Più atei, meno laicità

3 Maggio 2023 dc, dal sito MicroMega, articolo del 2 Gennaio 2023 dc:

Più atei, meno laicità

Più atei, meno laicità: la libertà di credo e di non credere minacciata dall’autoritarismo

Il Report sulla libertà di pensiero 2022 denuncia l’aumento di persecuzioni rivolte agli atei nel mondo. In Italia l’Uaar avverte del rischio che il nuovo governo pone al principio di laicità.

di Michela Fantozzi

Nel 2022 la libertà di pensiero e di religione è diminuita ancora, nonostante gli atei e gli agnostici siano in crescita.

Lo afferma il Report sulla libertà di pensiero (Freedom of thought report (Fotr) Key Countries Edition) una pubblicazione annuale con focus particolare sulla libertà religiosa e sulla libertà delle persone non credenti. Il report è realizzato dal lavoro di diverse associazioni affiliate a Humanists International, organizzazione composta da 150 gruppi umanisti e non religiosi da tutto il mondo, e da diversi ricercatori che, anche in forma anonima, ogni anno esaminano il grado di libertà di coscienza e di fede degli Stati, prendendo sotto esame diversi fattori, dalla persecuzione della blasfemia alle discriminazioni nei conforti di chi non crede e non praticare la religione su base giornaliera.

Secondo il rapporto, la religione è diminuita del 9% e l’ateismo è aumentato del 3% tra il 2005 e il 2012, una tendenza che dipende fortemente dall’aumento del livello di scolarizzazione e dal reddito percepito.

In alcuni Paesi è illegale essere, o identificarsi come, un ateo. Molti altri Paesi vietano di lasciare la religione di stato. Sono 10 i Paesi in cui la pena per l’apostasia, ossia l’abbandono formale e volontario della propria religione, è spesso la morte: Afghanistan, Malesia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Iran. Quest’ultimo da mesi attraversato da ribellioni e manifestazioni civili proprio contro le imposizioni religiose e a favore della libertà delle donne.

Tra le discriminazioni più comuni contro gli atei si possono trovare varie sanzioni, tra cui l’esclusione dal matrimonio e la limitazione delle posizioni amministrative. Per esempio, in Ungheria, il rapporto denuncia come i richiedenti asilo di fede cristiana ricevano un trattamento di favore rispetto ai richiedenti di qualsiasi altra religione.

Sul Fotr del 2022 si è espressa anche l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar), che nel comunicato stampa del 9 dicembre dichiara:

“Soltanto il 4 per cento della popolazione globale vive in società davvero laiche […]. Per contro il 70% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui manifestare il proprio pensiero ateo o agnostico comporta vari livelli di repressione e dove la piena realizzazione del proprio diritto alla libertà di religione e dalla religione è letteralmente impossibile”.

Giorgio Maone, responsabile relazioni internazionali dell’Uaar, ha dichiarato:

«Ormai all’undicesima edizione del report possiamo rilevare una tendenza preoccupante: alla progressiva e inevitabile secolarizzazione delle società, nelle quali non credenza, cultura dei diritti umani e valori umanisti si diffondono inesorabilmente, corrisponde purtroppo una forte reazione conservatrice a livello politico, con iniziative tese a restaurare dall’alto l’influenza della religione nella sfera pubblica e privata, riducendo l’autodeterminazione personale».

Sull’Italia afferma: «L’Italia, la cui laicità è costituzionalmente sancita, ma al contempo viziata dal Concordato e della presenza strabordante del Vaticano nei media e nel discorso politico, negli anni è comunque progredita nei diritti laici soprattutto, lo affermiamo senza falsa modestia, grazie al lavoro della nostra associazione. Un lavoro però tutt’altro che terminato, e già le prime dichiarazioni di esponenti del nuovo governo ci inducono a moltiplicare gli sforzi per non tornare protagonisti in negativo delle prossime edizioni del Fotr».

Roberto Grendene, segretario nazionale Uaar ha commentato:

«Il report di quest’anno non mette sotto la lente d’ingrandimento l’Italia, ma possiamo assicurare che il nostro Paese ha conservato se non peggiorato la penosa posizione dello scorso anno, con una colorazione rossastra nella mappa complessiva elaborata da Humanists International, che la colloca a metà strada tra le discriminazioni severe e quelle sistemiche della libertà di pensiero. Basti pensare ai 26mila insegnanti di religione cattolica scelti dal vescovo e pagati dallo Stato, alla piaga degli obiettori di coscienza nei reparti di ginecologia della Sanità pubblica, alle norme che tutelano il “sentimento religioso” condannando a sanzioni amministrative i “blasfemi” e prevedendo addirittura il reato di vilipendio. E col nuovo esecutivo e la nuova maggioranza parlamentare il rischio concreto è vedere sprofondare ulteriormente l’Italia nella classifica del Fotr».

Un guitto, bigotto e caldofilo

5 Marzo 2023 dc:

Un guitto, bigotto e caldofilo

di Jàdawin di Atheia

In un noto quiz televisivo, da molti anni più o meno un’ora prima del Tg1, il solito conduttore romano, che nasce come comico, per il secondo anno consecutivo dà mostra di essere caldofilo oltre ogni decenza.

Il nostro è un caciarone, urla a dismisura, vuole essere piacione, ed a furia di essere esagerato diventa un guitto, come l’altro suo pari, di toscana appartenenza. È anche fervente cattolico, come tutti i suoi colleghi televisivi, del resto, e le domande del quiz sono sempre improntate alla massima osservanza. Non compare la benché minima “variante” laica, per non dire atea.

Come se non bastasse, il buffone è anche caldofilo: non vede l’ora che venga l’estate, e non siamo nemmeno in primavera: l’anno scorso ha detto, più o meno nello stesso periodo, “non vediamo l’ora che arrivi l’estate”, e quest’anno “ormai siamo in primavera, e speriamo che venga l’estate”.

Ora, brutto stronzo, il fatto che tu lo dica così sfacciatamente in televisione mentre il Paese, per il secondo anno consecutivo, affronta temperature innaturalmente alte e siccità già avanzata adesso, con un inverno inesistente, già non sarebbe tollerabile, ma almeno usa la prima persona, imbecille, e non dare per scontato che tutti, proprio tutti, la pensino come te!

Non parliamo poi del servilismo verso i laureati. D’accordo, hanno tutta la mia ammirazione e invidia tutti coloro che hanno ed hanno avuto la forza di volontà e la perseveranza di studiare all’università e, magari, un poco realizzarsi anche nel lavoro: sono il primo a congratularmi con loro perché ho sempre saputo di non essere all’altezza di compiere questi studi così impegnativi, che pur avrei ogni tanto voluto intraprendere (e non certo per la carriera!). Ma il suo prostrarsi di fronte a loro, tesserne lodi sperticate e smisurate è veramente esagerato, poco dignitoso e poco rispettoso per la stragrande maggioranza che laureati non sono e che, spesso, hanno più cultura generale di questi “mostri” di culture specialistiche. E che sono, tra i concorrenti, stretta minoranza.

La vera storia del Natale, festa laica

27 Febbraio 2023 dc, da MicroMega, articolo del 23 Dicembre 2022 dc:

La vera storia del Natale, festa laica

di Alessandro Giacomini

Le usanze di decorare l’abete e, soprattutto di festeggiare il Natale, sono sempre state pagane dalla notte dei tempi e il forte annacquamento religioso non ha il diritto di “disturbare” questa importante festa laica o, per meglio dire, astronomica, il cosiddetto “Dies Natalis Solis Invicti”, ovvero la rinascita del sole.

Con ciò non si vuole provocare nessuno, ma al contrario, fare un minimo di chiarezza sulle origini del cosiddetto Natale.

Molti obietteranno sul fatto che le nostre radici sono Giudaico Cristiane, altri in contrapposizione potrebbero replicare che la nostra cultura è anche Greco Romana, in ogni caso il Natale, se vogliamo essere il più coerenti possibile con la storia, andrebbe festeggiato in una “cattedrale” della scienza, ad esempio in un museo della scienza, magari decorando e abbellendo un cannocchiale nel contesto di un osservatorio astronomico, o magari con una celebre formula matematica, perché è solo per la stessa scienza che si dovrebbe festeggiare il Natale.

Facciamo un po’ di chiarezza, la ricorrenza astronomica storica è il 21 dicembre, data appunto del solstizio d’inverno, istituita come festa civile già dall’imperatore Aureliano con il titolo di Natalis Invicti.

Come molti sapranno l’aggiustamento dei calendari ha portato allo slittamento di 4 giorni e soprattutto alla sovrapposizione della festa cristiana su quella pagana, che esisteva in moltissime culture dal Mediterraneo al Nord Europa.

Era il giorno della rinascita della luce il 22 dicembre e il cristianesimo ha sostituito la festa pagana del Sol invictus con quella della nascita di Cristo, rubando di fatto il tutto al “dio della scienza” e, ad ogni latitudine storica, ai riti pagani precedenti all’avvento del cristianesimo.

Questa operazione avvenne a Roma ed è attestata per la prima volta dalla Depositio martyrum verso il 336 ma la tradizione di festeggiare la rinascita del sole, attribuendo a quella data la nascita di un Dio, è tradizione comune in diverse parti del mondo e tra diversi popoli, come attesta questo elenco, che segue, di quanti illustri appartenenti al mondo divino possono fregiarsi della propria nascita nei giorni che vanno dal 21 al 25 di dicembre. 

Dionisio o Bacco, dio del vino e della gioia in Grecia e a Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio, conosciuto da 13 secoli prima di Cristo, e il “mito cristiano”: Dioniso,”uomo che divenne dio”, era venerato come “dio liberatore” (dalla morte) perché, una volta defunto, discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla Terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. Per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati.

Direi più che imbarazzanti le analogie con la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ma questo è solo l’inizio, tra i nati verso il solstizio d’inverno ci sono molti altri antecedenti al cristianesimo, il quale ha assorbito e derubato l’essenza da tutti questi sotto elencati.

Sol Invictus dio indigete, fra le divinità delle origini romane più antiche, ricevuto da ancor più lontani cicli di civiltà come dalla tradizione indoeuropea, identificato poi con Mithra e col dio solare siriano Elio Gabalo.

Mithras, nato in una grotta sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell’impero dalle legioni, (e diverso dal Mithra di Persia), ricorda qualcuno vero?

Come lo stesso Mithra di Persia, nato da una vergine, morto e risorto (sembra dopo tre giorni) e ancora Attys, nato da una vergine, morto a titolo di sacrificio, e che risorge il 25/3 in corrispondenza anche di data, oltre che di significato di rinascita della vegetazione, col periodo della pasqua.

Senza dimenticare Atargatis di Siria, grande dea madre, dea della natura e della sua rinascita, chiamata dai romani anche Derketo e dea Syria (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita).

Oppure Kybele dea della Frigia amata da Adone (il 25 Dicembre era festeggiata insieme ad Adone: ma che tale data fosse considerata la nascita in questo caso non è certo, è solo presunto).

Astarte della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell’amore. Venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita). Anche essa scese agli inferi e risorse, che strano.

Osiride dio supremo egizio della morte e della rinascita della vegetazione, e per estensione della rinascita dell’uomo. La resurrezione è il tema centrale del mito trinitario egizio di Osiride, Isis e Horus dal quale pare proprio che sia stata presa l’ispirazione per una successiva famosa resurrezione in ambito ebraico.

Horus, dio falcone solare, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d’ispirazione alla triade cristiana non ufficiale di Dio padre, Madonna e Bambino Gesù, nonché al raggruppamento ufficiale della Trinità, che esclude l’elemento femminile. La sua nascita era celebrata il 26 Dicembre.

Ra, il dio Sole egizio corrispondente a Helios, la cui nascita era celebrata il 29 Dicembre nella città-tempio di Heliopolis, a lui dedicata, nella zona dell’attuale Cairo.

Infine, ma è solo una piccola parte, Krisna che muore ucciso da una freccia rinascerà anche lui e, anche lui come Babbo Natale, porta doni nel cuore della notte.

Se tutto ciò non è ancora sufficiente un piccolo contributo lo dedichiamo pure all’albero di Natale che non va certo dimenticato, l’usanza di decorare un abete il cosiddetto albero di Natale non è certo una prerogativa della comunità cattolica ma si è diffusa in tutto il mondo, antecedentemente e indipendentemente dal credo religioso.

La tradizione, la cultura della decorazione ha radici in un passato lontano e le sue origini sono pagane, tutto nasce in concomitanza con il solstizio invernale, i Maya, come successivamente alcuni Paesi nordici, ad esempio i Celti, avevano compreso che durante questo evento astronomico il giorno raggiungeva i suoi minimi per poi recuperare luce nei giorni successivi, era la rivincita della luce sulle tenebre.

L’abete, “pianta sempreverde“ anche in inverno, testimonia la resistenza della vita contro il rigido clima invernale, si prestava quindi ad essere “decorato“ proprio nel periodo del solstizio, la vita contro la morte vegetale.

La Chiesa Cattolica inizialmente vietò di abbellire abeti, visto poi la popolarità, con il suo classico opportunismo, incorporò anche questa tradizione.

Quindi attenzione alle palle di Natale e buona rinascita del sole a tutti.

Così, dunque, sarei un “cretino cognitivo”…

21 Febbraio 2023 dc:

Così, dunque, sarei un “cretino cognitivo”…

di Jàdawin di Atheia

Da quando è uscito, ho acquistato spesso un certo quotidiano i cui fondatori, a detta loro, se ne erano usciti da Corriere della Sera perché questo sarebbe stato “troppo a destra”. Allora sarà pure stato così, ora sono piuttosto dubbioso su chi, dei due, sia più “a destra”.

Ora lo acquisto di solito il giovedì, per un supllemento che, più passa il tempo, più è peggio.

Comunque: giovedì 16 Febbraio ho fatto il mio acquisto, più per abitudine che per convinzione, e, in una rubrica che mi risulta piuttosto seguita, nella pagina Commenti, si risponde a una lettera.

Un lettore francese parla dell’inno di quella nazione, e scrive “…solo gli ignoranti, ce ne sono parecchi anche qui in Francia, vorrebbero cambiare le parole troppo aggressive della Marsigliese (a parte che si scrive “de La Marsigliese”, nota mia). L’illustre curatore della rubrica, il cui cognome corrisponde a quello di un famoso uccello nero, risponde “…anche in Italia si canta con gioia…l’inno di Mameli, sottratto, grazie all’allora presidente Ciampi, alla retorica del “Dio patria e famiglia” alla quale vorrebbero farlo regredire sia l’estrema destra al governo, sia certi cretini cognitivi di estrema sinistra che, come da voi in Francia, prendono alla lettera le parole degli inni.”

E come si dovrebbero prendere, coglione?

Gli inni, dovrebbe essere ovvio, sono, per loro stessa natura, di parte. Infatti si chiamano così perchè “ineggiano” a qualcosa. E, di solito, sono trionfali, per non dire tronfi, e pomposi, ampollosi, vanagloriosi: nelle musiche e nei testi.

Il dramma è che dovrebbero “rappresentare” l’intera nazione, o un’idea, un’ideale. E invece, se va bene, rappresentano solo una parte. E poi c’è un’altra parte che “si sente” rappresentata ma è talmente ignorante e becera che neanche si è mai soffermata sulle parole dell’inno.

Come musica, l’inno italiano aggiunge alla pretesa pomposità, a cui nemmeno arriva, il ridicolo, che invece si dispiega pienamente nella sua “marcetta” saltellante.

Per non lasciare nulla al caso, dirò che anche “Bandiera Rossa”, inno dei lavoratori in genere e dei comunisti in particolare, è un brutto inno, sia nella musica che nel banale testo.

Detto questo, l’inno di Mameli è pessimo anche nel testo, che richiama i fasti di Roma, del suo “impero”, inneggia alla “patria”, al “sacrificio”, alla “morte”, a Dio, che addirittura avrebbe “creato” direttamente la Vittoria “schiava” di codesta patria (identificata con Roma) che, come sempre, è migliore di tutte le altre, più bella etc.

Ma, si sa, sono un “cretino cognitivo di sinistra” e prendo, cretinamente, alla lettera le parole dell’inno nazionale.

Così le ripropongo qui, così che altri “cretini” cognitivi si aggiungano alla nostra schiera.

Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò

L’hijab day è una sconfitta culturale. La libertà delle donne non passa per il velo.

14 Febbraio 2023 dc, dal sito MicroMega, 1 Febbraio 2023 dc:

L’hijab day è una sconfitta culturale. La libertà delle donne non passa per il velo.

di Giuliana Sgrena

Il relativismo culturale porta a difendere il simbolo dell’oppressione della donna. Se non sono riuscite le iraniane con un coraggio straordinario a smascherare il vero significato patriarcale del velo, sarà difficile convincere le femministe di casa nostra che la libertà non è nell’hijab.

Celebrare l’International hijab day mentre le donne iraniane – e non solo le donne – mettono a rischio la loro vita per eliminare il chador è una sconfitta culturale e politica di chi, in occidente, sostiene di difendere i diritti delle donne. Paradossalmente in occidente si difende il diritto di portare il velo mentre nei paesi musulmani le donne lottano per il diritto a non portarlo.

Il relativismo culturale porta a difendere il simbolo dell’oppressione della donna. L’hijab, infatti, non è una prescrizione del corano, non appartiene alla tradizione, ma è lo strumento per controllare la sessualità della donna. Infatti, secondo i fautori dell’integralismo islamico, il velo deve essere portato dalla prima mestruazione fino a quando la donna è feconda. Se lo può togliere in casa anche in presenza di uomini con i quali, se avesse un rapporto sessuale, sarebbe considerato incesto.

La donna deve coprirsi quelle parti del corpo – in alcuni casi completamente, come in Afghanistan con il burqa – che potrebbero indurre in tentazione il maschio, del quale deve preservare l’onore! E se l’onore della famiglia viene infranto è sempre la donna a dover pagare, spesso con la morte. L’hijab è il simbolo della discriminazione e dell’inferiorità della donna – peraltro teorizzato anche da (San) Paolo nella prima lettera ai corinzi – che deve abbassare gli occhi, non fare rumore, non alzare la voce. Certo questi comportamenti vengono ignorati nella campagna che sponsorizza il giorno internazionale dell’hijab che dovrebbe essere provato anche dalle non musulmane!

In questo caso, se a prevalere non dovesse essere l’esotismo di qualche ora, l’esperienza dovrebbe convincere le donne che il velo priva di quella sensazione di libertà rappresentata dal vento tra i capelli. Quella sensazione che aveva portato milioni di iraniane a aderire alla campagna lanciata da Masih Alinejad “My Stealthy Freedom” (la mia libertà clandestina o furtiva) postando sui social una loro foto senza velo, una campagna contro il velo che ha portato all’esplosione di una vera rivoluzione dopo l’uccisione di Mahsa Jina Amini nel settembre dello scorso anno.

Una rivendicazione femminista che ha provocato la nascita di un movimento che oggi riassume tutti i problemi sociali ed economici della società iraniana a partire dalla discriminazione delle donne. Una rivolta che unisce classi, generazioni ed etnie diverse e diventa una vera rivoluzione con l’obiettivo di porre fine al regime teocratico degli ayatollah. Una rivoluzione che se avrà il successo che auspichiamo avrà effetti su tutti i paesi musulmani interessati dalla reislamizzazione iniziata proprio con la vittoria di Khomeini in Iran nel 1979. La solidarietà con le donne iraniane in occidente, tuttavia, non sembra aver scalfito la convinzione che la “libertà” stia nel portare il velo, una scelta molto più facile da sostenere per chi non è obbligata a portarlo.

Il velo accompagnato dalla “modest fashion”, che ha alimentato il business della moda negli ultimi anni, che di modesto ha solo il nome. Il velo, infatti, è stato sdoganato in occidente non solo dalle campagne pubblicitarie come quella del Consiglio europeo dallo slogan “La libertà è nell’hijab”, fortunatamente bloccata dalla Francia, ma anche sulle passerelle di moda. Ormai l’hijab è entrato nelle “capsule collection” di tutti i maggiori stilisti a cominciare dalla “Ramadan collection” di Dkny e l’”Abaya line” di Dolce e Gabbana. Un giro di affari di parecchi miliardi forse persino più difficile da intaccare dell’International hijab day.

Tuttavia, se non sono riuscite le iraniane con un coraggio straordinario, motivate dal fatto che se non riescono ad abbattere la repubblica islamica non potranno mai affermare i loro diritti, sarà difficile convincere le femministe di casa nostra che la libertà non è nell’hijab. Ma sono sempre di più la ragazze in Italia che non accettano l’imposizione del velo da parte dei genitori immigrati da paesi musulmani, queste ragazze devono essere protette e devono poter scegliere il loro futuro, dobbiamo garantire loro una scelta di libertà.