Un “accomodamento ragionevole”

30 Novembre 2021 dc, da Italialaica.it, Editoriale pubblicato il 16 Settembre 2021 dc:

Un “accomodamento ragionevole”

di Antonia Sani

COMMENTO ALLA SENTENZA SULLA PRESENZA DEL CROCEFISSO NELLE CLASSI

La battaglia di Franco Coppoli l’abbiamo seguita per oltre 10 anni in contatto diretto con lui come Comitato Nazionale Scuola e Costituzione e Associazione Nazionale per la Scuola della Repubblica. Lo scoglio era il comportamento dei capi d’Istituto che distribuivano i crocefissi nelle classi (vedi Verona, Ferrara…) basandosi sulla legge fascista del 1924.

Franco Coppoli ha tenuto duro. Il vecchio amico Checchino Antonini ha ripercorso tutte le sentenze pronunciate in merito, compresa quella della Grand Chambre che aveva posto allora una pietra tombale.

Il merito di quest’ultima sentenza sta nell’aver sgomberato il campo dall’ “obbligo del crocefisso” sollevato nel ricorso, un obbligo voluto nel vigore di una legge fascista del 1924 non sostenuta dalla Costituzione.

Cito alcuni passi della recente sentenza, assai importanti alla base di “un accomodamento ragionevole”: “il non obbligo non si traduce in un divieto di esposizione del crocefisso, esso pertanto può legittimamente essere esposto allorquando la comunità scolastica valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocefisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica e ricercando “un ragionevole accomodamento” che consenta di favorire la convivenza delle pluralità”.

E ancora: “nessuna tradizione storica prevede la presenza del crocefisso nelle aule e nei tribunali”.

La Corte di Cassazione precisa che imporre il crocefisso in un ufficio pubblico è in contrasto con la Costituzione. Ecco che così il cerchio si chiude. Gli elementi che in questi lunghi anni ci hanno accompagnato sono laicità e pluralismo, in lotta contro il mantenimento di un obbligo nato dal Concordato fascista del 1929 (e dall’intrusione della presenza dell’IRC nelle scuole col Nuovo Concordato del 1985).

Gran parte del popolo italiano ha piegato la testa al potere religioso, garanzia di accoglienza nel prossimo altro mondo. La sentenza citata, per la prima volta, mette sullo stesso piano la libertà di scelta al di fuori di ogni vincolo religioso legato esclusivamente al cattolicesimo.

Resta comunque, in alternativa, la legittimità dell’esposizione del crocefisso con proposte autonome. In sostanza, la Corte esclude l’obbligo ma non la presenza secondo un “accomodamento ragionevole”…

Ora il problema sarà: appendere o non appendere il crocefisso nelle aule?

Ci sarà probabilmente una battaglia in vari luoghi tra le due fazioni che indubbiamente si scateneranno. La sentenza parla di “accomodamento ragionevole”, come dire che – una volta stabilito il non obbligo – vanno messi in moto confronti con gli atei o gli appartenenti ad altre fedi religiose … Ci saranno maggioranze e minoranze?

Questa può essere una delle prospettive. Certo la presa di posizione della Corte è stata valida sullo scardinamento del concetto di “obbligo” ma piuttosto guardinga sulla presenza del simbolo. A tutt’oggi non siamo riusciti a escludere l’IRC dall’orario obbligatorio nonostante vari ricorsi. Questa stessa sentenza è forse un piccolo passo avanti?

Presidi-manager

In e-mail il 17 Ottobre 2021 dc:

Presidi-manager

di Lucio Garofalo

Nella mia oramai lunga carriera professionale mi è capitato più volte di “rimpiangere” i dirigenti scolastici di “vecchio stampo”. I quali sapevano, in qualche caso, come stimolare, coinvolgere e motivare con relativo successo il personale docente; sapevano valorizzare e gratificare, sia dal punto di vista economico che morale, i soggetti cooptati negli incarichi aggiuntivi di supporto alla dirigenza.

I “nuovi” capi di Istituto, sedicenti o presunti “presidi manager”, non sono in grado di fare altrettanto, ma si limitano a circondarsi di una cerchia, alquanto ristretta ed autoreferenziale, di leccapiedi, di cortigiani e signorsì, perlopiù cialtroni, assai improvvisati ed inetti, mossi da interessi venali.

I “nuovi presidi” si preoccupano esclusivamente di applicare ed osservare in maniera rigida ed ottusa le direttive burocratiche calate dall’alto delle gerarchie istituzionali. Sono burocrati e non manager. Sono burocrati e non dirigenti.

I vecchi direttori didattici, invece, erano in primis figure di psico-pedagogisti, vale a dire esperti di pedagogia e di didattica. E, in quanto tali, molti possedevano le competenze per fornire stimoli, riflessioni e idee utili al personale docente.

Non sempre era così, è ovvio, poiché i cialtroni e i burocrati ottusi ed arroganti erano presenti anche in quel ruolo ed in quel contesto storico, ma i dirigenti scolastici del passato vantavano un altro profilo giuridico e professionale: possedevano prevalentemente una preparazione culturale in termini di psico-pedagogisti.

I dirigenti scolastici odierni non posseggono tali competenze in materia didattico-pedagogica e si sono formati esclusivamente sul versante tecnico-normativo ed amministrativo.

Crocefisso mobile, religione cattolica stabile

30 Novembre 2021 dc, da Italialaica.it, 22 Settembre 2021 dc:

Crocefisso mobile, religione cattolica stabile

di Marcello Vigli

Per tredici anni un docente di una scuola superiore di Terni, Franco Coppoli, ha tenuto duro resistendo all’Amministrazione scolastica, che lo aveva condannato a restare un mese senza stipendio, per aver rimosso il crocefisso dall’aula in cui insegnava. La Corte di Cassazione, che lo ha assolto, ha così sancito che il crocefisso può essere esposto nelle aule scolastiche solo allorquando la comunità scolastica valuti e decida in piena autonomia di esporlo nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocefisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della comunità scolastica. All’interno di una pluralità di simboli il crocefisso non ha più un valore discriminante.

Questo significativo pronunciamento non risolve però il problema della presenza della religione cattolica nella scuola pubblica “statale” italiana: l’inserimento dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) all’interno dell’ordinamento scolastico costituisce il vero problema.

A dire il vero, questo inserimento ha una sua storia fatta di varie tappe. Ai tempi del Concordato fascista era stato inserito con un’ora in tutti gli ordini scolastici e affidato ad insegnanti nominati dai vescovi responsabili esclusivi anche dei programmi.

Col nuovo Concordato l’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) è diventato materia curriculare con differenziazioni fra i vari ordini.

Nella scuola elementare le due ore settimanali previste, senza un programma definito, sono affidate alle stesse maestre e ai maestri che si sono dichiarati disponibili. Nella scuola media c’è un’ora sola con un programma complesso, spalmato nel corso del triennio e definito in sede ministeriale d’intesa con l’autorità ecclesiastica. Per le superiori non sono previsti programmi definiti.

Sia nella scuola media che nelle superiori i docenti di religione cattolica sono diventati di ruolo, un ruolo molto speciale: se un/a docente della materia non intende più insegnarla ha diritto a scegliersene un’altra, per la quale sia abilitato/a, o passare alla segreteria di una scuola, anche altra, sempre con il consenso del vescovo che ne aveva consentito la nomina.

Questi aspetti rendono secondaria la soluzione della facoltatività della frequenza dell’ora di religione cattolica, mentre evidenziano lo status privilegiato della presenza della religione cattolica nella scuola pubblica.

Roma, 22 settembre 2021

Fiscalismo a distanza

In e-mail il 15 Novembre 2020 dc:

Fiscalismo a distanza

di Lucio Garofalo

Negli ultimi tempi, ho notato in alcune colleghe e colleghi un eccesso di zelo e di fiscalismo burocratico.

In un periodo di grave crisi sociale ed economica, di emergenza di tipo sanitario, nonché di sofferenza, disagio ed inquietudine esistenziale dei ragazzi, visto che la DaD è quello che è, mi permetto di osservare che un po’ di empatia e di comprensione in più da parte degli insegnanti forse non guasterebbe. Anzi, servirebbe a non far detestare oltremodo la DaD ai nostri allievi.

Mi pare che l’empatia sia una dote a dir poco preziosa ed indispensabile per chi insegna. Ma è una merce assai rara, perlomeno da quanto risulta dagli atteggiamenti poco garbati ed elastici, mostrati da alcuni insegnanti, che ho avuto occasione di rilevare negli ultimi tempi.

Ma chi non risulta empatico in presenza non lo è manco a distanza.

A dispetto di altre/i colleghe/i che la pensano in modo diverso io non mi riparo dietro veli di ipocrisia, né mi dissimulo dietro maschere di circostanza. Ogni volta tiro un mezzo sospiro di sollievo per aver concluso una riunione inutile, oppure un corso di formazione che non mi trasmette assolutamente nulla, tranne una ulteriore, ennesima conferma che la scuola odierna è (vi piaccia o meno, è così) alla mercé di burocrati ottusi e dei loro tirapiedi.

E chiunque osasse mettere in dubbio o in discussione tale “regime” vigente rischierebbe di incappare nelle maglie della censura, ovvero nel biasimo morale da parte del capo, se non addirittura nell’iscrizione in una sorta indice o di categoria etica infamante, quella dei “fannulloni”.

Ma contestare un tale “sistema” non equivale a sottrarsi al proprio dovere, a costo di far fronte ad un lavoraccio di tipo burocratico. Al contrario, provare a contestare un siffatto modello di istruzione, ovvero una visione della scuola che pone in cima all’agenda le scartoffie, le circolari, i format, i verbali, la “muffa” della burocrazia cartacea e digitale, rispetto agli allievi in carne ed ossa e alle loro esigenze culturali, affettive, psicologiche e formative, per me è un diritto-dovere sacrosanto, poiché sono un docente, e cioè un intellettuale che ha una mente pensante ed una coscienza civica, etica e critica.

Una scuola che si regge su cumuli di inutili circolari e scartoffie ammuffite è solo la tomba di ogni sapere, di ogni conoscenza e cognizione, ma altresì di ogni autentica, preziosa ed effettiva competenza tecnica derivante dallo studio e dallo scibile umano.

Il “buco nero” della scuola italiana

In e-mail il 5 Luglio 2020 dc:

Il “buco nero” della scuola italiana

di Lucio Garofalo

Propongo qui una mia riflessione che potrebbe risultare scomoda ed invisa agli occhi miopi dei benpensanti e dei farisei, adusi al più comodo riparo del conformismo e del perbenismo.

Parto da una sorta di provocazione: il bullismo emotivo e psicologico attuato dagli insegnanti è un fenomeno assai diffuso, quanto lo è il bullismo tra gli adolescenti.

Tale premessa mi serve a chiarire quale sia il livello di degrado morale in cui si è oramai ridotta la scuola italiana.

Mi vorrei soffermare su alcuni aspetti in base ai quali ho preso atto che il segmento più buio, cinico e detestabile dal punto di vista umano, è la scuola secondaria di 1° grado. Si tratta di una valutazione soggettiva, relativa a vicende che non posso riferire, per non scatenare reazioni di sdegno ed irritazione in chi ha la coda di paglia chilometrica.

Una collega di scuola secondaria mi ha confidato una serie di elementi preziosi e rivelatori, poiché hanno rafforzato i miei convincimenti maturati nel corso della mia carriera professionale. Una buona percentuale degli insegnanti di questo ordine di scolarità (non so dire se in buona o in mala fede) tende ad ottenere risultati esattamente antitetici a quelli attesi o desiderati dalla loro funzione: il rigetto verso la scuola e lo studio, l’avversione per i libri e la cultura.

Fatta eccezione per quei rarissimi e virtuosi esempi di colleghi provvisti di qualità empatiche. L’empatia è quella dote preziosa, direi indispensabile per chi si accinga ad intraprendere la difficile professione dell’insegnamento.

Questa riflessione non è inficiata da umori negativi, né da fattori emotivi, come si potrebbe insinuare piuttosto facilmente e molto malignamente. Io sono convinto che il segmento della scuola secondaria di primo grado sia una sorta di “buco nero” nella scuola del nostro Paese. Ricordo che, in un recente passato, sono assurti alla ribalta della cronaca episodi più o meno gravi e frequenti, di vero e proprio bullismo, se non di teppismo scolastico.

Ricordo notizie di docenti aggrediti persino dagli studenti, o dai loro genitori. E vari episodi di bullismo tra gli adolescenti.

Tuttavia, non si parla mai dei casi in cui il bullismo, di tipo psicologico, è esercitato dagli insegnanti. Piaccia o meno ai colleghi ed alle colleghe, è un dato di realtà. Ognuno di noi ha avuto un passato, forse turbolento ed irrequieto, relativo all’adolescenza, ha vissuto le crisi ed i turbamenti di tale stagione della vita. L’adolescenza è la fase esistenziale più difficile e più delicata, poiché è attraversata da inquietudini, ansie, sofferenze e disagi interiori, che sono amplificati da una consapevolezza non ancora matura. È un’età segnata da ribellioni e da gesti di disobbedienza, in cui si tende a contestare in modo istintivo, assoluto ed irrazionale, direi fisiologicamente, l’autorità incarnata dagli adulti, genitori e docenti.

Lungi da me l’intenzione di giustificare in alcun modo quei ragazzi che aggrediscono i loro docenti. Simili gesti sono solo da deprecare in modo netto e perentorio. Ma, nel contempo, sono da biasimare anche i docenti che si rendono artefici e colpevoli di atti di violenza psichica sistematica, azioni vili ed ingiustificate, nei confronti dei loro studenti.

Mi riferisco ai soggetti più timidi, verso cui è facile “sfogare” le proprie frustrazioni. Sono docenti con inclinazioni perfide e sadiche, proclivi ad infierire con un duro accanimento verso gli alunni più fragili e vulnerabili. Io stesso ho avuto la sventura di imbattermi in simili esemplari, specie nella secondaria di primo grado.

Che piaccia o meno ai colleghi ed alle colleghe, è una realtà innegabile, che ho riscontrato personalmente.