La legge di Murphy

2 Ottobre 2023 dc, dal sito Hic Rhodus, articolo del 24 Giugno 2023 dc:

La legge di Murphy

di Claudio Bezzi

Prima legge di Murphy: se qualcosa può andar male, lo farà.

Sarà l’età che avanza, sarà che non ci sono più le mezze stagioni, o il caldo che mi annichilisce, ma trovo impossibile qualunque prospettiva ottimistica in merito alla nostra società.

Vi propongo uno screenshot dall’HuffPost del 23 giu 2023, ore 12: 

Taglio medio, che le notizie importanti, in questa giornata, sono tutte miserabili: dalle posizioni della Lega sul MES alla questione Santanché, alla telenovela Schlein (pensate voi: quelle sono le notizie principali, con taglio alto!).

Concentratevi invece su quel riquadretto con le sue sei notizie buttate lì tutte assieme, subito dopo la Santanché. Come dire: “Caro lettore, ci sarebbero anche queste bagattelle qui, se hai voglia di darci uno sguardo, ma vedi tu…”.

Qui abbiamo, in ordine: un ulteriore giro di vite sul controllo personale delle persone (a fin di bene, a fin di bene…); la dimostrazione che un cruciale partner della Nato è un bandito; i neonazisti in Germania (in realtà la questione è diversa e il titolo è allarmistico ma, insomma…); la dimostrazione che il popolo (in questo caso britannico) non capisce nulla e si fa intortare dai demagoghi di turno; un ennesimo indizio che c’è del marcio a Bruxelles; e infine la guerra bestiale che – diciamolo – dopo più di un anno ci ha rotto i coglioni quindi merita al massimo questi richiami da seconda o quarta pagina.

Io vedo – tutto assieme – questo cumulo di tragedie, e non riesco a considerarlo come occasionale coincidenza di piccole cose, un po’ fastidiose davvero, ma forza, dai, domani andrà meglio. 

Poiché una delle mie fissazioni, con la quale tormento i lettori di Hic Rhodus da un decennio, è che la crescente complessità sociale è diventata, semplicemente, ingovernabile, ecco che mi è tornata in mente la prima legge di Murphy, che vi ripropongo  con un po’ di orpelli sociologici in questa formula:

La società umana, diventata ingovernabile a causa dell’esplosione sistemica della complessità sociale, finisce col resistere o col cedere, col progredire o col regredire, in modo sostanzialmente imprevedibile e non controllato, e quindi è inevitabile che le cose vadano male; prima qui e là, a caso; poi in maniera più rilevante; poi in maniera disastrosa.

La gente è ignorante (perché?) e si fa imbrogliare da politici mascalzoni (perché?) e vota la Brexit che poi si ritorce contro gli stessi che semmai danno la colpa agli alieni. Erdogan spara su un popolo di cui non ci frega nulla, ma le ricadute politiche, e quindi geopolitiche ed economiche, alla lunga si faranno sentire anche se non collegheremo le vicende. La guerra è impantanata e non può che congelarsi a tempo indeterminato, oppure crescere con un’escalation dagli esiti imprevedibili. I giochini della Lega (o della Schlein) producono danni irreversibili al benessere del popolo italiano che, semplicemente, non lo sa.

Una boiata qui, una manipolazione là, un errore di valutazione oggi e una conseguenza imprevista domani, il mondo va verso una catastrofe.

Che frase sciocca! Avevo 20 anni, o poco più, quando il Club di Roma faceva previsioni catastrofiche, eppure siamo ancora qui, no? E abbiamo tutti più reddito, più sicurezza, più diritti Lgbtqfrhj+++…

Eppure non è così. Abbiamo più reddito ma il divario fra ricchi e poveri è diventato gigantesco. Viviamo più a lungo solo per ammuffire davanti alle serie Netflix. Abbiamo meno diritti sostanziali e assai più di quelli fasulli, demagogici, incapaci di cambiare realmente le nostre vite. Siamo più sicuri ma enormemente più controllati. Greta Thunberg ci ha sfracellato i zebedei ma non mi direte che non vi siete accorti che il pianeta non gode di buona salute?

Ultimamente cammino molto. Abito in una bella zona collinare e ho scoperto fantastici sentieri fra i boschi. Pieni di spazzatura. A parte il danno irreparabile per il mio umore, ho fatto un semplice calcolo: poiché un mozzicone di sigaretta pesa circa 1/4 di grammo, e i fumatori sono – pare – 1,1 miliardo, se ogni giorno il 10% di costoro butta un mozzicone per terra, il conto è presto fatto: ogni giorno abbiamo, nelle strade e nei boschi del pianeta, 275.000 chili di mozziconi che impiegheranno dai 10 ai 30 anni per dispersi nell’ambiente. 275.000 oggi, 275.000 domani…  Adesso aggiungete le bottigliette d’acqua, le confezioni di Estathé, le lattine di Coca Cola e tutto il resto (ieri ho raccolto un paio di vecchi pantaloni sulle rive di un ruscello. Sì, io passeggio con una busta e raccolgo l’immondizia).

Non c’è gara. Siamo già sconfitti. La legge di Murphy ce lo dice: se un cretino che fuma (Nota mia: che strano, quello che fuma è un cretino, gli altri no. Mi sembra una faziosa antipatia per i fumatori, non giustificata dal livello di Hic Rhodus) (un giovane che beve Coca Cola, un bambino che succhia Estathé…) può buttare per terra la sua cicca, probabilmente lo farà. In città, forse, qualcuno spazza. Nei boschi no.

È una metafora, lo capite no? No? Se un cittadino può esercitare il suo diritto politico votando il peggiore (quello che lo danneggerà oggettivamente), probabilmente lo farà (prima però viene: se l’assetto politico nazionale può esprimere i meno adatti, probabilmente lo farà: a breve negli Stati Uniti vedremo le presidenziali con Trump contro Biden…). Se un pazzo può andare al potere e governare un arsenale atomico diabolico, probabilmente succederà (oops, è già successo, è ora!)… 

Non c’è niente fare. Se può andare storto, lo farà. Più prima che poi.

Più atei, meno laicità

3 Maggio 2023 dc, dal sito MicroMega, articolo del 2 Gennaio 2023 dc:

Più atei, meno laicità

Più atei, meno laicità: la libertà di credo e di non credere minacciata dall’autoritarismo

Il Report sulla libertà di pensiero 2022 denuncia l’aumento di persecuzioni rivolte agli atei nel mondo. In Italia l’Uaar avverte del rischio che il nuovo governo pone al principio di laicità.

di Michela Fantozzi

Nel 2022 la libertà di pensiero e di religione è diminuita ancora, nonostante gli atei e gli agnostici siano in crescita.

Lo afferma il Report sulla libertà di pensiero (Freedom of thought report (Fotr) Key Countries Edition) una pubblicazione annuale con focus particolare sulla libertà religiosa e sulla libertà delle persone non credenti. Il report è realizzato dal lavoro di diverse associazioni affiliate a Humanists International, organizzazione composta da 150 gruppi umanisti e non religiosi da tutto il mondo, e da diversi ricercatori che, anche in forma anonima, ogni anno esaminano il grado di libertà di coscienza e di fede degli Stati, prendendo sotto esame diversi fattori, dalla persecuzione della blasfemia alle discriminazioni nei conforti di chi non crede e non praticare la religione su base giornaliera.

Secondo il rapporto, la religione è diminuita del 9% e l’ateismo è aumentato del 3% tra il 2005 e il 2012, una tendenza che dipende fortemente dall’aumento del livello di scolarizzazione e dal reddito percepito.

In alcuni Paesi è illegale essere, o identificarsi come, un ateo. Molti altri Paesi vietano di lasciare la religione di stato. Sono 10 i Paesi in cui la pena per l’apostasia, ossia l’abbandono formale e volontario della propria religione, è spesso la morte: Afghanistan, Malesia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Iran. Quest’ultimo da mesi attraversato da ribellioni e manifestazioni civili proprio contro le imposizioni religiose e a favore della libertà delle donne.

Tra le discriminazioni più comuni contro gli atei si possono trovare varie sanzioni, tra cui l’esclusione dal matrimonio e la limitazione delle posizioni amministrative. Per esempio, in Ungheria, il rapporto denuncia come i richiedenti asilo di fede cristiana ricevano un trattamento di favore rispetto ai richiedenti di qualsiasi altra religione.

Sul Fotr del 2022 si è espressa anche l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar), che nel comunicato stampa del 9 dicembre dichiara:

“Soltanto il 4 per cento della popolazione globale vive in società davvero laiche […]. Per contro il 70% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui manifestare il proprio pensiero ateo o agnostico comporta vari livelli di repressione e dove la piena realizzazione del proprio diritto alla libertà di religione e dalla religione è letteralmente impossibile”.

Giorgio Maone, responsabile relazioni internazionali dell’Uaar, ha dichiarato:

«Ormai all’undicesima edizione del report possiamo rilevare una tendenza preoccupante: alla progressiva e inevitabile secolarizzazione delle società, nelle quali non credenza, cultura dei diritti umani e valori umanisti si diffondono inesorabilmente, corrisponde purtroppo una forte reazione conservatrice a livello politico, con iniziative tese a restaurare dall’alto l’influenza della religione nella sfera pubblica e privata, riducendo l’autodeterminazione personale».

Sull’Italia afferma: «L’Italia, la cui laicità è costituzionalmente sancita, ma al contempo viziata dal Concordato e della presenza strabordante del Vaticano nei media e nel discorso politico, negli anni è comunque progredita nei diritti laici soprattutto, lo affermiamo senza falsa modestia, grazie al lavoro della nostra associazione. Un lavoro però tutt’altro che terminato, e già le prime dichiarazioni di esponenti del nuovo governo ci inducono a moltiplicare gli sforzi per non tornare protagonisti in negativo delle prossime edizioni del Fotr».

Roberto Grendene, segretario nazionale Uaar ha commentato:

«Il report di quest’anno non mette sotto la lente d’ingrandimento l’Italia, ma possiamo assicurare che il nostro Paese ha conservato se non peggiorato la penosa posizione dello scorso anno, con una colorazione rossastra nella mappa complessiva elaborata da Humanists International, che la colloca a metà strada tra le discriminazioni severe e quelle sistemiche della libertà di pensiero. Basti pensare ai 26mila insegnanti di religione cattolica scelti dal vescovo e pagati dallo Stato, alla piaga degli obiettori di coscienza nei reparti di ginecologia della Sanità pubblica, alle norme che tutelano il “sentimento religioso” condannando a sanzioni amministrative i “blasfemi” e prevedendo addirittura il reato di vilipendio. E col nuovo esecutivo e la nuova maggioranza parlamentare il rischio concreto è vedere sprofondare ulteriormente l’Italia nella classifica del Fotr».

Italia, il Paese della gente triste

7 Aprile 2023 dc, dal sito La Bottega del Barbieri, articolo del 16 Dicembre 2022 dc:

Italia, il Paese della gente triste

di Mariano Rampini

Malinconia accompagnata dalla mancanza di stimoli e dal desiderio di migliorare. Quasi che il destino dell’Italia sia di «finire con un lamento». Un quadro niente affatto confortante quello che il Censis dipinge nel suo Rapporto 2022 sulla situazione sociale del Paese.

Il Bel Paese: una favola? Italiani brava gente: un’altra fiaba? Le favole, si sa, hanno quasi sempre un lieto fine. Ma quella che ha come protagonista il nostro Paese è una di quelle che – per usare le parole del Vate (Nota mia: Giacomo Leopardi nella sua poesia A Silvia) – «…ieri ci illuse…» e oggi continua a farlo. Perché le fiabe a un certo punto si scontrano inevitabilmente con la realtà. E se la realtà è quella dei numeri della statistica, la disillusione è ancora più cocente.

A estrarli dal cilindro magico è stato ancora una volta il Censis. Che si è assunto questo doloroso compito da più di cinquant’anni presentando sempre nel mese di dicembre il proprio Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese. (https://www.censis.it/)

Una fotografia da molti anni in bianco e nero, con poche, pochissime sfumature di grigio. Basta scorrere i titoli dei Rapporti degli ultimi anni che ci presentano un’Italia «Irrazionale», «Una ruota quadrata che non gira», in preda a un inconsulto «Furore di vivere». Oppure a un «sovranismo psichico» tinto di cattiveria. Sembra quasi che questi numeri siano la rappresentazione di un un’ombra cupa che si stende in ogni angolo di quello che fu, e avrebbe potuto continuare a essere, il Paese del sole.

Quest’anno la musica non cambia, anzi peggiora. L’esterno – quel mare sconosciuto e infido che tanti temono – è entrato di prepotenza nelle nostre case. Prima la pandemia con il suo corollario di incertezze, dubbi, paure, insicurezze. Poi è giunta anche la guerra e non sono pochi coloro che credono di ascoltare da lontano il galoppo furibondo dei quattro cavalieri dell’Apocalisse. Un numero per tutti: 61%. Questa l’altissima percentuale, secondo le rilevazioni del Censis (in verità mai smentite nel lungo arco di tempo in cui i suoi ricercatori hanno lavorato) degli italiani che temono il deflagrare di un nuovo conflitto mondiale. E ancora: si ha paura (59%, ben più della metà dei nostri concittadini) del ricorso alle armi nucleari. Pochissimi di meno (il 58%) coloro che pensano a un’entrata in guerra dell’Italia.

La storia ‒ pardon, la Storia ‒ è entrata nelle nostre case, ci ha messi dinanzi a una realtà che solo pochi (ahimè) ricordano. Cosa succede allora? Che le richieste degli italiani non cambiano: sicurezza (nel lavoro, nella cura della propria salute), maggiore equità sociale. Come se bastasse la bacchetta magica sventolata come propaganda elettorale, per assicurare a tutte e tutti un futuro migliore. Ma sembra scomparsa ogni tensione ideale. Anche quella ‒ di per se stessa negativa ‒ del populismo. Non ci sono reazioni forti, voglia di ribellione, desiderio di agire per cambiare. Su tutti si è stesa una coperta livida di disillusione che conduce – il Rapporto Censis è chiaro su questo punto ‒ alla malinconia.

Il post-populismo

Non che manchino le richieste di un miglioramento delle condizioni di vita (reali, non come quelle che, ricorda il Censis, sono evocate da qualche “leader politico demagogico”). Ma sono voci sommesse. Con una punta di disperazione: i ricercatori presentano un dato che fa tremare le vene ai polsi. Il 92% degli italiani pensa a un’inflazione capace di durare a lungo. Una larghissima fetta di popolazione (siamo ben oltre il 70%) teme che non potrà contare su significativi aumenti delle proprie entrate. Ne deriva la paura di un’ulteriore diminuzione del tenore di vita: lo temono quasi il 70% degli intervistati e la percentuale sale a sfiorare l’80% in chi ha già un reddito basso. La propensione al risparmio (una delle voci in genere considerate positive da più di un’indagine statistica) sembra essere scomparsa: il 64,4% ha già cominciato a intaccare le proprie riserve economiche (Nota mia: non è che manca la propensione al risparmio, è che le difficoltà costringono ad intaccare i propri risparmi!).

Da qui il nodo gordiano che stringe alla gola il nostro Paese. Le diseguaglianze, qualcosa che gli italiani dichiarano di odiare. Differenze eccessive tra retribuzioni dei dipendenti rispetto a quelle dei dirigenti (87,8%), buonuscite milionarie dei manager (86,6%), tasse poche e mal pagate dai giganti del web (84,1%), facili guadagni degli influencer (81,5%), sprechi per feste e mondanità delle “celebrità” (78,7%), uso dei jet privati (73,5%). Insomma un insieme di elementi che sembrano tutti contrapporre un esercito di meno abbienti a una minoranza di “ricchi” – senza virgolette è più vero – sciuponi.

Il fattore che però deve indurre a una profonda riflessione chiunque intenda farsi portavoce di queste rivalse è che vengono pronunciate con acrimonia ma senza mostrare alcuna vera volontà di riscatto.

Non c’è desiderio di conflitto, di mobilitazioni collettive (di ogni tipologia dagli scioperi alle manifestazioni di piazza). Gli italiani appaiono spenti, incapaci di reagire. Malinconici. Appunto: veri e propri «cittadini perduti della Repubblica».

Una prova? Quella delle ultime elezioni dove 18 milioni di italiani (all’incirca il 39% degli aventi diritto al voto) hanno scelto di non votare (astensioni, schede bianche o annullate, rileva il Censis), di non esprimere il proprio scontento attraverso l’unico vero strumento che la democrazia mette nelle loro mani. Fra il 2018 e il 2022, questo esercito silenzioso e malinconico è cresciuto di oltre quattro milioni di unità.

Una malinconia profonda, figlia dell’incertezza, facile a diffondersi in un Paese dove punti di riferimento reali mancano. Quelle che non mancano sono le promesse elettorali mai mantenute. E, soprattutto una sorta di stanchezza mentale che non induce più nessuno a pensare di cambiare le proprie sorti attraverso forme di sacrificio. In sostanza gli influencer possono dire ciò che vogliono ma una fetta larghissima del campione (oltre l’83%) non ha intenzione di seguirne le indicazioni. I prodotti di prestigio non attirano più di tanto (lo dichiara il 70 e passa per cento). Né tantomeno lo fa la moda (torniamo ben sopra l’80%). Soprattutto, poi, da segnalare come il 36% sia disposto a dedicarsi al lavoro per “far carriera” e magari guadagnare di più.

Insomma tirando le somme il Censis rivela come un’alta percentuale ‒ ci si avvicina al 90%, quindi davvero alta ‒ di italiani, dinanzi al susseguirsi di eventi non controllabili (pandemia, guerra, crisi ambientale) provi tristezza, malinconia, incapacità di affrontare questioni di molto superiori a quell’«io» che aveva dominato l’ultimo decennio. Quasi che ci si sia andati a schiantare contro un muro insuperabile. Quello della realtà. Il muro dell’essere cittadini di un mondo dove quei cavalieri a cui si accennava in precedenza galoppano indisturbati da sempre.

Molti, moltissimi i dati che fornisce il Rapporto. Un volume che ogni politico del nostro Paese dovrebbe portare con sé nella propria borsa (firmata?). E consultare prima di assumere qualsiasi decisione che possa influenzare i comuni destini.

La sicurezza sanitaria, ad esempio. Un 53% del campione teme la non autosufficienza e l’invalidità. Con loro ci sono gli italiani che hanno paura di perdere il lavoro (47,6%) o di subire incidenti o infortuni (43,3%) sempre sul lavoro. O di non poter disporre di redditi sufficienti in vecchiaia (ben più del 47%). E non manca la paura diffusa verso l’assistenza sanitaria: il 42% esprime i propri timori per la necessità di pagare di tasca propria eventuali, «impreviste» emergenze di salute.

Qui si innestano altri numeri. E danno poco conforto ma, al tempo stesso indicano con precisione dove dovrebbe agire la mano del governo o dei governi che seguiranno all’attuale.

La povertà invisibile?

A cominciare dalla povertà. Già, perché in Italia esistono famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta (un valore che oscilla e che è comunque legato al rapporto fra la composizione familiare e la possibilità di acquisto dei prodotti di un “paniere” di beni essenziali: cibo, medicine ecc. – NDR). E non è un fenomeno marginale. Il Rapporto Censis (supportato in questo anche dai dati dell’Istat e della Caritas) cita un numero che fa rabbrividire: 1,9 milioni di famiglie cioè 5,6 milioni di persone, dunque 1 milione in più rispetto al 2019. Buona parte di esse (il 44,1%) risiede nelle Regioni del sud.

Cosa si fa per loro? Si parla di lavoro, di assistenza? Si possiede una percezione esatta delle loro necessità? E, soprattutto quali possibilità vengono offerte per uscire da questa tragica posizione? Come potranno inserirsi nel mondo del lavoro i tanti giovani tra i 18 e il 24 anni che sono usciti dal sistema di «istruzione e formazione»? Già, perché il problema della povertà è anche questo e i numeri sono impietosi soprattutto nel confronto europeo. In Italia la dispersione scolastica interessa, a livello nazionale il 12,7% di questi giovani nelle regioni del Sud, contro una media europea che si arresta al 9,7%.

Nella Ue c’è una quota di 25-34enni diplomati pari all’85,2%. In Italia si scende al 76,8% (71,2% nel sud). Non basta: anche i laureati, cioè quella parte di giovani che potrebbero inserirsi più facilmente nel mondo del lavoro sono pochi rispetto al resto d’Europa. La percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario raggiunge quota 26,8% in Italia (20,7% al sud) rispetto a una media europea ben più alta pari al 41,6%.

La sanità è davvero per tutti?

Abbandoniamo in chiusura il Rapporto Censis restando nel campo dei numeri. Questa volta a gettare luce sulle ombre dell’assistenza sanitaria (troppe, davvero troppe) è un altro Rapporto, quello curato dall’Opsan, l’osservatorio sulla povertà sanitaria (https://www.opsan.it/) che è l’organo di ricerca della Fondazione Banco Farmaceutico, onlus creata nel 2008 ma già operante fin dai primissimi anni del secolo.

Cosa ci mostra quest’altra indagine? Che nel 2022 sono state 390 mila le persone costrette a ricorrere a svariate realtà assistenziali per potersi curare. Si torna a parlare di povertà assoluta confermando i dati Censis e aggiungendovi quello relativo alla “povertà sanitaria”.

Il Servizio Sanitario Nazionale, in sostanza, lascia fuori della porta ‒ nonostante la sua impronta universalistica ‒ moltissimi cittadini. Nel Rapporto Opsan si legge che: «nel 2021 (ultimi dati disponibili) il 43,5% (cioè 3,87 miliardi di euro) della spesa farmaceutica è stata pagata dalle famiglie (+6,3% rispetto al 2020), con profonde differenze tra le possibilità di quelle povere e quelle non povere».

In sostanza gli indigenti hanno a disposizione pro capite 9,9 euro mensili contro i 66,83 euro di chi indigente non è. Restando nel solo campo dei farmaci la quota a disposizione dei meno abbienti è pari a 5,85 euro mensili contro i 26 euro di chi dispone di maggiori entrate.

In sostanza, il 60% della spesa sanitaria di chi vive in povertà finisce in “emergenze” mentre le famiglie con maggiori risorse destinano il 38%.

Perché avviene questo? Per un meccanismo perverso ‒ figlio dei tanti tagli subiti nel tempo dall’assistenza farmaceutica del Ssn ‒ non esiste copertura per i cosiddetti farmaci Otc, quelli «da banco»: si è creata così una vera e propria frattura tra coloro che sono sotto la soglia di povertà e coloro che, invece, ne sono al di sopra.

Aumentano anche le diseguaglianze tra le fasce più ricche della popolazione e quelle medio-basse: nel 2021 a ridurre le spese sanitarie a loro carico (la rinuncia riguarda in generale le visite mediche e gli accertamenti diagnostici periodici) sono stati oltre 4 milioni e 768 mila famiglie (pari a quasi 11 milioni di persone). Di queste, neanche a dirlo, 1 milione e 884 mila persone vivono sotto la soglia della povertà assoluta.

L’elenco dei numeri presentati è certamente lungo. E i numeri, si sa, non destano simpatie perché spesso impediscono repliche demagogiche. Però pensare di ignorarli o, quantomeno, di nasconderli sotto un tappeto, per spostare l’attenzione degli italiani verso problematiche ‒ l’immigrazione in particolare, quella che molti definiscono invasione ma che tale non è e che a conti fatti contribuisce in maniera fattiva al benessere nazionale (articolo) ‒ destinate ad usum delphini (Nota mia: il link alla voce in Wikipedia che spiega l’uso di questa espressione in latino) e solo a quello, è un peccato mortale. Soprattutto perché fomentando paura e insicurezza, si colpiscono al cuore la speranza, il desiderio di riscatto, la dignità e il desiderio di vivere delle persone. Si lascia loro, insomma, solo un’esistenza malinconica. E non dovrebbe essere questo il destino di un Paese.

La malvagità

Da Hic Rhodus 8 Marzo 2021 dc:

La puntata 11. di un dossier (annunciato in) 10 punti da titolo Pensare la Democrazia nel Terzo Millennio

La malvagità

di Redazionerhodus

11. La malvagità esiste come conseguenza di un cattivo funzionamento di uno dei punti precedenti. Solitamente è conseguenza di stupidità e ignoranza, ma nei casi necessari la società ha il dovere di risolvere alla radice, e velocemente, la causa del male. Non voglio disconoscere anche una causa “organica” al male: ormai sappiamo che il cervello è una sorta di laboratorio chimico produttore di ogni stato d’animo, e possiamo anche immaginare una veramente esigua minoranza di individui che fanno il male per un problema, forse irrisolvibile, di carattere organico; oppure – se rifiutate questo approccio organicista – individui che fanno il male per un irrecuperabile mostruoso trauma infantile. O quello che vi pare. Ciò che intendiamo dire è questo: poniamo pure (non ci interessa) che ci sia un’infima percentuale di persone pericolose e malvagie che, per una qualunque ragione, sono irrecuperabili. Tutte le altre persone che fanno del male – questo sosteniamo – lo fanno solo per una delle seguenti ragioni: perché stupide, perché ignoranti, perché costrette, o per un insieme di queste cause.

11.1 Le eventuali persone malvagie irrecuperabili, ammesso e non concesso che si possa dimostrare che sono irrecuperabili, vanno messe in condizione di non nuocere alla società; decidete voi come ma qui smettiamo di interessarci al loro destino. Poiché però non crediamo ci sia accordo sull’irrecuperabilità degli individui malvagi, crediamo che i) ce li dobbiamo tenere e ii) ci dobbiamo nel contempo proteggere, nel mentre iii) cerchiamo forme adeguate di recupero (con farmaci, terapie psicologiche, esperienze rieducative…). Il punto centrale è la difesa della società. Se ci dobbiamo difendere dagli stupidi e dagli ignoranti dobbiamo anche identificare, isolare rendere innocui i malvagi considerati irrecuperabili o dei quali ipotizziamo, auspichiamo un recupero. Una giustizia giusta a protezione della collettività, con braccia investigative adeguate, è evidentemente imprescindibile in una società razionale e democratica. Lasciar correre, non investire in sicurezza, abbandonare le periferie allo spaccio e alla prostituzione, lasciare impuniti crimini odiosi, è il modo migliore per favorire reazioni populiste, giustizialiste, e infine antidemocratiche.

11.2 Alla malvagità derivante dalla stupidità e dall’ignoranza si contrappone una lotta alla stupidità e all’ignoranza, essendo la malvagità semplicemente una loro conseguenza.

11.3 C’è anche la malvagità indotta dalla necessità. Non il banale rubare perché si ha fame (questa non la chiameremmo malvagità) ma perché circostanze della vita ti hanno condotto in luoghi malvagi, e in seguito hai dovuto assuefarti ad essi, per sopravvivere. Crediamo che l’esempio più chiaro riguardi molti immigrati che diventano preda di cosche mafiose, di racket, di malfattori. Dubitiamo che questi migranti abbiano scelto di venire in Italia per delinquere; ma il loro destino si è incontrato con uno Stato assente, distratto, pauroso dell’opinione pubblica, semmai punitore a vanvera. Abbandonati a loro stessi, senza speranze e senza possibilità di costruirsi un progetto di vita, molti di questi finiscono per compiere azioni che probabilmente non avrebbero voluto, in circostanze migliori, e quindi – complice anche l’ignoranza, perché no? – possono compiere delitti che turbano l’opinione pubblica, in un circolo vizioso che produce solo più emarginazione e più dolore.

11.4 Uno stato democratico, intelligente, razionale, promuove la rimozione delle cause che possono creare stati di necessità e deriva malavitosa. In generale il proibizionismo e ogni legge liberticida inducono conseguenze malavitose e tendenzialmente violente. Queste leggi creano consenso perché inducono paura; la paura dei migranti violenti viene combattuta con leggi antimigranti assolutamente inefficaci che portano molti di costoro a delinquere, e ciò induce taluni a indicare, in tale delinquere, la necessità di quella legge. Così in tema di droga. Così in tema di aborto e fine vita. Così in tutti i temi sociali in cui, anziché una risposta sociale (economica, educativa…) si punta a una cieca e stolida repressione, che intasa inutilmente il lavoro dei magistrati e sovraffolla le galere, in una spirale discendente dove le vittime sono anche quelle finite nelle maglie di una giustizia ingiusta [Cap. 8].

11.5 Combattere le ingiustizie, abolire le leggi proibizioniste, ripensare all’immigrazione, non sono temi “di sinistra”, né temi “giusti” sotto il profilo morale, ma semplicemente comportamenti logici, razionali, di efficacia e pace sociale. Abolire le ingiustizie significa limitare la povertà, l’umiliazione, l’ignoranza, l’emarginazione, e quindi diminuire il malaffare, la violenza, l’insicurezza sociale e, di conseguenza, migliorare la convivenza e le fortune del nostro Paese. È naturalmente una cosa splendida che associazioni filantropiche si occupino di senzatetto, emarginati e immigrati, ma è lo Stato che deve essere l’attore principale delle rimozione delle ingiustizie proprio per la visione democratica che deve avere, cioè una visione di pace e armonia sociale, capitale sociale correttamente impiegato, efficacia ed efficienza dei meccanismi sociali, protezione dei diritti degli individui e, in conclusione, un migliorato livello di benessere per tutti.

L’ignoranza

Da Hic Rhodus 2 Marzo 2021 dc:

L’ignoranza

La puntata 10. di un dossier in 10 punti da titolo Pensare la Democrazia nel Terzo Millennio

10. L’ignoranza è sempre eversiva. Se non causata dalla stupidità, l’ignoranza è il secondo enorme male sociale dal quale occorre difendersi ma, al contrario della precedente, l’ignoranza può essere sconfitta dall’istruzione, dall’esperienza, dalle buone relazioni sociali. Una società felice mette a disposizione dei suoi cittadini ogni occasione per combattere l’ignoranza.

10.1 Moltissimi stupidi sono anche ignoranti, ma ricadono completamente in quanto già scritto [Capitolo 9].

Qui trattiamo quindi l’ignoranza dovuta a scarsa educazione, limitata scolarizzazione, mancanza di occasioni di esperienza, di viaggio, di relazioni sociali vivificanti. Sono tantissimi i borghi, i paesini, le periferie dove persone di modesto livello sociale crescono figli che non possono frequentare scuole, non hanno mai viaggiato, crescono fra quattro mura e i soliti dieci amici altrettanto deprivati.

Questi ragazzi non sanno, non conoscono, strutturano i loro schemi mentali in forma primitiva e rigida, e ovviamente cadono facilmente preda di teorie fantasiose quando non di ambienti pericolosi.

C’è un’enormità di capitale sociale sprecato, di potenziale intellettuale non sviluppato, di infelicità, che resta abbandonata a sé stessa, anziché essere sviluppata positivamente al servizio della collettività, oltre che per una vita migliore per gli interessati. Uno Stato razionalista, attuatore dei diritti dei suoi cittadini, investirebbe ingentissime risorse per consentire il migliore sviluppo culturale a partire naturalmente dalle generazioni più giovani.

10.1.1 Al primissimo posto la scuola, da troppi decenni abbandonata a se stessa, dovrebbe essere una delle prime preoccupazioni di uno Stato democratico: più edifici scolastici in ottime condizioni, più tecnologie, insegnanti in aggiornamento continuo, un buon sistema di valutazione, tempo pieno, apertura al territorio, attività estive, ammodernamento dei programmi. E, possibilmente, meno bieco corporativismo dei docenti.

10.1.2 Poi le agenzie educative informali: circoli giovanili, boy scout, fino alle parrocchie, tutti coloro che si occupano di giovani dovrebbero essere maggiormente qualificati e sostenuti (Nota mia: da ateo e anticlericale boy scout e parrocchie non dovrebbero occuparsi né di giovani né di adulti!). Occorre sottolineare la banalità e scarsa incidenza dei numerosi progetti di intervento sociale destinati ai giovani, con uno spreco di risorse comunque notevole. La progettualità sociale in campo educativo dovrebbe essere potenziata e rinforzata (e valutata) con criteri moderni e con senso critico.

10.1.3 L’Università è uscita in pezzi dalle ultime riforme. È noto a tutti che moltissimi corsi di laurea sono scadenti e che numerosi atenei fanno carte false (= laurea garantita facilmente) pur di avere studenti e mantenere le cattedre. Gli Atenei di un qualche valore, in Italia, sono pochi ed elitari, ma il contrario dell’elitarismo non è certo la laurea facile. Un poderoso giro di vite, in senso scientifico e didattico, deve essere fatto per portare le nostre università a un diffuso livello di eccellenza, sostenendo parimenti gli studenti meritevoli con adeguate borse di studio.

10.1.4 Viaggiare è un potente antidoto all’ignoranza, alla visione ristretta del mondo, al razzismo: offrire condizioni di vero favore (fino alla totale gratuità dei trasporti e degli alloggi) ai ragazzi che desiderano viaggiare per il mondo costerebbe poco e avrebbe grandi risultati.

10.1.5 Le relazioni sociali sono il terzo grande pilastro per lo sviluppo di una mentalità aperta, curiosa, intelligente. Le relazioni sociali non possono essere imposte, ma indiscutibilmente possono essere favorite dalla bonifica delle peggiori periferie-dormitorio, col sovvenzionamento di luoghi di aggregazione permanenti (biblioteche, centri giovanili, associazionismo) o temporanei (fiere, manifestazioni) nei luoghi dove la possibilità di nuove e significative esperienze e relazioni sono più problematiche.

10.2 Queste misure sono assolutamente di modesto costo economico per uno Stato che desideri investire sulla cultura e sullo sviluppo intellettuale dei giovani. Occorre quindi domandarsi perché non lo si faccia. Perché scuola e Università sono un disastro, perché i giovani sono abbandonati, la ricerca negletta…? Crescere delle nuove generazioni nel sapere, nell’arte, nella cultura, nella migliore visione del mondo e delle relazioni sociali, significa crescere una società meno conflittuale, più armonica, più democratica.

Verrebbe da pensare che non si voglia codesta migliore società, e che le meschinissime beghe di piccolo cabotaggio politico cui assistiamo quotidianamente siano considerate più importanti rispetto allo spreco di vite, di competenze e di maggiore felicità che si perpetra. Scavando un pochino a fondo, poi, si può notare come una buona parte dei politici che abbiamo siano loro stessi il frutto di questo spreco, figli di periferie culturali e di disarmo morale.

Quando è iniziato tutto questo?

Come sempre la ricerca dell’origine dei mali sociali rischia di arretrare nei tempi fino ad Adamo ed Eva, rifuggendo – in questa regressione – dal riconoscere precise responsabilità che possiamo leggere e riconoscere nelle buone intenzioni demagogiche di tante riforme intraprese dal secondo dopoguerra: quelle buone intenzioni demagogiche sempre cattive consigliere ma che piacciono così tanto ai politici con poco senso dello Stato, con la preoccupazione di piacere alle piazze e di guadagnare benemerenze per le prossime elezioni.

Prossimo tema: la malvagità.

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