

Incanto

(24/09/76 dc)

Le foreste di alberi t’accolgono
Quando tu vi passi attraverso
Frassini e abeti ti fanno un po’ d’ombra
E dividono con te la loro intimità

Sommessamente ridono le foglie
Quando vi affondi le gambe
Squittiscono i rami che spezzi
Camminando nel folto

La foresta ha mille luoghi segreti
Mille oasi particolari di pace
Dove l’intrico si schiude
A una radura, ad un masso ricoperto di muschio

Un gorgoglio perso nel folto
T’annuncia un argenteo ruscello
A cui t’appresti carponi per bere
La fresca acqua pungente

L’incanto dolce ti prende
Di quel silenzio che ti avvolge
Più musicale, lo sai,
di qualsiasi armonia prima ascoltata

il bosco sembra deserto
eppure mille creature si agitano
e forse, chissà,
fauni e ninfe ridendo dal folto ti guardano

Bagheera

(16/10/76 dc)

Sorgi, sole dormiente
E illumina questa meraviglia
Questo essere che, nudo,
Mi dorme accanto

Penetra tra le fronde degli alberi
E delicatamente tocca le sue palpebre
E fa che ella si svegli al nuovo giorno
E doni luce alla mia vita

Ella si sveglierà, piacevolmente languida
Ed io la saluterò con un bacio
Lei mi sorriderà
Ed insieme andremo in riva al mare

Più svelto, sole, alzati nel cielo
Non perdere lo spettacolo
Della Bellezza che corre sulla spiaggia
Ed io che la seguo, piccolo uomo

Fatti più vivo, sole, per illuminarla
E tu, oceano, rinfrescale i piedi
Perché ella è Bagheera
Scura figlia d’Africa

La sua pelle è come il mogano
Le sue membra son di gazzella
Come un torrente è la sua voce
E tra i capelli splende bianco un babock

Da quando l’ho incontrata
La mia vita è cambiata
Perché ella è Bagheera
Scura figlia d’Africa

A te

(02/03/77 dc)

A te, che sui miei pensieri
Eserciti tale tirannia
Che la mia anima ne è sconvolta

A te, che ora sei la più bella
La più allegra e sincera
Che alla mia vita togli l’asprezza

A te, che mi stai a sentire
Quando parlo e deliro
Che non so più quello che dico

A te, dunque, dedico
Una poesia, una canzone, un segno,
che altro non sono che
tentativi di creare un assoluto
per ogni cosa che amiamo

Scendete dalle montagne

(24/06/77 dc)

E galoppi, galoppi
Sul tuo destriero
In mezzo agli altri cavalieri
Di bianco vestiti

Giù, giù, giù dalle montagne

E in mezzo agli altri
Senti il vento sul viso
La polvere turbina intorno
La meta è sempre più vicina

Giù, giù, giù dalle montagne

Nella pianura già s’intravede
Il villaggio nemico dove
Si annidano gli oppressori
Della tua terra, avanti,

tutti giù, giù, giù dalle montagne

avanti, le lance in resta
sfoderate le sciabole
l’ultima battaglia è iniziata

chi cade è un eroe
e per chi resta è la libertà.

Inno alla vittoria

(24/06/77 dc)

Gloria a voi, nobili guerrieri
Gloria a voi, bianchi cavalieri
Avete vinto l’ultima battaglia
Contro il tiranno oppressore

Alto si levi l’inno
Del popolo per la vittoria
Si lavino le ferite
Si seppelliscano i morti

Muoia per sempre il rancore
Si dimentichi l’odio
I fratelli abbraccino i fratelli
Di nuovo l’amore trionfi

La battaglia doveva essere fatta
Ma ora è davvero finita
Uno accanto all’altro riposino gli eroi
Per sempre pacificati

Appendete l’alloro sulle vostre case
Ragazze dalle trecce bionde
Riponete le armi per sempre
E date spazio alla gioia

Osservazioni

(19/09/77 dc)

Dischi ascoltati, la sera
Parole tronche, frasi sconnesse
Osservazioni stupide e
Timidi sguardi

Sicurezza ostentata
Disprezzo in serbo
Per tutti, nemici e vecchi compagni
Sincerità cercata e rimandata

Avere in mente cose
E dirne altre, malamente
Il modello d’azione prima studiato
Puntualmente s’infrange e svanisce

Cercare di dire “ti amo”
E non accorgersi che
Molto più facile sarebbe
“ti desidero”

È più sincero, è più vero.

Raramente è l’amore che
Il desiderio precede

Giorni spensierati

(18/08/78 dc)

Dietro le colonne
Spunta il tuo viso
È il nostro appuntamento
Cosa faremo non si sa

Andremo in giro nel parco
Ci sdraieremo sull’erba
Ci sederemo sulla panchina
Che mi ricorda l’anno scorso

Andremo allo zoo
A vedere le tigri e i leoni
Le giraffe ci guarderanno
E l’elefante giocherà con te

Andremo al cinema
A vedere quel film
Di cui ti parlo da un mese
E mi dirai se ti è piaciuto

Andremo al luna-park
A correre sull’ottovolante
A girare sulla ruota
O a tirare al pesce rosso

O andremo semplicemente
In giro per la città
Sorridere alla gente
Suonare i campanelli

E poi scappare ridendo

Il camaleonte

(18/08/78 dc)

Guardo la vita intorno
E non so decidere
Se sia bella oppure no

Dentro di me, lo sento,
Qualcosa vuole esplodere
Ma cosa sia non lo so

Forse la voglia d’amare
Forse la rabbia e la violenza
Che tutti i giorni reprimo

Forse la voglia d’assoluto
O di qualcosa che valga

Canzoni tristi io sento
E musiche potenti e veloci
Di malinconie e slanci mi nutro

Entusiasmi e delusioni
Mi accompagnano
La forza della vita preme
Per entrare dentro di me

E freme il mio debole petto
Quando il mondo guardo
Da una vetta montana

Tetre poesie vorrei scrivere
E narro invece i miei sogni
Di felicità e di ragazze

Incontrate di sfuggita
Di amicizie sprecate
E di altre ormai svanite

Non più un amico in cui credi
Gli altri non ti ascoltano più
E del resto, forse,
non li hai mai ascoltati
nemmeno tu

Autunno

(03/09/81 dc)

Cadono le foglie ingiallite
E con esse i miei pensieri
D’estraneo si spargono
Sul terreno umido d’autunno

Estraneo son io, sì
Ad un mondo che preferisce
L’estate senza pensieri
Alla stagione pacata della riflessione

Estraneo mi è chi dipinge
Alberi senza foglie
Pensando alla morte e allo
Spuntar di una foglia, poi, si commuove

Io mi commuovo invece
Al calar delle foglie ed al loro
Rumore quando le calpesto
Ed alle prime gocce che scendono

Lacrime del cielo

Ricordo d’Inverno (in un giorno d’Estate)

(03/09/81 dc)

Inverno lo dicono scialbo
Inverno lo credono triste
Inverno lo dipingono grigio
Per me no

Per me è scialbo il cuore di chi lo dice tale
E triste è per quelli che vogliono
Sempre esser felici senza provare
Il fascino della malinconia

Per me è grigia la mente di
Chi non vede i suoi mille tenui colori

Inverno è rifugio ai solitari
Inverno è consolazione agli scontenti
Inverno è il letargo dei colori violenti

Nordland

(08/11/82 dc)

È come se fossi già stato
Nel luogo del mio sogno
Che sto ancora sognando
E contento ne fossi tornato

È ancora là, incontaminato
Dalla mia assente presenza
Che pure un giorno sarà
Ed io ne sono già ora beato

Ed io ci sarò
Sulle distese d’erba
Sulle ripide scogliere
Sulle nere spiagge di sabbia

Ed io camminerò
Sulle pianure di lava
Sulle brulle colline
Sulle terre ghiacciate

Ed io volerò
Sui prati senza alberi
Sui fiordi incantati
Sui pascoli consumati

Ed io li vedrò
I piccoli cavalli d’Islanda
I minuscoli villaggi
I duri, silenziosi pescatori

Sì, io li vivrò
I fantastici momenti
Del silenzio eterno
Del freddo intenso che ti prende

Del sole che non ti offende
E l’acqua calda che sgorga
Dal cuore della terra
E il freddo vento del Nord

Che non ti tradisce mai

I miei giorni trascorsi

(04/11/84 dc)

Avere trent’anni non è banale
Voltarsi indietro e rivivere
I giorni dell’infanzia
Quando ombre fantastiche
Visitavano i miei sogni

La realtà non era diversa
E i giochi spensierati erano tutto
E le avventure dei libri
Mi portavano altrove
Mentre l’infanzia già se ne andava

Credevo nell’amor di Platone
Le bianche signore dei sogni
Diventavan ragazze più mature di me
Mentre io, ancora incredulo,

vedevo la pena nella vita intorno
ho cercato nella causa di tutti
le fila per muovere il mondo
di slanci ed entusiasmi nutrito
e voglia d’amare, rabbia e violenza

da malinconie e delusioni accompagnato
ho camminato per città e campagne antiche
guardando lontano verso il destino
trovando lo spazio per pensare

ho fatto alla Luna mute domande
senza parole, inutili da pronunciare
mentre camminavo nei parchi di notte
la Luna donava il suo incanto alla neve

ho consumato strade d’incanto
assaporando la pioggia sul viso
ho incrociato la folla per le strade

le foreste di alberi m’accoglievano
mentre correvo fuggendo via
via dal frastuono e dalle grida

pochi rumori dalle case di sotto
rompevano l’armonia del silenzio
sommessamente ridevan le foglie
quando vi affondavo le gambe

più su verso il ripido sentiero
col cuore che batteva, in tumulto
mente tesa verso la vetta, ora vicina
eppur sudato, stanco e provato

qualche minuto lassù
imperatore del mondo e della vita
fino a che non dovevo tornare
dell’umana congrega ancor varcare la porta

e mentre dubbioso continuavo a lottare
ascoltavo dischi la sera
avevo in mente molte cose
e ne dicevo altre, malamente

parole tronche, frasi sconnesse
creavo poesie, canzoni e segni
tentativi di creare un assoluto

canzoni tristi sentivo
e musiche potenti e veloci
felicità di ragazze e amicizie sprecate

essere sempre continuamente
in cerca di un riferimento
cercar di parlare con chi non
sta a sentire o non vuole capire

contar solo su me e non credere a niente
crollavano miti e illusioni
tutte le certezze svanivano

e già la mia prima intuizione
cresceva e diventava la scoperta
dell’individuo e della mia strada

cominciava un nuovo ciclo
con me finalmente al centro
ancora e sempre lento il cammino

singolo e unico ora muovevo
gli stessi passi tra boschi e montagne
i miei pensieri d’estraneo cadevano
sul terreno umido d’Autunno

ed io strano mi commuovevo
alle prime gocce lacrime del cielo
in libertà condizionata dal mondo

dentro di me sentivo qualcosa
che voleva esplodere nel mondo
ma cosa fosse non lo sapevo

forse era l’evasione dalle cose di sempre
o i desideri d’impossibili avventure

eppure anch’io li ho vissuti
i fantastici momenti del silenzio eterno
e del freddo vento del Nord
che ancora non mi ha tradito

ancor ci sarò sulle distese di erba
sempre volerò sui fiordi incantati
più passa il tempo ed è vero
e certo è difficile ri-crearsi

e vivere, nonostante il mondo

Risacca

(21/03/85 dc)

Anche durante tempesta
Il mare avanza
A lambire la terra
Ma poi, stremato
Indietro deve tornare

Così anch’io mi trovo
A tornar con mani vuote
Allo stato di sempre
Dopo generosi slanci
Di uno strano ottimismo

E pur adesso sono tranquillo
Ma grandi opere mancano
Per poter dire questo io sono
Questo so fare
E reggere il confronto

Pensiero I

(30/5/87 dc)

Mi chiedo se l’amore non
sia che un attimo intenso,
struggente, che
ti sforzi sempre di
rivivere, senza mai
riuscirvi perfettamente

Amore è un gesto, un sorriso, un’espressione
Amore è un bosco, l’acqua, un animale
Amore è riuscire a ri-crearsi
e vivere, nonostante il mondo

La forza della vita

(18/08/88 dc)

Urla il mare scagliandosi
Sulle nere spiagge d’Islanda
Lasciando cristalli di ghiaccio
A sciogliersi nel lungo inverno

Così io irrompo nella vita
Lasciando piccole opere vane

I fiumi glaciali col tempo
Hanno scavato enormi canyons

Cosa potrei fare io
Anche in cinquant’anni?

I vulcani tuonando esplodono
Creano isole, lasciano il segno

Io potrei anche spaccare montagne
Non resterebbe di me neanche il nome

Pensiero II

(11/09/88 dc)

Forse tu non sei bella
Ma cosa importa quando
Le altre invidiarti dovrebbero
Per quello che sei

Fragile e tenace
Quel che pensi lo dici
Dura puoi sembrare perché
Ipocrisia non conosci

Ma anche tu piangi
Sei dolce e generosa
E forse un giorno ti dirò
Quanto sei importante per me

Pretenziosità

(12/10/88 dc)

Contro questo insano mondo
Voglio la mia libertà
La voglio fino in fondo
Un muro alla banalità

Spesso ci ricado ogni volta
Quando tento di fuggirla
Prigioniero ne sono talvolta
E vorrei tanto finirla

Finire una vita incolore
Piena solo di confronti
Continuare con un po’ di dolore
Una lotta su tutti i fronti

Essere contro il conformismo
Aggravato dall’omologazione
Finire poi nel trasformismo
Condito da rassegnazione

Spirali

(12/10/88 dc)

Non sono bravo in niente
Amore, lavoro o tempo libero
Neanche tanto intelligente
Nemmeno da pregiudizi libero

Tu mi dici “non farti menate
Qualcuno di te è anche peggiore”
Ma contando le mie giornate
E le tue tu sei la migliore

Arrivo anche a essere geloso
Di chi certo a me puoi preferire
Io, spesso cinico e noioso
A volte sceglierei di morire

Questo è certo un modo di dire
Forse stupido non ti capisco
La tua importanza mi par di capire
È ciò che a stento ora intuisco

Conclusione?

(24/10/88 dc)

Non ho scritto che ti amo
Su nessuna spiaggia
Né ho gridato di te e me
Come avrei voluto

Ciò che pensavo finisse
Appena iniziato è invece
Vissuto per breve stagione
Ma il segno ha lasciato

Tornare indietro non posso
Davanti chiaro non vedo
La mia presunzione ora dice
Che ti stai sbagliando

Sai anche tu che vorrei
Veramente fosse così
Lasciami almeno dormire con
Te accanto, semplicemente

Scordarti mi è impossibile
Saperti lontana altrettanto
Non sarò un uomo ma almeno
Sappi che sono sincero

Il sogno della foresta

(30/11/88 dc)

Sarebbe bello abbracciarti
Carezzare le tue belle braccia
Immaginandoci insieme io e te
Due animali nella foresta

Tu pernice, tu volpe, tu faina
Corri attraverso il bosco
Ed esci nella radura
Dove il Sole dà la sua forza

Io, sonnolento castoro,
non posso darti lezioni
di spada e di coraggio
e me ne sto nel folto

posso però portarti
paziente come un tasso
nei labirinti ombrosi
del nostro inconscio

dove ombre e luci
ravvivano il cammino
e sulle rive del torrente
bearmi con te di questo incanto

Voi

(settembre 1997 dc)

Tutti voi, ipocriti e moralisti,
gente perbene e pia, dalla
lunghissima coda di paglia
che non smettete mai, per carità,
la vostra giacca e cravatta

voi, che siete contro l’eutanasia
in nome della vita “che è sacra”
ma non vi importa se è di un vegetale
che soffre, lui e i suoi cari
e che non può deciderne e disporne

voi, medici e tutti quanti gli altri
obiettori di coscienza ma solo
negli ospedali pubblici, che poi
mammane nei vostri studi privati
a suon di milioni ve ne fregate

voialtri, politici e industriali,
corrotti fino al midollo come sempre
che predicate tagli e tasse per tutti
ma non per voi, che continuate
a fare sempre più sporchi soldi

voi, che siete contro gli “sprechi”di
pensioni e stipendi, per il “bene del Paese”
non pensate mai a tagliare i vostri
che non meritate, che avete rubato,
che non vi spettano, su cui speculate

voi, maledetti integralisti tutti,
cattolici, mussulmani, ortodossi, ebrei,
la cui religione gronda del sangue e
delle sofferenze di tutti quelli che
avete bruciato, ucciso, torturato, perseguitato

vi detesto, ma non basta, io vi odio,
si, proprio, vi odio mortalmente

voi, che in nome della vostra “morale”
predicate tolleranza e che invece
costringete alla vergogna e al silenzio
omosessuali, lesbiche e tutti quelli
che non considerate “normali”

se tanto ne vogliamo parlare
la vostra normalità fa proprio schifo
è ributtante, vergognosa e squallida
e se devo scegliere allora non ho dubbi
“normale” preferisco non essere

voi, sindacalisti fasulli e di regime,
che fate i “consulenti” dell’Azienda,
che da anni tradite anche i vostri iscritti,
che parlate di democrazia a vostro comodo
non meritereste neanche due righe

voi, “lavoratori” che sguazzate nel fango
che a parole contrastate, che fate sciopero
quando vi conviene, tanto non ci siete più
costretti dai picchetti “antidemocratici”
che ormai da tempo non si fanno più

siete anche gli stessi che non scioperavate
ma per una legge “democratica”
godevate di tutte le sudate conquiste
sul lavoro, a scuola, nella sanità,
nella previdenza e in tutto il resto

tutto questo è da anni che viene
attaccato, sminuzzato, delegittimato
da padroni, politici, economisti e sindacalisti
e anche dai lavoratori che hanno detto SÍ
a quel referendum ignobile e meschino

voi, stalinisti beceri e assassini
che per ignoranza e malafede
vi ritenete i veri comunisti
siete complici e corresponsabili
dei crimini compiuti in novant’anni

e anche voi, che vi definite leninisti
puri e immacolati, che prendete
le distanze da quegli “esaltati” di
trotzkisti, ritenendovi nel giusto
non siete esenti dalle colpe

degli indifferenti per quieto vivere
di quelli che opportunamente
non prendono mai posizione
lasciando nei fatti che persone oneste
e coraggiose ne soffrano e muoiano

voi, maoisti fanatici e idioti,
che siete talmente scarsi di personalità
che dovete copiare i modelli degli
altri e riproporli senza la minima critica
e spacciate uno sterminio per rivoluzione

e voi, impiegati squallidi e mediocri,
che avete una lunga e sporca lingua,
che continuate a lavorare, vecchi e stanchi
perché siete vuoti dentro, senza interessi
siete dei vermi, buoni solo da schiacciare

sempre gli stessi, favorevoli ai sacrifici,
gregari per natura e lacchè per vocazione,
moralisti, carrieristi, pudibondi servi
del sistema e dei superiori, che applaudite
ai bersaglieri, al papa e all’autorità

vi detesto, ma non basta, io vi odio,
si, proprio, vi odio mortalmente

e voi, miseri e meschini “professori”,
che tanto blaterate contro la genetica
che “va contro la vita, dataci da Dio”
lo stesso Dio che, pur non esistendo,
rinnegate in ogni istante del giorno

ma non vi scandalizzate che
ultrasessantenni diventino madri,
che in Italia e nel mondo siamo troppi,
stretti, uno sull’altro ma no, se no
chi pagherà le pensioni?

no, non bisogna limitare le nascite,
che ne sarà degli asili, delle scuole?
E invece, dico io, come faranno a esserci
disoccupati, sottopagati, precari e saltuari
da circuire con frottole di preti e politici?

tutti quanti voi, bastardi e imbecilli,
idioti e teppisti, violenti e masochisti,
non vi si può certo cambiare, no non si può
siete senza dignità, senza fede, senza carattere,
potete solo essere sterminati: siete inutili e dannosi

con voi non si può discutere: siete ottusi
a voi non si può insegnare: siete presuntuosi
a voi non si può chiedere: siete avidi
a voi non si può dare: siete irriconoscenti
vi si può solo comandare: siete dei servi

bisognerebbe solo sperare che venga una
guerra che porti via solo voi, che siete tanti,
purtroppo, e prolifici, e che non tocchi gli
altri che rimangono, non certo perfetti,
non certo immacolati, non certo infallibili:

spero io, sempre, essere tra questi

Io non credo

(Marzo 1999 dc)

Io non credo nei vostri illogici cristi
io non credo nei vostri stupidi riti
non credo in voi, fanatici
mussulmani, cristiani ed ebrei
nei vostri ipocriti codici morali
nelle vostre criminali guerre di religione
non credo in voi, bigotti e preti
non credo in voi, moralisti e chiavi

io non credo
io non ci credo
io non sono credente
io non credo

io non credo nei vostri illogici cristi
io non credo nei vostri stupidi riti
non credo in voi, ipocriti
non credo nelle madri di Calcutta
non credo nelle vostre affamate salvezze
con soluzioni senza reale cambiamento
non credo nelle vostre vuote meditazioni

io non credo in voi, soldati e papi
io non credo in voi, capi e giudici

Attraverso

(19/11/2007 dc)

Tutti gli altri hanno freddo
Io esco apposta di casa
Con la neve o con la pioggia

Faccio le foto agli alberi
Chini sotto la coperta bianca
Mi prendono per pazzo
Ma non me ne curo

Nei boschi cammino piano
I fratelli coi rami mi approvano
Fosse vero, mi basterebbe

La pioggia mi scorre attraverso
Dietro di me le sento
Vita e Verità litigano

Si disputano la mia mente
Chissà se un giorno, forse
Qualcuno le pagherà
Non hanno fatto un buon lavoro

Ira e Rabbia si nascondono
Aspettano di sorprendermi
È da anni che mi seguono
Riesco sempre a seminarle

La prossima radura mi aspetta
Mi siederò sopra un masso
Come al solito aprirò un libro
Leggerò e ascolterò il silenzio

Acquaviva

(28/8/2009 dc)

Tramontana si infila dal monte
giù per l’insenatura
e il mare, rivolto alla Grecia,
è limpido e tranquillo
il sentiero a gradoni porta
salendo alla strada
in una “foresta amazzonica”
così come la videro
gli occhi di un bimbo

uomini e donne d’ogni età
con timore o spavalderia
si tuffano dagli scogli
è facile ascoltare
seduti all’ombra
parole di gruppi e coppie
e pianti e urla e risate
e immaginare in questo caos
vite amori felicità e tristezze
unite tutte insieme
dal mare dal sole dal vento
come succhiate da chi ascolta
all’ombra di alberi fratelli

Silenzio

(13/7/2015 dc)

Il frinir delle cicale
sovrasta il rumor delle onde
mentre la lucertola immobile
prende vita dal sole

i pini del mare si muovono
tenui al moto di Tramontana
origano e malva si mischiano
e il calore ferma ogni cosa

Volontà e Coscienza
nulla possono fare
il fragoroso Silenzio sempre
vince il silenzioso Pensiero