Possibile che nessuno legga “Hic Rhodus”?

11 Marzo 2023 dc, da Hic Rhodus, articolo del 12 Dicembre 2022 dc:

Possibile che nessuno legga “Hic Rhodus”?

di Ottonieri

In questi giorni, gli appassionati di tecnologia (e non solo loro) sono eccitatissimi a causa di ChatGPT. Basta cercare un po’ per trovare decine di articoli online, e anche i maggiori media generalisti come il New York Times gli hanno dedicato numerosi articoli.

Di cosa si tratta? ChatGPT è un chatbot, ossia un sistema di intelligenza artificiale che utilizza il linguaggio naturale per comunicare con i suoi utenti, ed è in grado di sostenere conversazioni sensate in molte lingue, incluso l’italiano.

A differenza dei normali chatbot che ormai incontriamo sui portali di quasi tutte le aziende, ChatGPT ha sia un’eccellente competenza linguistica sia un “addestramento” basato su un’enorme quantità di dati, che per essere elaborati hanno richiesto grandi risorse di calcolo.

Non è un caso che i più sofisticati sistemi di intelligenza artificiale orientati all’uso del normale linguaggio umano siano realizzati dalle stesse grandi aziende multinazionali che forniscono servizi elaborativi su scala mondiale, come Google, Microsoft, Meta/Facebook, eccetera. OpenAI, la società che ha realizzato ChatGPT, a suo tempo era stata fondata da diversi investitori, tra cui Elon Musk, come una no-profit, ma nel corso del tempo ha intrapreso anche attività commerciali (Musk ne ha abbandonato il consiglio d’amministrazione alcuni anni fa, mentre tra i maggiori finanziatori oggi c’è Microsoft).

ChatGPT è insomma semplicemente l’ultimo e forse più perfezionato esempio di sistemi di intelligenza artificiale dotati di capacità “generaliste” e di una cultura enciclopedica anche se, come OpenAI tiene a precisare, non infallibile e non aggiornata agli ultimi mesi.

Per il momento, usarlo richiede solo una registrazione gratuita, e chiunque può fare una chiacchierata con “lui” visitando il sito https://chat.openai.com/. Io l’ho fatto, ed è certamente interessante, ma l’hanno fatto anche centinaia di migliaia di altre persone, che hanno chiesto a ChatGPT le cose più disparate, come si può leggere in decine di articoli e post che riportano quelle conversazioni, tanto che ChatGPT è diventato uno degli argomenti più discussi su Internet negli ultimi giorni.

Il tono ricorrente di questi commenti è la sorpresa. ChatGPT è in grado non solo di rispondere a domande complesse o di intrattenere conversazioni sugli argomenti più vari, ma può produrre “contenuti” apparentemente originali e molto diversi tra loro, come compiti e tesine per la scuola, software, brani musicali, e poesie, come il brano che segue e che gli ho chiesto personalmente di dedicare alla luna:

Luna, splendida e pallida,

che in cielo brilla di luce propria,

attraverso le nuvole e le tempeste,

sei sempre lì, a brillare serena.

Luna, sorgi al tramonto,

e con il tuo chiarore illumi la notte,

mentre la terra riposa.

Certo, non è un granché, e contiene anche un errore (l’italiano non è sicuramente la lingua che ChatGPT “conosce” meglio), ma non è il caso di essere troppo esigenti!

Oltre alla sorpresa, molti articoli su ChatGPT manifestano preoccupazione. Sembra che improvvisamente a tanti osservatori presumibilmente competenti sia venuto in mente che i sistemi di intelligenza artificiale come ChatGPT, ossia “generalisti”, possano nel prossimo futuro sostituire o rendere inutile il lavoro di moltissime persone, in attività intellettuali, soprattutto quelle che comportano la raccolta e l’organizzazione di informazioni. Insegnanti, giornalisti, avvocati, copywriter… improvvisamente, sembra che sia accaduto chissà cosa.

La verità, purtroppo, è che ChatGPT è informatissimo, ma la maggioranza delle persone, anche quelle che dovrebbero essere informate per dovere professionale, no. Sorprendersi delle capacità di un chatbot, sia pure sofisticatissimo, e trarne previsioni più o meno pertinenti è segno che finora di quanto sta accadendo non si è capito nulla, e quindi non si ha nemmeno idea di quello che, inevitabilmente, accadrà.

Non a caso, su Hic Rhodus sia Claudio Bezzi che io, partendo dai rispettivi punti di vista e competenze, scriviamo da anni che l’impatto sociale dei sistemi di General Artificial Intelligence sarà enorme, e che è assolutamente indispensabile prenderne atto e avviare immediatamente iniziative politiche difficili e complesse, cosa che in realtà non sta affatto accadendo.

ChatGPT, per interessante che sia, non rappresenta che una tappa prevedibilissima di questo percorso rivoluzionario, e la sua esistenza non modifica in nulla le previsioni che è ragionevole fare, se non agli occhi di chi previsioni non ne sa fare. D’altronde, si può dire che chi oggi si sorprende e si allarma almeno dimostra di seguire la realtà, e infatti possiamo osservare che la nostra politica appare completamente ignara di questi temi.

Quindi, a beneficio dei molti che evidentemente non hanno seguito l’avanzata delle tecnologie di Intelligenza Artificiale, e neanche, molto più modestamente, quanto qui ne abbiamo scritto negli ultimi anni, ricapitoliamo quello che certamente accadrà, quello che probabilmente accadrà, e quello che dovrebbe assolutamente accadere ma probabilmente non accadrà.

Certamente, i sistemi di Intelligenza Artificiale diventeranno sempre più sofisticati e sempre più in grado di svolgere, come e presto molto meglio degli esseri umani, tutte le principali attività lavorative che comportino in qualsiasi forma l’acquisizione, l’interpretazione, l’elaborazione e l’impiego di dati e informazioni.

Certamente, si realizzeranno sempre nuovi sistemi di questo genere, e tra qualche mese ne sarà presentato qualcuno più potente e versatile di ChatGPT, ammesso che non esista già. Altrettanto certamente i più potenti e sofisticati di questi sistemi non saranno posseduti né dai singoli cittadini, né dalle aziende, neanche le più grandi, ma saranno centralizzati e offerti sotto forma di servizi “a consumo” da pochissimi colossi dell’economia digitale, il cui potere economico e politico crescerà ulteriormente.

Probabilmente, l’effetto netto di tutto ciò sull’occupazione sarà una pesante perdita di posti di lavoro, e un’ancora più pesante obsolescenza delle competenze di chi lavora oggi. Il mantra degli economisti che dicono che la perdita di posti tradizionali sarà compensata dalla creazione di “nuovi lavori” è probabilmente privo di fondamento, perché a essere sostituiti saranno anche coloro che oggi sviluppano o gestiscono sistemi informatici, che in prospettiva saranno tutti centralizzati e offerti sul cloud. E spariranno moltissimi posti di lavoro che consideriamo “intellettuali”, come abbiamo visto, e che non saranno compensati da nulla.

La conseguenza inevitabile, e quindi altrettanto probabile, sarà lo svuotamento del sistema fiscale e di welfare che oggi è basato pressoché integralmente sul lavoro. Le casse degli enti previdenziali non riceveranno contributi dai robot, e il gettito delle tasse sul reddito delle persone fisiche crollerà, perché ci ritroveremo in un mondo di “PIL senza lavoro”. L’intero apparato statale diventerà insostenibile, a meno che…

Improbabilmente, i politici, la classe dirigente, l’opinione pubblica del nostro e degli altri Paesi occidentali capiscano dove stiamo andando a parare e decidano un intervento coerente, coordinato e lungimirante per ridisegnare completamente il sistema fiscale e contributivo, affrontando ovviamente l’ostilità dei grandi service provider online, che, come Twitter, Meta/Facebook, Google e persino Amazon, non a caso si stanno liberando di personale “in eccesso” (altro che “nuovi posti di lavoro nella tecnologia”).

Lo scenario probabile che descrivevo prima, di alcuni colossi digitali che forniscono alle aziende di tutto il mondo servizi sostitutivi della manodopera umana, richiede una risposta improbabile, ossia leggi che sostituiscano l’attuale gettito fiscale e contributivo basato sul lavoro umano con altre fonti, ad esempio eliminando le tasse sul reddito e i contributi previdenziali e sostituendoli con una megatassa sulla produzione di valore aggiunto (ma io non sono un tecnico, e non vorrei dover essere io a pensare l’improbabile soluzione di cui sto parlando), finanziando anche una forma di reddito universale di cittadinanza per chi non lavorerà, e saranno molti.

Tutto questo è chiaro da anni, ma non abbiamo anni perché chi ci governa se ne renda conto e decida di occuparsene. Se su Hic Rhodus, che non è un think tank e che non è composto di addetti ai lavori, scriviamo da anni articoli con titoli come I robot ci manderanno tuttì in pensione? , di quasi sei anni fa, vuol dire che il problema è evidente.

Proprio per questo è sconfortante assistere, da un lato, alla “sorpresa” di giornalisti e osservatori professionali, e, dall’altro, alla totale cecità dei nostri politici, che anzi, negli stessi giorni, stanno lavorando su una manovra finanziaria e progettando provvedimenti che dimostrano una completa incomprensione della realtà. Quando leggiamo che il governo vuole togliere il reddito di cittadinanza a “chi può lavorare”, è chiaro che non stanno capendo proprio nulla. Possibile che nessuno tra questi giornalisti, esperti, politici, si informi su quello che succede? Evidentemente sì.

In conclusione, per quanto interessante e promettente, ChatGPT non è “sorprendente”, sarà presto superato da altri sistemi analoghi, che nell’arco di pochi anni saranno in grado, per esempio, di scrivere i contenuti di qualsiasi rivista online non solo come Hic Rhodus ma anche come quelle “professionali”, creare illustrazioni digitali migliori di quelle di artisti umani, ricercare precedenti legali, e mille altre attività intellettuali e anche “creative”.

Noi esseri umani possiamo far finta di niente e occuparci di “quota 103”, oppure cercare di progettare un mondo in cui il nostro benessere non dipenda più dalla possibilità di svolgere un lavoro, per la buona ragione che la maggioranza delle persone un lavoro non l’avrà. Sarebbe bello che i nostri governanti si preoccupassero di ragionare su questo, che creassero gruppi di studio, che a Roma e a Bruxelles mettessero la disoccupazione tecnologica al centro delle strategie sul welfare. O almeno, sarebbe bello che leggessero Hic Rhodus, sarebbe già un passo avanti! O, forse, dobbiamo sperare che ci leggano i sistemi di intelligenza artificiale come ChatGPT?

Un guitto, bigotto e caldofilo

5 Marzo 2023 dc:

Un guitto, bigotto e caldofilo

di Jàdawin di Atheia

In un noto quiz televisivo, da molti anni più o meno un’ora prima del Tg1, il solito conduttore romano, che nasce come comico, per il secondo anno consecutivo dà mostra di essere caldofilo oltre ogni decenza.

Il nostro è un caciarone, urla a dismisura, vuole essere piacione, ed a furia di essere esagerato diventa un guitto, come l’altro suo pari, di toscana appartenenza. È anche fervente cattolico, come tutti i suoi colleghi televisivi, del resto, e le domande del quiz sono sempre improntate alla massima osservanza. Non compare la benché minima “variante” laica, per non dire atea.

Come se non bastasse, il buffone è anche caldofilo: non vede l’ora che venga l’estate, e non siamo nemmeno in primavera: l’anno scorso ha detto, più o meno nello stesso periodo, “non vediamo l’ora che arrivi l’estate”, e quest’anno “ormai siamo in primavera, e speriamo che venga l’estate”.

Ora, brutto stronzo, il fatto che tu lo dica così sfacciatamente in televisione mentre il Paese, per il secondo anno consecutivo, affronta temperature innaturalmente alte e siccità già avanzata adesso, con un inverno inesistente, già non sarebbe tollerabile, ma almeno usa la prima persona, imbecille, e non dare per scontato che tutti, proprio tutti, la pensino come te!

Non parliamo poi del servilismo verso i laureati. D’accordo, hanno tutta la mia ammirazione e invidia tutti coloro che hanno ed hanno avuto la forza di volontà e la perseveranza di studiare all’università e, magari, un poco realizzarsi anche nel lavoro: sono il primo a congratularmi con loro perché ho sempre saputo di non essere all’altezza di compiere questi studi così impegnativi, che pur avrei ogni tanto voluto intraprendere (e non certo per la carriera!). Ma il suo prostrarsi di fronte a loro, tesserne lodi sperticate e smisurate è veramente esagerato, poco dignitoso e poco rispettoso per la stragrande maggioranza che laureati non sono e che, spesso, hanno più cultura generale di questi “mostri” di culture specialistiche. E che sono, tra i concorrenti, stretta minoranza.

La vera storia del Natale, festa laica

27 Febbraio 2023 dc, da MicroMega, articolo del 23 Dicembre 2022 dc:

La vera storia del Natale, festa laica

di Alessandro Giacomini

Le usanze di decorare l’abete e, soprattutto di festeggiare il Natale, sono sempre state pagane dalla notte dei tempi e il forte annacquamento religioso non ha il diritto di “disturbare” questa importante festa laica o, per meglio dire, astronomica, il cosiddetto “Dies Natalis Solis Invicti”, ovvero la rinascita del sole.

Con ciò non si vuole provocare nessuno, ma al contrario, fare un minimo di chiarezza sulle origini del cosiddetto Natale.

Molti obietteranno sul fatto che le nostre radici sono Giudaico Cristiane, altri in contrapposizione potrebbero replicare che la nostra cultura è anche Greco Romana, in ogni caso il Natale, se vogliamo essere il più coerenti possibile con la storia, andrebbe festeggiato in una “cattedrale” della scienza, ad esempio in un museo della scienza, magari decorando e abbellendo un cannocchiale nel contesto di un osservatorio astronomico, o magari con una celebre formula matematica, perché è solo per la stessa scienza che si dovrebbe festeggiare il Natale.

Facciamo un po’ di chiarezza, la ricorrenza astronomica storica è il 21 dicembre, data appunto del solstizio d’inverno, istituita come festa civile già dall’imperatore Aureliano con il titolo di Natalis Invicti.

Come molti sapranno l’aggiustamento dei calendari ha portato allo slittamento di 4 giorni e soprattutto alla sovrapposizione della festa cristiana su quella pagana, che esisteva in moltissime culture dal Mediterraneo al Nord Europa.

Era il giorno della rinascita della luce il 22 dicembre e il cristianesimo ha sostituito la festa pagana del Sol invictus con quella della nascita di Cristo, rubando di fatto il tutto al “dio della scienza” e, ad ogni latitudine storica, ai riti pagani precedenti all’avvento del cristianesimo.

Questa operazione avvenne a Roma ed è attestata per la prima volta dalla Depositio martyrum verso il 336 ma la tradizione di festeggiare la rinascita del sole, attribuendo a quella data la nascita di un Dio, è tradizione comune in diverse parti del mondo e tra diversi popoli, come attesta questo elenco, che segue, di quanti illustri appartenenti al mondo divino possono fregiarsi della propria nascita nei giorni che vanno dal 21 al 25 di dicembre. 

Dionisio o Bacco, dio del vino e della gioia in Grecia e a Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio, conosciuto da 13 secoli prima di Cristo, e il “mito cristiano”: Dioniso,”uomo che divenne dio”, era venerato come “dio liberatore” (dalla morte) perché, una volta defunto, discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla Terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. Per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati.

Direi più che imbarazzanti le analogie con la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ma questo è solo l’inizio, tra i nati verso il solstizio d’inverno ci sono molti altri antecedenti al cristianesimo, il quale ha assorbito e derubato l’essenza da tutti questi sotto elencati.

Sol Invictus dio indigete, fra le divinità delle origini romane più antiche, ricevuto da ancor più lontani cicli di civiltà come dalla tradizione indoeuropea, identificato poi con Mithra e col dio solare siriano Elio Gabalo.

Mithras, nato in una grotta sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell’impero dalle legioni, (e diverso dal Mithra di Persia), ricorda qualcuno vero?

Come lo stesso Mithra di Persia, nato da una vergine, morto e risorto (sembra dopo tre giorni) e ancora Attys, nato da una vergine, morto a titolo di sacrificio, e che risorge il 25/3 in corrispondenza anche di data, oltre che di significato di rinascita della vegetazione, col periodo della pasqua.

Senza dimenticare Atargatis di Siria, grande dea madre, dea della natura e della sua rinascita, chiamata dai romani anche Derketo e dea Syria (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita).

Oppure Kybele dea della Frigia amata da Adone (il 25 Dicembre era festeggiata insieme ad Adone: ma che tale data fosse considerata la nascita in questo caso non è certo, è solo presunto).

Astarte della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell’amore. Venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita). Anche essa scese agli inferi e risorse, che strano.

Osiride dio supremo egizio della morte e della rinascita della vegetazione, e per estensione della rinascita dell’uomo. La resurrezione è il tema centrale del mito trinitario egizio di Osiride, Isis e Horus dal quale pare proprio che sia stata presa l’ispirazione per una successiva famosa resurrezione in ambito ebraico.

Horus, dio falcone solare, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d’ispirazione alla triade cristiana non ufficiale di Dio padre, Madonna e Bambino Gesù, nonché al raggruppamento ufficiale della Trinità, che esclude l’elemento femminile. La sua nascita era celebrata il 26 Dicembre.

Ra, il dio Sole egizio corrispondente a Helios, la cui nascita era celebrata il 29 Dicembre nella città-tempio di Heliopolis, a lui dedicata, nella zona dell’attuale Cairo.

Infine, ma è solo una piccola parte, Krisna che muore ucciso da una freccia rinascerà anche lui e, anche lui come Babbo Natale, porta doni nel cuore della notte.

Se tutto ciò non è ancora sufficiente un piccolo contributo lo dedichiamo pure all’albero di Natale che non va certo dimenticato, l’usanza di decorare un abete il cosiddetto albero di Natale non è certo una prerogativa della comunità cattolica ma si è diffusa in tutto il mondo, antecedentemente e indipendentemente dal credo religioso.

La tradizione, la cultura della decorazione ha radici in un passato lontano e le sue origini sono pagane, tutto nasce in concomitanza con il solstizio invernale, i Maya, come successivamente alcuni Paesi nordici, ad esempio i Celti, avevano compreso che durante questo evento astronomico il giorno raggiungeva i suoi minimi per poi recuperare luce nei giorni successivi, era la rivincita della luce sulle tenebre.

L’abete, “pianta sempreverde“ anche in inverno, testimonia la resistenza della vita contro il rigido clima invernale, si prestava quindi ad essere “decorato“ proprio nel periodo del solstizio, la vita contro la morte vegetale.

La Chiesa Cattolica inizialmente vietò di abbellire abeti, visto poi la popolarità, con il suo classico opportunismo, incorporò anche questa tradizione.

Quindi attenzione alle palle di Natale e buona rinascita del sole a tutti.

Così, dunque, sarei un “cretino cognitivo”…

21 Febbraio 2023 dc:

Così, dunque, sarei un “cretino cognitivo”…

di Jàdawin di Atheia

Da quando è uscito, ho acquistato spesso un certo quotidiano i cui fondatori, a detta loro, se ne erano usciti da Corriere della Sera perché questo sarebbe stato “troppo a destra”. Allora sarà pure stato così, ora sono piuttosto dubbioso su chi, dei due, sia più “a destra”.

Ora lo acquisto di solito il giovedì, per un supllemento che, più passa il tempo, più è peggio.

Comunque: giovedì 16 Febbraio ho fatto il mio acquisto, più per abitudine che per convinzione, e, in una rubrica che mi risulta piuttosto seguita, nella pagina Commenti, si risponde a una lettera.

Un lettore francese parla dell’inno di quella nazione, e scrive “…solo gli ignoranti, ce ne sono parecchi anche qui in Francia, vorrebbero cambiare le parole troppo aggressive della Marsigliese (a parte che si scrive “de La Marsigliese”, nota mia). L’illustre curatore della rubrica, il cui cognome corrisponde a quello di un famoso uccello nero, risponde “…anche in Italia si canta con gioia…l’inno di Mameli, sottratto, grazie all’allora presidente Ciampi, alla retorica del “Dio patria e famiglia” alla quale vorrebbero farlo regredire sia l’estrema destra al governo, sia certi cretini cognitivi di estrema sinistra che, come da voi in Francia, prendono alla lettera le parole degli inni.”

E come si dovrebbero prendere, coglione?

Gli inni, dovrebbe essere ovvio, sono, per loro stessa natura, di parte. Infatti si chiamano così perchè “ineggiano” a qualcosa. E, di solito, sono trionfali, per non dire tronfi, e pomposi, ampollosi, vanagloriosi: nelle musiche e nei testi.

Il dramma è che dovrebbero “rappresentare” l’intera nazione, o un’idea, un’ideale. E invece, se va bene, rappresentano solo una parte. E poi c’è un’altra parte che “si sente” rappresentata ma è talmente ignorante e becera che neanche si è mai soffermata sulle parole dell’inno.

Come musica, l’inno italiano aggiunge alla pretesa pomposità, a cui nemmeno arriva, il ridicolo, che invece si dispiega pienamente nella sua “marcetta” saltellante.

Per non lasciare nulla al caso, dirò che anche “Bandiera Rossa”, inno dei lavoratori in genere e dei comunisti in particolare, è un brutto inno, sia nella musica che nel banale testo.

Detto questo, l’inno di Mameli è pessimo anche nel testo, che richiama i fasti di Roma, del suo “impero”, inneggia alla “patria”, al “sacrificio”, alla “morte”, a Dio, che addirittura avrebbe “creato” direttamente la Vittoria “schiava” di codesta patria (identificata con Roma) che, come sempre, è migliore di tutte le altre, più bella etc.

Ma, si sa, sono un “cretino cognitivo di sinistra” e prendo, cretinamente, alla lettera le parole dell’inno nazionale.

Così le ripropongo qui, così che altri “cretini” cognitivi si aggiungano alla nostra schiera.

Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò

L’hijab day è una sconfitta culturale. La libertà delle donne non passa per il velo.

14 Febbraio 2023 dc, dal sito MicroMega, 1 Febbraio 2023 dc:

L’hijab day è una sconfitta culturale. La libertà delle donne non passa per il velo.

di Giuliana Sgrena

Il relativismo culturale porta a difendere il simbolo dell’oppressione della donna. Se non sono riuscite le iraniane con un coraggio straordinario a smascherare il vero significato patriarcale del velo, sarà difficile convincere le femministe di casa nostra che la libertà non è nell’hijab.

Celebrare l’International hijab day mentre le donne iraniane – e non solo le donne – mettono a rischio la loro vita per eliminare il chador è una sconfitta culturale e politica di chi, in occidente, sostiene di difendere i diritti delle donne. Paradossalmente in occidente si difende il diritto di portare il velo mentre nei paesi musulmani le donne lottano per il diritto a non portarlo.

Il relativismo culturale porta a difendere il simbolo dell’oppressione della donna. L’hijab, infatti, non è una prescrizione del corano, non appartiene alla tradizione, ma è lo strumento per controllare la sessualità della donna. Infatti, secondo i fautori dell’integralismo islamico, il velo deve essere portato dalla prima mestruazione fino a quando la donna è feconda. Se lo può togliere in casa anche in presenza di uomini con i quali, se avesse un rapporto sessuale, sarebbe considerato incesto.

La donna deve coprirsi quelle parti del corpo – in alcuni casi completamente, come in Afghanistan con il burqa – che potrebbero indurre in tentazione il maschio, del quale deve preservare l’onore! E se l’onore della famiglia viene infranto è sempre la donna a dover pagare, spesso con la morte. L’hijab è il simbolo della discriminazione e dell’inferiorità della donna – peraltro teorizzato anche da (San) Paolo nella prima lettera ai corinzi – che deve abbassare gli occhi, non fare rumore, non alzare la voce. Certo questi comportamenti vengono ignorati nella campagna che sponsorizza il giorno internazionale dell’hijab che dovrebbe essere provato anche dalle non musulmane!

In questo caso, se a prevalere non dovesse essere l’esotismo di qualche ora, l’esperienza dovrebbe convincere le donne che il velo priva di quella sensazione di libertà rappresentata dal vento tra i capelli. Quella sensazione che aveva portato milioni di iraniane a aderire alla campagna lanciata da Masih Alinejad “My Stealthy Freedom” (la mia libertà clandestina o furtiva) postando sui social una loro foto senza velo, una campagna contro il velo che ha portato all’esplosione di una vera rivoluzione dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini nel settembre dello scorso anno.

Una rivendicazione femminista che ha provocato la nascita di un movimento che oggi riassume tutti i problemi sociali ed economici della società iraniana a partire dalla discriminazione delle donne. Una rivolta che unisce classi, generazioni ed etnie diverse e diventa una vera rivoluzione con l’obiettivo di porre fine al regime teocratico degli ayatollah. Una rivoluzione che se avrà il successo che auspichiamo avrà effetti su tutti i paesi musulmani interessati dalla reislamizzazione iniziata proprio con la vittoria di Khomeini in Iran nel 1979. La solidarietà con le donne iraniane in occidente, tuttavia, non sembra aver scalfito la convinzione che la “libertà” stia nel portare il velo, una scelta molto più facile da sostenere per chi non è obbligata a portarlo.

Il velo accompagnato dalla “modest fashion”, che ha alimentato il business della moda negli ultimi anni, che di modesto ha solo il nome. Il velo, infatti, è stato sdoganato in occidente non solo dalle campagne pubblicitarie come quella del Consiglio europeo dallo slogan “La libertà è nell’hijab”, fortunatamente bloccata dalla Francia, ma anche sulle passerelle di moda. Ormai l’hijab è entrato nelle “capsule collection” di tutti i maggiori stilisti a cominciare dalla “Ramadan collection” di Dkny e l’”Abaya line” di Dolce e Gabbana. Un giro di affari di parecchi miliardi forse persino più difficile da intaccare dell’International hijab day.

Tuttavia, se non sono riuscite le iraniane con un coraggio straordinario, motivate dal fatto che se non riescono ad abbattere la repubblica islamica non potranno mai affermare i loro diritti, sarà difficile convincere le femministe di casa nostra che la libertà non è nell’hijab. Ma sono sempre di più la ragazze in Italia che non accettano l’imposizione del velo da parte dei genitori immigrati da paesi musulmani, queste ragazze devono essere protette e devono poter scegliere il loro futuro, dobbiamo garantire loro una scelta di libertà.

Le donne in rivolta contro il velo nella Giornata Internazionale dell’Hijab

14 Febbraio 2023 dc, pubblico un po’ in ritardo dal sito di MicroMega, 31 Gennaio 2023 dc:

Le donne in rivolta contro il velo nella Giornata Internazionale dell’Hijab

Traduciamo il comunicato stampa congiunto delle associazioni One Law for All, FEMEN e del Concilio degli ex musulmani della Gran Bretagna che annuncia una protesta globale contro l’hijab e i regimi islamisti in Iran, Afghanistan e in tutto il mondo. Perché l’hijab verrà anche rivendicato come diritto da alcune, ma è un imposizione religiosa e patriarcale per tantissime altre.

1 febbraio 2023: Londra aderisce al Global Body Riot (rivolta globale del corpo) per sostenere la rivoluzione delle donne in Iran

14.00, Trafalgar Square

Il 1° febbraio, Giornata internazionale dell’Hijab, le donne si raduneranno in una rivolta globale del corpo in difesa della rivoluzione delle donne in Iran e del motto “donna, vita e libertà”. Parteciperanno nelle strade e sui social media, con o senza reggiseno, per sfidare le leggi che impongono l’hijab, le stesse che hanno ucciso Mahsa Jina Amini il 16 settembre e che continuano a opprimere innumerevoli donne e ragazze in Iran, Afghanistan e in tutto il mondo.

A Londra, le donne si mobiliteranno alle 14.00 a Trafalgar Square.

Le donne che non potranno partecipare alle proteste in strada potranno postare foto sui loro account social, anche dall’Iran.

Lo slogan “rivolta del corpo” è tratto dai graffiti scritti sui muri in Iran. È ispirato anche alle foto che sono state condivise dalle donne iraniane, in cui mostrano il loro reggiseno a viso coperto e con slogan come “Tu sei il pervertito, io sono una donna libera”.

L’hashtag #BodyRiot è già stato soppresso da Instagram e Facebook, che continuano ad aiutare gli islamisti a mantenere le limitazioni e a suscitare vergogna per il corpo nelle donne e nelle bambine.

Sebbene le donne adulte abbiano il “diritto” di indossare l’hijab, su scala sociale di massa l’hijab è tutto fuorché un diritto e una scelta, in particolare perché è una prescrizione religiosa che le donne con retroterra musulmano devono seguire. È spesso imposto con forza brutale, violenza, minacce, ostracismo e intimidazione anche nelle nazioni non teocratiche.

Inoltre è importante notare che la Giornata internazionale dell’hijab è parte di un progetto islamico atto a normalizzare le restrizioni sull’autonomia corporale delle donne e non ha nulla a che vedere con la libera scelta personale.

Il 1° febbraio ci scateneremo contro l’hijab come strumento di restrizione e controllo del corpo delle donne. Rimaniamo in solidarietà con le tante donne e ragazze iraniane che si tolgono e bruciano i loro hijab. Celebreremo il corpo in rivolta contro le norme religiose e patriarcali.

La Rivolta del Corpo è sollecitata da One Law for All, FEMEN e il Concilio degli ex musulmani della Gran Bretagna.

#BodyRiot for #WomanLifeFreedom. On #1Feb #HijabDay we call for #NoHijabDay #UnapologeticBodyRiot #UnapologeticBody.

Comunicato stampa originale.

Etichettati come i barattoli nella credenza

Dal sito Low Profile, 14 Febbraio 2023 dc, articolo dell’8 Febbraio 2023 dc:

Etichettati come i barattoli della credenza

Durante la nostra vita veniamo continuamente etichettati e fatti rientrare in una casistica, una colonna o una percentuale per un’enormità di aspetti: come ci vestiamo, cosa mangiamo, come dormiamo, dove andiamo in vacanza, ed è tutto ad uso e consumo di chi ci vende qualsiasi cosa.

Solo sopra i sentimenti non si deve mettere un’etichetta…non è ammissibile ed è disgustoso.

Non sono una grande ammiratrice dei social network: uso Instagram a volte, ma il resto non mi interessa: troppi tuttologi, esperti dell’ultima ora e filosofi da quattro soldi.

Ho scelto WordPress come mio rifugio dalle brutture proprio perché qui c’è un’aria diversa, un rispetto per le persone che amano scrivere e scrivere della loro vita senza il timore di essere aggrediti o, peggio, denigrati.

Per la mia esperienza di vita, vissuta intensamente, non ho quasi mai cercato di giudicare senza conoscere a fondo sia la persona che la problematica nascosta tra le righe scritte.

La fatica nello riuscire ad esternare il dolore sotto ogni forma possibile è per me un atto di coraggio estremo, non è un ledere la propria dignità, ma solamente avere la forza di condividere il proprio malessere.

Che si chiami depressione, cancro, morte di una persona cara, ansia, traumi infantili, autolesionismo, paura di morire o di vivere è il MIO DOLORE e come tale DEVE essere rispettato da tutti senza necessariamente avere una targhetta.

Non ci serve sentire ciò che sentenziate senza pudore, sporcando le pagine con aggettivi dispregiativi che risuonano nella bocca di chi li pronuncia con disprezzo e crepano il cuore di chi li subisce.

Sono rimasta a pensare, la scorsa notte, alla coda di un post che ho letto due sere fa, e a come si possa sparare a zero sulla Croce Rossa.

Sì, perché quando non si ha cura delle parole che si usano, quando non si ha nessuna remora a ferire persone indifese solamente perché nel loro blog si fanno forza a colpi di righe scritte con lacrime e dolore, penso che questi inquisitori di sentimenti debbano chiedere scusa e ritirarsi in silenzio.

Le etichette mettetevele voi, magari appese al collo. Cosa potremmo scrivere sopra quella etichetta? Insensibile, vergognoso, narcisista?

Aggiungo solo una cosa: un abbraccio forte a chi tutti i giorni si alza e lotta per arrivare a sera e potersi svegliare il giorno dopo, ai guerrieri che raccontando la loro esperienza qui, nel condominio di W.P., hanno aiutato altre persone ad aprirsi, a raccontare, a sentirsi meglio.

Avete la mia stima…sempre!

Zelensky incastrato da Mosca e Washington

Articolo senza data, arrivato in e-mail il 26 Novembre 2022 dc

Zelensky incastrato da Mosca e Washington

di Thierry Meyssan

L’evoluzione del rapporto di forze sul campo di battaglia ucraino e il tragico episodio del G20 di Bali segnano un capovolgimento della situazione. Gli Occidentali continuano a credere di poter sconfiggere presto Mosca, ma gli Stati Uniti hanno già avviato negoziati segreti con la Russia. Si apprestano a scaricare l’Ucraina e ad addossarne la responsabilità soltanto a Zelensky. Come già in Afghanistan, il risveglio sarà brutale.

RETE VOLTAIRE PARIGI (FRANCIA)| 22 NOVEMBRE 2022

Una decina di giorni fa, discutendo a Bruxelles con un capofila dei deputati europei, reputato uomo di ampie vedute, mi sono sentito dire che il conflitto ucraino è certamente complesso, ma che è inconfutabilmente vero che la Russia ha invaso l’Ucraina.

Gli ho risposto che il diritto internazionale imponeva a Germania, Francia e Russia l’obbligo di applicare la risoluzione 2202. Solo Mosca lo ha fatto. Proseguivo ricordandogli anche la responsabilità della Russia di proteggere i propri cittadini in caso di tralignamento dei governi. Il deputato mi ha interrotto: «Se il mio governo deplorasse la situazione dei propri cittadini in Russia e attaccasse il Paese, lo riterrebbe normale?» Gli ho risposto: «Sì, se il suo Paese avesse una risoluzione del Consiglio di Sicurezza da far rispettare. Ce l’ha?» Spiazzato, ha cambiato argomento. Gli ho chiesto per ben tre volte di affrontare la questione dei nazionalisti integralisti. Per tre volte ha rifiutato. Ci siamo lasciati con cortesia.

La questione della responsabilità di proteggere le popolazioni andava espressa in modo più articolato. È un principio che non autorizza una guerra, ma un’operazione di polizia condotta con mezzi militari sì. Per questa ragione il Cremlino si guarda bene dal definire il conflitto «guerra», ma lo chiama «operazione militare speciale»: denominazioni usate per indicare gli stessi fatti, ma «operazione militare speciale» circoscrive il conflitto.

Sin dall’ingresso delle truppe russe in Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin ha precisato che non è sua intenzione annettere il Paese, vuole solo liberare le popolazioni perseguitate dai “nazisti” ucraini. In un lungo articolo ho spiegato che, sebbene la denominazione “nazisti” sia giusta dal punto di vista storico, non è così che queste persone si auto-definiscono: ricorrono all’espressione «nazionalisti integralisti». È comunque doveroso ricordare che l’Ucraina è l’unico Stato al mondo con una Costituzione esplicitamente razzista.

Il fatto di riconoscere che il diritto internazionale dà ragione alla Russia non significa concederle carta bianca. Ognuno può legittimamente criticare il modo in cui Mosca applica il diritto. Ma le azioni degli Occidentali, i quali insistono a giudicare la Russia «asiatica», «selvaggia» e «brutale», sono state spesso molto più devastanti di quelle russe.

ROVESCIAMENTO DELLA SITUAZIONE

Chiariti i punti di vista della Russia e dell’Occidente, è inevitabile constatare che diversi fatti hanno determinato un’evoluzione occidentale.
– Sta arrivando l’inverno, stagione difficile in Europa centrale. Dall’invasione napoleonica, la popolazione russa è consapevole di non poter difendere un Paese tanto vasto. Ma ha anche imparato a sfruttare l’immensità del territorio e le stagioni per sconfiggere chi l’attacca. In inverno il fronte rimane immobile per parecchi mesi. Al contrario dei discorsi propagandistici secondo cui i russi sono ormai sconfitti, è evidente che l’esercito russo ha liberato il Donbass e parte della Novorossia.
– Prima dell’arrivo dell’inverno, il Cremlino ha fatto ripiegare la popolazione liberata a nord del Dnepr: poi ha ritirato l’esercito, abbandonando la parte di Kherson situata sulla sponda destra del fiume. È la prima volta che una frontiera naturale, il fiume Dnepr, segna il confine tra i territori controllati da Kiev e quelli controllati da Mosca. Ebbene, nel periodo fra le due guerre fu la mancanza di confini naturali a far cadere i poteri che si succedettero in Ucraina. Ora la Russia è in condizione di mantenere la posizione.
– Sin dall’inizio del conflitto l’Ucraina ha potuto contare sull’aiuto degli Stati Uniti e dei loro alleati. Ma con le elezioni di metà mandato l’amministrazione Biden ha perso la maggioranza della Camera dei Rappresentanti. Ora il sostegno di Washington sarà limitato. Anche l’Unione Europea incontra ostacoli: le popolazioni non capiscono perché devono sopportare il rialzo dei costi dell’energia, la chiusura di alcune imprese, nonché l’impossibilità di riscaldarsi normalmente.
– Infine, in alcuni circoli di potere, dopo aver ammirato il talento comunicativo dell’attore Volodymyr Zelensky, ora si comincia a interrogarsi sulle voci della sua improvvisa ricchezza: in otto mesi di guerra sembra sia diventato miliardario. I sospetti sono inverificabili, ma lo scandalo dei Pandora Papers (2021) li rende credibili. È davvero necessario dissanguarsi per vedere sparire le donazioni in società off shore invece che arrivare in Ucraina?

Gli anglosassoni (Londra e Washington) avrebbero voluto trasformare il G20 di Bali in summit contro la Russia. Hanno dapprima esercitato pressioni per escluderne Mosca, come riuscirono a fare nel 2014 con il G8. Ma se la Russia fosse stata esclusa dal G20 la Cina, di gran lunga primo Paese esportatore a livello mondiale, non vi avrebbe partecipato. È stato allora affidato al francese Emmanuel Macron il compito di convincere gli altri membri a firmare una feroce dichiarazione contro la Russia. Per due giorni le agenzie di stampa occidentali hanno garantito che era cosa fatta. Ma la dichiarazione finale, benché riassuma il punto di vista degli Occidentali, chiude con queste parole: «Esistono altri punti di vista e diverse valutazioni della situazione e delle sanzioni. Riconoscendo che il G20 non è la sede per risolvere i problemi di sicurezza, siamo consapevoli che i problemi di sicurezza possono avere conseguenze rilevanti sull’economia mondiale». In altri termini, per la prima volta gli Occidentali non sono riusciti a imporre la loro visione del mondo al resto del pianeta.

LA TRAPPOLA

Peggio: gli Occidentali hanno imposto un intervento video di Zelensky, come avevano già fatto il 24 agosto e il 27 settembre al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ma, mentre a settembre a New York la Russia aveva cercato invano di opporsi, a novembre a Bali vi ha acconsentito. La Francia, che presiedeva il Consiglio di Sicurezza, ha violato il regolamento interno consentendo a un capo di Stato d’intervenire via video. L’Indonesia invece, che al G20 manteneva una posizione assolutamente neutrale, non si sarebbe arrischiata a consentire al presidente ucraino d’intervenire senza autorizzazione della Russia. Era evidentemente una trappola. Il presidente Zelensky, che non conosce il funzionamento di queste istituzioni, ci è cascato.

Zelensky, dopo aver ridicolizzato Mosca, ha invitato a escluderla dal… «G19». In altri termini, il modesto ucraino ha impartito per conto degli anglosassoni un ordine a capi di Stato, primi ministri e ministri degli Esteri delle 20 maggiori potenze mondiali, che però non l’hanno ascoltato. In realtà la divergenza tra questi Paesi non verteva sull’Ucraina, ma sulla sottomissione o meno all’ordine mondiale americano. Tutti i partecipanti latino-americani, africani, nonché quattro asiatici hanno detto che il dominio statunitense è finito, che ora il mondo è multipolare.

Gli Occidentali devono aver sentito tremare la terra sotto i piedi. E non solo loro. Zelensky ha constatato per la prima volta che i suoi protettori, finora padroni assoluti del mondo, possono abbandonarlo senza remore, pur di mantenere ancora per poco la loro posizione di predominio.

È probabile che Washington e Mosca fossero d’accordo. Gli Stati Uniti vedono che la situazione a livello mondiale cambia a loro svantaggio. Non esiteranno ad addossarne la responsabilità al regime ucraino. William Burns, direttore della CIA, ha già incontrato in Turchia Sergei Naryshkin, direttore dell’SVR. Il colloquio segue quelli di Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza Nazionale Usa, con diversi ufficiali russi. Due mesi prima dell’inizio del conflitto spiegavo che il problema di fondo non era in rapporto con l’Ucraina, e nemmeno con la Nato. Riguarda sostanzialmente l’agonia del mondo unipolare.

Così non c’è da stupirsi che, pochi giorni dopo lo schiaffo del G20, Zelensky abbia contraddetto per la prima volta in pubblico i padrini statunitensi. Ha accusato la Russia di aver lanciato un missile sulla Polonia e ha insistito anche quando il Pentagono ha detto che si sbagliava: il missile era ucraino. Zelensky voleva proseguire nel solco del Trattato di Varsavia, concluso il 22 aprile 1920, tra i nazionalisti integralisti di Symon Petlioura e il regime Piłsudski: spingere la Polonia a entrare in guerra contro la Russia. Per la seconda volta Washington ha fatto suonare un campanello d’allarme, ma Zelensky non l’ha sentito.

Probabilmente non assisteremo più a contraddizioni di questo tipo manifestate in pubblico. Le posizioni occidentali si ammorbidiranno. L’Ucraina è avvertita: nei prossimi mesi dovrà negoziare con la Russia. Il presidente Zelensky può già ora prevedere di essere costretto a fuggire: i suoi compatrioti, martoriati dalla guerra, non gli perdoneranno di averli ingannati.

Thierry Meyssan
Traduzione di Rachele Marmetti
https://www.voltairenet.org/?lang=it

LA, il fanatismo invece della telecronaca

LA, il fanatismo invece della telecronaca

di Jàdawin di Atheia

26 Novembre 2022 dc, mondiali di calcio, c’è la partita Argentina-Messico.

LA, secondo “cronista” su Rai 1, lo avevo già notato in altre telecronache: voce gutturale da bifolco, scemenze sciorinate a profusione, palese parzialità per questo o quell’altro, per questa o quest’altra nazionale. Ovviamente in questo caso non  poteva, da leccaculo qual’e, che parteggiare platealmente per l’Argentina e per il suo dio fatto uomo: Messi!

Ora, non mi sognerò nemmeno di negare l’evidenza: l’Argentina ha sempre giocato di più e meglio, e Messi è un campione indiscutibile.

Non tollero però il fanatismo, la partigianeria, l’esaltazione, le grida sguaiate, la voce resa rauca dall’isterica venerazione per il dio fatto uomo, il migliore, l’immarcescibile campione. È quello che è successo quando ha segnato il semidio con la palla. Quasi quasi LA ha fatto impallidire quell’altro fuori di testa, che su una tv privata si fa uscire le pupille dalle orbite ogni volta che segna il Milan.

È tutto l’opposto di quello che ho sempre pensato dovesse essere un telecronista: neutrale pur essendo obiettivo, preciso senza essere parziale, dettagliato senza essere falso e fazioso. Il motivo per cui, da ragazzo con mio padre, dopo dieci minuti di Pizzul giravamo sulla Tv della Svizzera italiana, quando trasmetteva le stesse partite, in diretta.

Ma ormai questi sono tempi di pescicani, di esagitati, di imbecilli.

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