Il governo neo-democristiano di Mario Draghi

In e-mail il 15 Febbraio 2021 dc:

Il governo neo-democristiano di Mario Draghi

di Lucio Garofalo

Ricordo che i golpe, un tempo, venivano attuati dai militari, oggi li ispirano i grandi banchieri e i tecnocrati dell’alta finanza, emissari della Confindustria ed alti referenti del Vaticano.

Tuttavia, in modo ipocrita li chiamano “governi tecnici”. Lungi da me l”intenzione di formulare un’analisi dietrologica: qui mi limito ad una presa d’atto, ad una mera constatazione di quanto è accaduto sotto i nostri occhi nell’ultimo mese.

Ad insinuare dubbi non sono i “perfidi bolscevichi” ed i “sovversivi rossi”, bensì pennivendoli al servizio degli apparati di potere, alti funzionari organicamente inseriti nei Palazzi del potere da anni. Viceversa, stupisce (non più di tanto) che i soggetti di un fantomatico e vago “centro-sinistra”, in cui si riconoscono oggi il PD, il M5S e vari “cespuglietti”, non abbiano mai battuto ciglio, né proferito verbo, per denunciare, né per stigmatizzare una congiura di palazzo in piena regola, che è stata orchestrata da elementi politici che fanno capo al potere economico sovranazionale ed “anonimo”, vale a dire il capitalismo cosmopolita, che non è più tanto occulto ed agisce in modo eversivo.

Una trama in cui il doppiogiochista Renzi ha fornito il ruolo dell’ariete di sfondamento, per rovesciare Conte e insediare un nuovo esecutivo, di tipo “tecnico”, che dai nominativi di alcuni ministri “riesumati” alla stregua del dottor Frankenstein (Brunetta e Gelmini, giusto per citare un paio di nomi che ci fanno rabbrividire), si preannuncia già tetro e sinistro.

Mi viene in mente una vignetta disegnata da Vauro ai tempi del governo Monti, che apparve su il Manifesto, in cui un tizio chiedeva: “E la democrazia?”, e un altro rispondeva: “L’hanno pignorata le banche!”. È una sintesi geniale di quanto è accaduto ancora nella realtà odierna.

Anzitutto, la squadra del neonato esecutivo Draghi concentra una serie di figure legate a doppio filo con i poteri forti e tradizionali, che da anni condizionano il triste destino del nostro Paese: le banche d’affari, la Confindustria, il Vaticano, i vertici militari. Tali poteri sono rappresentati nel governo Draghi in modo completo, usando il vecchio “manuale Cencelli”.

Infatti, figurano vari portavoce della Confindustria e dei poteri economici di regime, bocconiani, nonché docenti di università private, più alcuni fiduciari delle alte gerarchie ecclesiastiche, ed infine vecchi arnesi del berlusconismo,che credevamo, in modo ingenuo, che fossero ben riposti in una soffitta, e via discorrendo.

Il loro compito sarà di ordine prettamente tecnico-esecutivo, più che politico, in quanto dovranno tradurre in atti ed in provvedimenti di legge immediati le direttive dettate dai vertici del mondo confindustriale: si tratta di una linea politica sposata in pieno dalle più alte istituzioni globali, come il FMI e tutto l’establishment al completo, bancario e finanziario, di tipo sovranazionale.

Si potrebbe azzardare l’ipotesi che Draghi sia solo l’esecutore di un “disegno” di commissariamento del governo del nostro Paese.

Si è passati ad un tipo di esecutivo in cui figurano i referenti delle grandi banche d’affari, i “tecnici” confindustriali ed i referenti della curia pontificia, nonché lo “stato maggiore” berlusconiano. È arduo scegliere il “meno peggio” in un calderone pieno di personaggi a dir poco discutibili, di cui già abbiamo sperimentato le “capacità”: ricordo solo l’operato del già citato Brunetta.

L’esecuzione dei principali punti programmatici, prescritti dall’alto al governo del nostro Paese, da parte dei soggetti che in vari modi costituiscono l’emanazione più diretta delle più alte oligarchie del mondo finanziario, comporterà forse ulteriori violazioni dei diritti e principi di tipo democratico e sindacale, ovvero delle residue tutele sociali che ancora hanno garantito il mondo del lavoro nei comparti della Scuola e Pubblica Amministrazione in Italia.

È assai lecito paventare il rischio che incasseremo ulteriori sacrifici in quanto lavoratori. Dalle enunciazioni ancora piuttosto vaghe e generiche, direi ambigue, a tal punto che Mario Draghi si potrebbe ribattezzare come “democristiano”, si evince una palese assenza di rottura rispetto alla linea seguita dai governi negli ultimi lustri. Al contrario, si coglie una linea di aperta continuità con la politica adottata in passato da diversi governi sul fronte economico-sociale, e in particolare sul tema dell’istruzione scolastica e della Pubblica Amministrazione.

La storia insegna ma non ha scolari

In e-mail il 28 Agosto 2019 dc:

La storia insegna ma non ha scolari

di Lucio Garofalo

La caduta del governo giallo-verde, al di là delle simpatie e delle opinioni politiche di ciascuno di noi, non è da salutare con troppo entusiasmo poiché, in questo momento, non esiste un’alternativa politica valida, tanto meno funzionale agli interessi delle classi lavoratrici.

In qualche misura si è replicato il copione delle manovre che nel 2011 fecero cadere il governo Berlusconi, favorendo l’ascesa di Monti a Palazzo Chigi. Con le conseguenze nefaste che ben sappiamo: su tutte, cito la “riforma Fornero” e otto anni (!) di austerity.

Politiche che hanno generato in Italia oltre 5 milioni di poveri assoluti.

Ed è sempre l’austerity il “modello” di politica economica alla base delle privatizzazioni e dei disastri (anzi, delle stragi) come il crollo del viadotto di Genova del 14 agosto 2018. La linea perseguita dal governo Monti e dai vari governi targati PD (soprattutto Renzi) è stata costellata da una sequela di costrizioni e ricatti dettati dall’alto per imporre, nel modo più tassativo, quelle controriforme ostili ed impopolari sofferte in Italia negli ultimi anni.

Il solo fatto che il governo giallo-verde non sia stato succube dei diktat di Bruxelles e della BCE è certo da ritenersi un segnale incoraggiante, nella misura in cui si è interrotta la politica decennale e mortifera dell’austerity che ha imperversato negli ultimi tempi.

È questo il modo più corretto e realistico di ragionare e di analizzare i fatti nella loro cruda e nuda realtà, e non secondo i nostri più intimi desideri, né in base alle nostre aspettative o simpatie personali. Almeno ciò è l’approccio più serio e ponderato per quei comunisti più sinceri e coerenti, e non faziosi, né dogmatici.

Invece, per i fantocci e i clown “sinistrati”, che non si degnano di leggere la realtà con una lente di sincerità intellettuale, bensì la deformano a proprio piacimento, il discorso è diverso.

Ai “compagnucci” che sbraitano contro il “mostro leghista” mi permetto di ricordare che “governi tecnici” imposti dalla Troika (in uno stile alla Monti) sarebbero più deleteri di un governo con Salvini. Un’eventuale “sterzata a destra” si traduce nei contenuti e nelle priorità trascritte nell’agenda politica, e non nei simboli di partito. Altrimenti, mi si risponda come mai le peggiori politiche di tipo socio-economico degli ultimi anni sono state realizzate sotto l’egida di quei partiti che, almeno in teoria, e cioè verbalmente, si dichiarano “di sinistra”.

Credo che i simboli e le etichette formali non contino più delle azioni concrete e dei fatti, in politica come in altre dimensioni e in altri settori della vita sociale. Mi riferisco non solo al PD di Renzi e Gentiloni, oggi di Zingaretti, bensì anche ai governi presieduti da Prodi (nel 1996 e 2006), appoggiati da Rifondazione ai tempi di Fausto Bertinotti.

Purtroppo, si sa che: “la storia insegna, ma non ha scolari”, come ci spiegava Gramsci.

Zingaretti e le illusioni di sinistra sul PD

In e-mail il 10 Marzo 2019 dc:

Zingaretti e le illusioni di sinistra sul PD

L’incoronazione di Luca Zingaretti a nuovo segretario del PD è stata celebrata da tanta stampa liberale, la Repubblica in testa, come il segno di una svolta attesa. Un settore significativo della borghesia liberale, rimasta orfana di una rappresentanza politica diretta, saluta con entusiasmo una possibile ripresa del PD. È la speranza del ritorno al “normale” bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra, che rimpiazzi l’attuale governo dei parvenu e ripristini l’agognata alternanza, il pendolo che per vent’anni ha incardinato in Italia il corso delle politiche borghesi di austerità.

 

È una via che non appare in discesa. Le destre (diversamente) reazionarie che governano l’Italia hanno ancora un capitale di consenso complessivamente maggioritario, grazie al tappeto che i governi del PD hanno loro offerto. E il vento europeo non promette nulla di buono. Tuttavia è vero che la crisi del blocco sociale del M5S e il capovolgimento dei rapporti di forza nella maggioranza possono minare la tenuta politica del governo, tanto più a fronte di un compito temerario: varare una legge di stabilità zavorrata in partenza da 23 miliardi per le clausole Iva sullo sfondo di una possibile recessione economica.

Quale alternativa di governo in caso di frana dell’attuale esecutivo? Questo è l’interrogativo che la borghesia liberale si pone. La speranza di una rinascita del PD si pone in questo orizzonte.

Ma cosa c’entra tutto questo con la sinistra?

Una parte di popolo della sinistra appare risucchiata dall’illusione di ritorno nel PD. Un tempo fu l’illusione per Bersani, dopo la stagione liberal di Veltroni. Oggi è l’illusione per Zingaretti, dopo (e contro) la stagione del renzismo.

Ogni volta si cerca nel PD il volto amico di una possibile sinistra rediviva, ma ogni volta si prende una inevitabile facciata. La natura politica e sociale di un partito non dipende dal nome del segretario, ma dalle sue relazioni materiali con le classi sociali e la loro lotta.

Certo, la fisionomia del gruppo dirigente non è irrilevante, e sicuramente il renzismo ha incarnato, coi suoi tratti populisti e bonapartisti di consorteria di provincia, un corso politico particolarmente reazionario del partito.

Ma quel corso politico potè farsi strada nel PD grazie alla natura borghese del partito, ai suoi legami organici col capitale, alla sua vocazione antioperaia.

Questa natura cambia forse con Zingaretti segretario? No. Cambia il corso politico del partito, subentra una gestione più collegiale e meno pirotecnica, si confeziona un’immagine pubblica meno respingente e più attenta in apparenza alle ragioni sociali; ma il cambio d’abito di stagione non cambia la natura del partito che l’indossa. E i primi fatti lo documentano eloquentemente.

Il primo atto di Nicola Zingaretti è stato osannare il TAV. Il secondo è stato applaudire al manifesto europeo di Macron. Non si tratta di scelte casuali. Il nuovo segretario del PD ha voluto segnalare al capitale italiano ed europeo che il partito non ha cambiato la propria ragione sociale: ha voluto assicurare la borghesia che può ancora affidarsi al PD.

Del resto: Gentiloni presidente del PD mette un timbro inconfondibile di continuità, non meno del sostegno a Zingaretti dell’area Franceschini e di Minniti, o del corteggiamento di Calenda. Lo stesso programma del nuovo segretario ne fa fede: nessuna revisione delle misure antioperaie del renzismo (l’articolo 18 resta soppresso), nessuna revisione delle politiche di Minniti sull’immigrazione, a parte il richiamo rituale ai valori democratici e progressisti.

Sarebbe questa… la svolta?

Certo, Luca Zingaretti non è così ingenuo da ripercorrere i sentieri suicidi di Bersani. Se dopo le europee il governo Conte cadrà non offrirà (probabilmente) i voti del PD a un nuovo governo Monti chiamato a varare lacrime e sangue, né spenderà precocemente la carta incauta di un’apertura al M5S. Chiederà probabilmente elezioni politiche, proverà a rilanciare il PD, rifare i suoi gruppi parlamentari (oggi prevalentemente renziani), ricostruire un campo di centrosinistra con chi a sinistra gli farà da stampella.

Con quale obiettivo?

Quello di sempre: riconquistare il governo del capitalismo italiano, amministrare i suoi interessi, riverniciare il tutto con un po’ di salsa progressista. Con chi governare lo vedrà in base agli equilibri del nuovo Parlamento, e senza escludere nessuna soluzione, neppure quella di un governo con il M5S.

Il movimento operaio e le sue ragioni sociali non hanno nulla da spartire col PD, oggi come ieri.

La demarcazione dal PD di un campo di classe dei lavoratori e delle lavoratrici resta una necessità inaggirabile, che l’esperienza dei fatti confermerà ogni giorno, contro ogni illusione.

Partito Comunista dei Lavoratori

Una legge truffa per i lavoratori e le lavoratrici

In e-mail il 3 Gennaio 2019 dc:

Una legge truffa per i lavoratori e le lavoratrici

2 Gennaio 2019

Ora che la Legge di stabilità è stata approvata, possiamo aggiungere alle considerazioni già espresse un giudizio d’insieme. Doveva essere “la manovra del popolo”, è invece una legge truffa.

La Legge Fornero rimane, con la sola parentesi di tre anni della cosiddetta “quota 100” (che quota 100 non è per via del vincolo dei 38/62 anni). Una parentesi che sarà finanziata in parte, oltretutto, dal blocco parziale dell’indicizzazione delle pensioni, voluto proprio dal governo Monti-Fornero. Peraltro moltissimi lavoratori e (soprattutto) lavoratrici interessati saranno esclusi persino dalla “parentesi”, per via del numero insufficiente dei contributi maturati o, di fatto, per la penalizzazione legata al minor numero dei contributi stessi.

Il cosiddetto reddito di cittadinanza, che attende ancora il decreto attuativo, assomiglia sempre più a un incentivo all’assunzione rivolto alle imprese. Lo stesso quotidiano di Confindustria ha commentato con compiacimento: «Le imprese entrano a pieno titolo nell’operazione reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza inizia ad avere sempre più la veste di vera politica attiva» (Il Sole 24 Ore, 28 dicembre 2018). Siamo al punto che persino Matteo Renzi, sulle colonne di Corriere della Sera, ha rivendicato la versione annunciata del reddito di cittadinanza come continuità degli incentivi del Jobs act.

Ma soprattutto il punto è: chi paga? Per poter sventolare sotto elezioni il drappo di due bandiere-elemosina e al tempo stesso mediare con la UE e rispettare il Fiscal compact – cioè il patto col capitale finanziario – i due imbroglioni Di Maio e Salvini hanno fatto l’operazione più semplice. Hanno spostato il carico di spesa sul 2020 e il 2021 con una gigantesca clausola di salvaguardia sull’Iva: 23 miliardi sul 2020 e 28,8 miliardi sul 2021.

Le elemosine sdrucite di oggi sono messe sul conto futuro dei “beneficiari” attraverso un aumento massiccio delle imposte indirette ammazza-salari o attraverso un taglio corrispondente delle spese sociali. Semplicemente, ai “beneficiari” questo non viene detto. A loro si comunica la «svolta storica», l’«abolizione della povertà», l’«orgoglio ritrovato dell’Italia» e altre idiozie spazzatura.

Peraltro, l’anticipo del conto è già in parte scritto, nero su bianco, nella manovra approvata.

La scuola subisce un taglio triennale di 4 miliardi, dal taglio al sostegno al taglio dell’edilizia scolastica.

Le privatizzazioni e dismissioni di beni pubblici previste sul solo 2019 ammontano a 19 miliardi, mentre nello stesso anno diminuiscono in assoluto gli investimenti pubblici.

Le assunzioni vengono bloccate nel 2019 in larga parte della pubblica amministrazione, con la mancata sostituzione di chi andrà in pensione e una pesante ricaduta su servizi già collassati, in particolare nella sanità.

Vengono sbloccate le tasse locali, con un via libera ai Comuni per nuovi rincari di Irpef, Imu, Tasi.

Si tagliano verticalmente, com’è noto, le spese per l’assistenza e l’integrazione dei migranti (dai famosi 35 euro vengono decurtati da 18 a 24 su affitto, pasti, biancheria, formazione).

All’altro capo della società le cose vanno diversamente.

Le imprese incassano la deducibilità dell’Imu sui capannoni al 40% (Di Maio puntava al 50%), l’ulteriore abbattimento della tassa sugli utili reinvestiti, anche in contratti a termine, dal 24% al 15% (Ires), la riduzione del 32% dei contributi per gli “infortuni” sul lavoro (Inail), la liberalizzazione degli appalti senza gara entro i 150.000 euro.

Le piccole imprese e i liberi professionisti incassano la flat tax al 15% sul fatturato sino ai 65000 euro nel 2019, e sino ai 100000 nel 2020.

Le banche e le assicurazioni che pagano un obolo triennale di 5 miliardi, prevedibilmente scaricato sui conti correnti e sulla clientela, intascano i 70 miliardi ordinari di soli interessi annui sul debito pubblico, per di più prevedibilmente maggiorati, di due miliardi, per via dell’aumento intervenuto dello spread (divario del tasso d’interesse tra titoli pubblici italiani e tedeschi) e della fine del Quantitative Easing della BCE.

Quanto ai salariati pubblici e privati, continueranno a reggere sulle proprie spalle l’intero edificio della società borghese.

Nulla muterà per loro.

Continueranno a pagare l’80% del carico fiscale.

Continueranno a subire la vacanza contrattuale nel settore pubblico.

Continueranno a subire il Jobs act di Renzi, rimasto intatto in tutti gli aspetti essenziali, a partire dall’abolizione dell’articolo 18.

Continueranno a subire il precariato (il famoso decreto dignità che doveva “abolirlo” ha esteso l’uso dei contratti a termine dal 20% al 30% dell’organico aziendale).

Continueranno a lavorare nei giorni festivi nella grande distribuzione e nel commercio, visto che la promessa di cancellarli è rimasta tale.

Mentre sotto la pressione delle Regioni a guida leghista, Veneto in testa, il governo ha avviato un progetto di autonomie regionali che tratterrà al Nord il grosso del residuo fiscale a scapito del Mezzogiorno, e mirerà a differenziare prestazioni e condizioni giuridiche e contrattuali del lavoro su basi territoriale. Un colpo frontale ai lavoratori e alle lavoratrici di tutta Italia.

Sino a quando? Sino a quando non si produrrà una grande ribellione sociale, di classe e di massa, che ponga l’interrogativo su quale classe governerà l’Italia: se i padroni o i lavoratori.

Partito Comunista dei Lavoratori

Occupyamo Piazza Affari!

Il volantino del sindacato di base CUB:

Occupyamo Piazza Affari!

Contro le politiche antisociali del governo e della Bce

I loro affari non devono più decidere sulle nostre vite. Per una società fondata sui diritti civili e sociali, sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni.

 Misure “lacrime e sangue”sono la ricetta del governo delle banche e della finanza che, con il sostegno del centro-destra e del centro-sinistra, è ormai in carica da oltre tre mesi. Il massacro sociale del governo Monti dilagherà se verrà applicato il trattato europeo deciso dai governi Merkel, Sarkozy e Monti. Ora vogliono cambiare la Costituzione, senza consultare i cittadini e imponendo il pareggio di bilancio. Ora vogliono imporre un trattato, il fiscal compact, che impone la schiavitù del debito per vent’anni. Per vent’anni dovremo sacrificare i diritti sociali e quelli delle lavoratrici e dei lavoratori, per pagare il debito agli stessi affaristi e speculatori che l’hanno creato.

 Una crisi del sistema capitalista da cui le classi dominanti non riescono ad uscire. L’individuazione di “medici” come Monti in Italia o Papademos in Grecia, che in realtà non fanno che aggravare la malattia scaricando sui lavoratori e sulle classi popolari il peso della iniqua distribuzione del reddito con il conseguente peggioramento delle condizioni di vita e l’eliminazione di diritti conquistati con anni di lotte. Per questo diciamo NO alla precarietà e alla messa in discussione dell’articolo 18, alla distruzione dello stato sociale, dei diritti, della civiltà e della democrazia. Per questo diciamo NO alla distruzione dell’ambiente, alle grandi opere, alla Tav.

 Negazione della democrazia e repressionesono gli strumenti con cui le classi dominanti stanno cercando di fermare e dividere il movimento popolare che va opponendosi al dilagare della precarizzazione e della disoccupazione di massa: lo abbiamo visto in questi giorni in Val di Susa, ma anche contro molte lotte operaie e di resistenza sociale.

Chiediamo ai giovani e alle donne, alle lavoratrici e ai lavoratori, ai precari, ai pensionati e ai migranti, ai movimenti civili, sociali e ambientali, di organizzare insieme una risposta a tutto questo con una grande manifestazione nazionale a Milano il prossimo 31 marzo

Unire le lotte per un’opposizione sociale e politica di massa, capace di incidere, dal territorio, alla scuola e all’università, alle lotte per il lavoro: dalla Argol di Fiumicino alla Wagon-Lits di Milano, alla Alcoa di Portovesme, alla Fincantieri, alla Esselunga, alla Fiat e alle lotte dei migranti. Vogliamo manifestare assieme a tutti i popoli europei, schiacciati dalle politiche di austerità e dal liberismo, in particolare al popolo greco, sottomesso ad una tirannide finanziaria che sta distruggendo il paese.

 Vogliamo un diverso modello sociale ed economico in Italia e in Europa, fondato sul pubblico, sull’ambiente e sui beni comuni, per riconvertire il sistema industriale con tecnologie e innovazione, per la pace e contro la guerra, per lo sviluppo della ricerca sostenendo scuola pubblica e università, per garantire il diritto a sanità, servizi sociali e reddito per tutti, lavoro dignitoso, libertà e democrazia.

 Il 31 marzo tutte e tutti in piazza a Milano:

manifestazione nazionale a Piazza Affari

Occupyamo Piazza Affari. Costruiamo il nostro futuro

 


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