L’imbecillità come stato nascente

20 Agosto 2022 dc, da Hic Rhodus 14 Giugno 2022 dc:

L’imbecillità come stato nascente

di Claudio Bezzi

Scrivo oggi un commentino all’interessante articolo di Nicola Mirenzi, sull’HuffPost del 12 giugno (Santoro e la sindrome del tutto fuorché l’Occidente), perché ieri ho scritto di politica e non volevo sovrapporre discorsi diversi (ma collegati, come stiamo per vedere.

Anche se l’autore se la piglia con l’irriducibile Santoro, fa un discreto excursus sul fascino che avrebbero i dittatori e le dittature per un certo pensiero intellettuale di sinistra, citando Moravia (e il suo viaggio in Cina del ’67 che produsse corrispondenze e un libro), Misiani (magistrato, tra i fondatori di Magistratura Democratica), Foucault (e il suo viaggio nell’Iran khomeinista del ’79). Con dovizia di particolari e citazioni che oggi possono apparire per lo più raccapriccianti, col senno di poi. E se questo senno arriva 40, 50, 60 anni dai fatti che indussero Moravia, Misiani e Foucault ad esprimere certe idee, per Santoro parliamo dell’oggi e, per esempio, della sua ambiguità verso Putin e la guerra da lui scatenata. Ma qui non mi interessa Santoro.

Al parziale elenco di Mirenzi potremmo aggiungere i tanti intellettuali (non solo italiani) affascinati dalla rivoluzione bolscevica; da quelli affascinati da Castro e altri dittatori dell’America Latina; da quelli che anche dopo l’invasione dell’Ungheria continuarono a sostenere Stalin, eccetera.

Vorrei qui fare alcune riflessioni su questo tema: perché una parte di intellettualità si lascia irretire dal fascino oscuro del massimalismo populista, del comunismo orwelliano? Mirenzi dice cose giuste ma parziali, che partono dalla critica del modello democratico-liberale occidentale che questi intellettuali propongono con un sillogismo fallace:

la democrazia in cui viviamo è difettosa e ingiusta, alimenta disuguaglianze e produce (anche) effetti negativi,

quindi

la democrazia occidentale ha delle colpe,

quindi

modelli di governo alternativi (anti occidentali) sono da preferire,

poiché

evitano quelle disuguaglianze e quegli errori.

Le fallacie sono in quelle congiunzioni, ovviamente, che propongono una consecutio che andrebbe argomentata e che, all’analisi, si mostrerebbe falsa.

Anche se questa errata argomentazione si ritrova pure a destra (il fascismo delle origini, Bombacci che aderisce alla RSI, …) è in particolare a sinistra che dispiega maggiormente la sua dannosa potenzialità, sia per l’esiguo numero di intellettuali che la destra può vantare sia per il credito che la cultura di sinistra, in particolare marxista, ha acquisito uscendo in qualche modo vincente dal secondo conflitto mondiale (la resistenza, l’URSS vincitrice…).

Il fatto che con dati, testimonianze e numeri si possano controbattere quelle fallacie è illusorio, perché il velo dell’ideologia impedisce a costoro di riconoscere il vero in quei dati e in quelle testimonianze, mentre la realtà complessa rende comunque possibile controbattere con altri dati, e altre testimonianze, di natura positiva; un fatto che obbligherebbe a discutere il diverso valore degli uni e delle altre, con capziosità crescenti e irriducibili. Insomma: se credi che l’Occidente sia il male, che il Governo sia il male, che i padroni siano il male, a poco serve discuterne, perché quel giudizio è valoriale, affonda le radici sul senso profondo dell’essere, sulla sua identità, sul suo posto nel mondo.

Ampliando un poco lo sguardo, in queste critiche radicali e irrazionali stanno tutti gli atteggiamenti che etichettiamo come cancel culture, antagonismo, derive woke e gender, poi fenomeni politici contemporanei come la Brexit, il fallimento dei referendum costituzionali di Renzi, il putinismo di quell’Orsini che mi pare scomparso dal triste panorama mediatico, i No-TAV, i No-Vax e molto altro ancora.

Una chiave interpretativa abbastanza semplice ce la fornisce la teoria sociologica dello “stato nascente”; usando le parole del primo che ne ha trattato in Italia, Francesco  Alberoni:

Lo stato nascente […] è uno speciale stato della mente, che si dilata, respinge o riformula il passato e si slancia con uno straordinario impeto vitale verso il nuovo, in cui intravvede un nuovo mondo, una nuova vita. Lo stato nascente è aprire gli occhi e il cuore al futuro, al meraviglioso, è risveglio dei sentimenti, del desiderio, della volontà, è apparizione luminosa, esplosione della speranza.

Lo stato nascente è una struttura preideologica, che poi si riempie sempre di un contenuto ideologico. È cioè costituita da un insieme di operazioni mentali(o categorie)che sono sempre le stesse, anche se si riempiono di contenuti storici diversi. Dobbiamo immaginare dei circuiti cerebrali che si attivano e al loro interno elaborano il pensiero storico. Quando tanti soggetti la provano insieme si riconoscono, formano un gruppo coeso e solidale, il movimento, e questo diventa una setta, un partito, una nazione, una Chiesa. La struttura categoriale dello stato nascente non può essere descritta.

Ma studiando molti movimenti  si possono trovare delle categorie che indicano la direzione della sua azione plasmatrice: la rivolta  il rovesciamento dell’ordine esistente; la liberazione, l’individuo ha l’impressione di potersi finalmente liberare da tutti i vincoli, le coercizioni, i divieti, le regole, le repressioni. La rinascita: l’individuo ha l’esperienza esaltante di una vita nuova e felice, “Incipit vita nova!”; la storicizzazione, ogni movimento scopre che il male e la sofferenza presenti hanno avuto inizio da un errori del passato. L’esperienza metafisica: la vera realtà non è l’esistente, ma l’ideale.  Libertà e destino: ora, il soggetto si sente fino in fondo libero, eppure con un destino che lo guida. Unanimità. Nel gruppo tutti pensano e sentono nello stesso modo. La fratellanza,  il comunismoil  progetto. Bisogna costruire il futuro. (fonte)

Come scrive Alberoni, non solo fenomeni collettivi ma anche personali sono plasmati da questo “stato della mente”; per esempio l’innamoramento, fase iniziale di una relazione di desiderio e piacere sessuale, diverso dall’amore che ne è l’epilogo consolidato, non più esplosivo, direi istituzionalizzato, imborghesito.

Se ripercorrete la storia del Movimento 5 Stelle, vedete chiaramente cosa significhi stato nascente, con le sue caratteristiche componenti (fonte):

  • Conflitto con l’istituzione
  • Spontaneità
  • Solidarietà
  • Comunione
  • Unanimità
  • Utopia
  • Pluralità d’interessi
  • Avvio del movimento
  • Transitorietà

Lo stato nascente è la condizione dell’adolescenza: irrequietezza, ribellismo, insoddisfazione, trasgressione… È una condizione totalizzante, identitaria, manichea, che inclina verso la nota dinamica di attacco e fuga studiata dagli psicologi sociali. È compulsivo e idiosincratico, intollerante, esclusivo.

I regimi ammirati da Moravia e Foucault erano casi di stati nascenti, ai quali si contrapponeva la cultura occidentale vecchia, stanca, burocratica, istituzionale. Rappresentavano il vitalismo contro la decadenza, la gioventù contro la senilità, quindi la speranza avversa all’ingiustizia.

Si può facilmente comprenderne il fascino da parte di intellettuali colti che vedevano i difetti delle democrazie, e ne cercavano delle risposte laddove l’Utopia sembrava a portata di mano.

L’unica altra risposta, che non sia adolescenziale, è la diuturna costruzione di ragioni propositive, di soluzioni sempre e solo parziali, di faticosi compromessi, di tentativi ed errori: ma se questa prudenza mediana, questo lento costruire, poteva sembrare possibile in decenni lontani, oggi sono fortemente contrastati dai nuovi modelli culturali e dai processi sociali che informano la nostra quotidianità, dalla crisi degli intellettuali alla perdita dei legami forti, dall’immediatezza della comunicazione assieme alla sua potenziale falsità, dalla perdita di orizzonti identitari – a seguito del declinare delle ideologie – all’individualismo esasperato.

Aggiungiamo la perdita di valore della conoscenza, della cultura del dato, dell’opinionismo dilagante, dell’analfabetismo funzionale, della perversa potenza dei social media eccetera, e avrete come conseguenza una dilagante adolescenza sempre esasperata, sempre insoddisfatta del bene (come ha indicato anni fa anche Luhmann) e alla spasmodica ricerca del meglio, sempre irritata dalle regole condivise e desiderose di regole speciali per sé.

Quando scrivo, da un po’ di tempo, della perdita del senso della politica, intendo proprio questo: la politica è costruzione lenta attraverso il dialogo argomentato. Roba da vecchi. Serve pazienza, mediazione, comprensione, accettazione dell’altro, considerazione prospettica delle ragioni proprie e altrui. Oggi siamo tutti adolescenti alla ricerca del godimento immediato, viviamo di pensieri estemporanei, siamo insofferenti.

Ecco perché l’altrove è meglio. Era meglio, per Moravia, la Cina di Mao e della sua terrificante rivoluzione culturale (ma diciamo che si capì anni dopo quanto fosse terrificante (Nota mia: lo capirono solo gli antistalinisti e i non marxisti, purtroppo)), piuttosto che la caliginosa democrazia dei compromessi.

Così, più o meno allo stesso modo, è meglio Putin di Biden; è meglio la decrescita felice che una crescita equilibrata; è meglio un impossibile tutto e subito, anziché qualcosa di sensato e condiviso, forse, fra un po’.

La democrazia non obbliga all’intelligenza

15 Luglio 2022 dc, articolo su Hic Rhodus il 27 Aprile 2022 dc (Nota mia: non sono d’accordo su tutto, ma non intervengo, ma sul fatto che ormai non si tratta più da tempo di lotta di classe ma di lotta tra intelligenti e imbecilli, approvo senza riserve):

La democrazia non obbliga all’intelligenza

di Claudio Bezzi

In un duplice senso: non occorre una diffusa intelligenza di massa affinché la democrazia si sostenga, e la democrazia non impone ai suoi cittadini un livello minimo di intelligenza sotto il quale – per dire – scatta una sanzione. Tutto questo è bellissimo, direi entusiasmante; e se non la pensassi così dovrei ricorrere a massicce dosi di antidepressivi visto quel che si è visto alle manifestazioni del 25 aprile, per dire solo l’ultima (una cronaca QUI).

La democrazia (nel senso e nelle forme tipiche dell’Europa occidentale, per esempio) parte dal presupposto liberale che ciascuno ha diritto al proprio pensiero, ad esprimerlo, ad organizzarsi per diffonderlo, e a concorrere alle elezioni per affermarlo, candidandosi quindi a governare il Paese per fare e disfare sulla linea di quel pensiero. Gente, se non è libertà questa, non saprei proprio quale potrebbe esserla! E ce l’abbiamo noi, qui, in Europa Occidentale, assieme ai nordamericani, agli australiani, ai giapponesi e pochi altri popoli.

Ma che bello!

Ma la democrazia è anche ambigua: sì, ti lascia la libertà di dire e fare ciò che vuoi, ma conta sul fatto che tutte le imbecillità restino sostanzialmente contenute e marginali.

Questa specie di ipocrisia aveva una ragion d’essere quando le democrazie occidentali assunsero la loro forma attuale, ovvero all’indomani del secondo conflitto mondiale (qualcuna prima, certo, è per fissare una specie di data convenzionale). A quell’epoca – secondo la famosa sintesi di Umberto Eco – gli imbecilli sproloquiavano nei bar dopo un bicchiere di vino, e semplicemente non avevano alcuna scala pubblica per arrivare a un qualunque potere (amministrativo, politico, mediatico). La cosa finiva lì, i compaesani sopportavano e semmai sghignazzavano, e all’amministrazione cittadina arrivava un galantuomo come tale conosciuto dai cittadini (qualche volta azzeccandoci, qualche volta no, ma non cavilliamo).

Poi quell’amministratore, se si era fatto notare, veniva invitato dal suo partito a candidarsi alle regionali, poi alle politiche, faceva “carriera”, dava il suo contributo, mentre l’imbecille continuava con le sue sciocchezze in quel medesimo bar. Vigeva una sorta di omeostasi sociale: il consenso veniva costruito non tanto sul dire quanto su un fare coerente col detto, ed efficace in sé, visibilmente efficace per una quota consistente di beneficiari (cittadini, quindi elettori). Anche nei momenti di grave crisi democratica (per esempio gli anni di piombo, che ricordo assai bene) il dibattito politico anche fra posizioni distanti riusciva a trovare una sintesi, e le lacerazioni democratiche (tale fu l’assassinio di Moro) riuscivano a ricomporsi: con fatica, col tempo, ma si ricomponevano.

Una serie di eventi separati, alcuni tecnologici (Internet soprattutto) altri geopolitici (la fine dei blocchi) ed economici (la Cina nel WTO) hanno semplicemente cambiato il mondo in molteplici e irreversibili modi (ne parlai QUI tempo fa). Una tremenda eterogenesi dei fini che ha reso impossibile l’omeostasi necessaria alla democrazia per difendersi dall’imbecillità.

Oggi vediamo legioni di imbecilli proiettate dal nulla della loro periferia (periferia culturale e sociale) al Parlamento, grazie a una manciata di voti rionali raccattati facendo due smorfie sui social, e guidati da un ometto insignificante che ha lavato le mutande a Salvini prima, a Letta poi, e si crede un leader senza saper prendere una posizione che sia una.

Oggi vediamo un vignettista, che ha nel curriculum solo l’essere stato sempre un vignettista (fonte: Wikipedia, una delle biografie più desolate che ho letto sulla Wiki) che può dire in diretta TV che il capo dello Stato “non è più il garante della Costituzione” che, sia ben chiaro, è un pensiero lecito e legittimo, nelle democrazie occidentali, specie se asserito dall’imbecille di paese, al bar, dopo due bicchieri di vino: e invece Vauro – che te lo dico a fare? – è un “opinionista”, un influencer, come la Murgia, come Povia, come Puzzer, e ho a bella posta citato una scrittrice, un cantante e un (ex) scaricatore di porto che possono essere bravi e competenti nei loro ruoli professionali e artistici, ma non per questo hanno titolo a sparare dabbenaggini qualunquiste e nella sostanza antidemocratiche ai microfoni che sempre, sempre, qualche solerte giornalista ficca loro sotto la bocca.

Oggi Karl Popper, parlando del pericolo democratico dovuto agli intolleranti (ne La società aperta e i suoi nemici), credo che non si riferirebbe più ai prepotenti fisici, ai mascalzoni prevaricatori (lui scriveva nel 1945 pensando ai massimalismi comunista e fascista) ma agli imbecilli.

Nelle democrazie occidentali i rigurgiti della prepotenza fisica sono sempre più rari (oddio, Capitol Hill è recentissimo…) mentre pervasivi, estesi, diuturni, permeabili, inevitabili sono i quotidiani miasmi dell’imbecillità.

Abbiamo quotidiani interamente scritti da imbecilli e a loro dedicati, e anche quelli più pluralisti si riservano comunque una certa dose di cretineria. La televisione è un Vietnam di trappole e imboscate degli imbecilli, che per fare uno share (ascolto) più elevato – rappresentando costoro una quota interessante di telespettatori – vengono sempre invitati. I social, poi, sono la cloaca del pensiero imbecille.

Attenti: oltre agli imbecilli integrali, che probabilmente non sono compresi nella lista dei vostri “amici” Facebook (o Twitter…), ognuno di noi scrive, prima o poi, una sciocchezza, fa un commento inadeguato, si lascia scappare un pensiero stanco. Ecco: le dieci cose intelligenti che avete scritto su Facebook cadono nel vuoto, salvo i like (mi piace) d’ordinanza che alcuni amici e parenti si sentono in obbligo di concedervi; ma quella boiata, quella frase veloce e scarsamente riflettuta, quella battuta pungente, accidenti quanto girano, vengono condivise, ottengono cuoricini! È così vera questa constatazione, che ne è nata una professione: Yuotuber, Tiktoker, Instagrammer e altri protagonisti dei social più diffusi sono diventati ricchi avendo capito come scatenare il peggio che alberga nell’anima (?) e nel cervello della gente, che clicca, condivide, apprezza le peggiori stronzate.

È bellissimo che qualcuno pensi che la guerra in Ucraina sia sbagliata perché sbaglia Zelensky a resistere e se si arrendesse sarebbe meglio. Perché mai non dovremmo accettare questo pensiero? Che qualcuno non apprezzi Mattarella è giusto, ovvio e vorrei dire “sano”. Che sopravvivano dei comunisti nel terzo millennio è bizzarro ma corretto, diamine, è pluralismo, se ci sono i terrapiattisti possono ben esserci anche i comunisti! Che un ex comico bollito, con alcuni scappati di casa ignoti ai più, sparino boiate sesquipedali autonominandosi “eretici guerrieri” fa ridere, sì, ma dai… c’è spazio anche per loro. Che si fischino le brigate ebraiche al corteo del 25 aprile è scandaloso, ovvio, ma sappiamo che la storia è ignota, l’ideologia potente, la cretineria dilaga quando si è in gruppo e ci si sente spalleggiati, ma sì, sopportiamo anche questo…

Ma tutti insieme, questi imbecilli e molti altri, attenzione: tutti insieme possono far vincere la destra fascista alle prossime elezioni politiche; possono far fallire il PNRR; possono bloccare pezzi di Italia; possono impedire riforme essenziali e favorirne di idiote (la riforma della giustizia di Bonafede, come caso esemplare). Tutti insieme, vociando le loro imbecillità, non formano un coro ma una cacofonia assordante che è forte in tutto il mondo occidentale: in Francia l’abbiamo scampata, in Slovenia pure. E in Italia?

La malvagità

Da Hic Rhodus 8 Marzo 2021 dc:

La puntata 11. di un dossier (annunciato in) 10 punti da titolo Pensare la Democrazia nel Terzo Millennio

La malvagità

di Redazionerhodus

11. La malvagità esiste come conseguenza di un cattivo funzionamento di uno dei punti precedenti. Solitamente è conseguenza di stupidità e ignoranza, ma nei casi necessari la società ha il dovere di risolvere alla radice, e velocemente, la causa del male. Non voglio disconoscere anche una causa “organica” al male: ormai sappiamo che il cervello è una sorta di laboratorio chimico produttore di ogni stato d’animo, e possiamo anche immaginare una veramente esigua minoranza di individui che fanno il male per un problema, forse irrisolvibile, di carattere organico; oppure – se rifiutate questo approccio organicista – individui che fanno il male per un irrecuperabile mostruoso trauma infantile. O quello che vi pare. Ciò che intendiamo dire è questo: poniamo pure (non ci interessa) che ci sia un’infima percentuale di persone pericolose e malvagie che, per una qualunque ragione, sono irrecuperabili. Tutte le altre persone che fanno del male – questo sosteniamo – lo fanno solo per una delle seguenti ragioni: perché stupide, perché ignoranti, perché costrette, o per un insieme di queste cause.

11.1 Le eventuali persone malvagie irrecuperabili, ammesso e non concesso che si possa dimostrare che sono irrecuperabili, vanno messe in condizione di non nuocere alla società; decidete voi come ma qui smettiamo di interessarci al loro destino. Poiché però non crediamo ci sia accordo sull’irrecuperabilità degli individui malvagi, crediamo che i) ce li dobbiamo tenere e ii) ci dobbiamo nel contempo proteggere, nel mentre iii) cerchiamo forme adeguate di recupero (con farmaci, terapie psicologiche, esperienze rieducative…). Il punto centrale è la difesa della società. Se ci dobbiamo difendere dagli stupidi e dagli ignoranti dobbiamo anche identificare, isolare rendere innocui i malvagi considerati irrecuperabili o dei quali ipotizziamo, auspichiamo un recupero. Una giustizia giusta a protezione della collettività, con braccia investigative adeguate, è evidentemente imprescindibile in una società razionale e democratica. Lasciar correre, non investire in sicurezza, abbandonare le periferie allo spaccio e alla prostituzione, lasciare impuniti crimini odiosi, è il modo migliore per favorire reazioni populiste, giustizialiste, e infine antidemocratiche.

11.2 Alla malvagità derivante dalla stupidità e dall’ignoranza si contrappone una lotta alla stupidità e all’ignoranza, essendo la malvagità semplicemente una loro conseguenza.

11.3 C’è anche la malvagità indotta dalla necessità. Non il banale rubare perché si ha fame (questa non la chiameremmo malvagità) ma perché circostanze della vita ti hanno condotto in luoghi malvagi, e in seguito hai dovuto assuefarti ad essi, per sopravvivere. Crediamo che l’esempio più chiaro riguardi molti immigrati che diventano preda di cosche mafiose, di racket, di malfattori. Dubitiamo che questi migranti abbiano scelto di venire in Italia per delinquere; ma il loro destino si è incontrato con uno Stato assente, distratto, pauroso dell’opinione pubblica, semmai punitore a vanvera. Abbandonati a loro stessi, senza speranze e senza possibilità di costruirsi un progetto di vita, molti di questi finiscono per compiere azioni che probabilmente non avrebbero voluto, in circostanze migliori, e quindi – complice anche l’ignoranza, perché no? – possono compiere delitti che turbano l’opinione pubblica, in un circolo vizioso che produce solo più emarginazione e più dolore.

11.4 Uno stato democratico, intelligente, razionale, promuove la rimozione delle cause che possono creare stati di necessità e deriva malavitosa. In generale il proibizionismo e ogni legge liberticida inducono conseguenze malavitose e tendenzialmente violente. Queste leggi creano consenso perché inducono paura; la paura dei migranti violenti viene combattuta con leggi antimigranti assolutamente inefficaci che portano molti di costoro a delinquere, e ciò induce taluni a indicare, in tale delinquere, la necessità di quella legge. Così in tema di droga. Così in tema di aborto e fine vita. Così in tutti i temi sociali in cui, anziché una risposta sociale (economica, educativa…) si punta a una cieca e stolida repressione, che intasa inutilmente il lavoro dei magistrati e sovraffolla le galere, in una spirale discendente dove le vittime sono anche quelle finite nelle maglie di una giustizia ingiusta [Cap. 8].

11.5 Combattere le ingiustizie, abolire le leggi proibizioniste, ripensare all’immigrazione, non sono temi “di sinistra”, né temi “giusti” sotto il profilo morale, ma semplicemente comportamenti logici, razionali, di efficacia e pace sociale. Abolire le ingiustizie significa limitare la povertà, l’umiliazione, l’ignoranza, l’emarginazione, e quindi diminuire il malaffare, la violenza, l’insicurezza sociale e, di conseguenza, migliorare la convivenza e le fortune del nostro Paese. È naturalmente una cosa splendida che associazioni filantropiche si occupino di senzatetto, emarginati e immigrati, ma è lo Stato che deve essere l’attore principale delle rimozione delle ingiustizie proprio per la visione democratica che deve avere, cioè una visione di pace e armonia sociale, capitale sociale correttamente impiegato, efficacia ed efficienza dei meccanismi sociali, protezione dei diritti degli individui e, in conclusione, un migliorato livello di benessere per tutti.

Omioddio! Sono un ordoliberista-mandrakista

Un interessante articolo su Hic Rhodus, pubblicato il 31 Marzo 2017 dc:

Omioddio! Sono un ordoliberista-mandrakista

di Claudio Bezzi

Le etichette mi uccidono. Non ne trovo una che mi si attagli con soddisfazione. Per esempio: sono ateo, agnostico, libero pensatore, umanista, laico, cattolico a mia insaputa o cosa? Boh? Sono vegano, vegetariano, salutista, diversamente onnivoro, animalista, consapevole, antispecista o solo preda di mode effimere? Ah, saperlo! Ogni etichetta delimita in maniera apparentemente precisa un oggetto, o una persona o un suo comportamento, ma in realtà ha sempre confini vaghi, frastagliati, cangianti e, specialmente, molto diversamente interpretabili. Se poi passiamo alla politica, campo di guerra fredda civile permanente, occorre evitare attentamente e con assoluta fermezza qualunque etichetta, perché poi sei segnato per tutta la vita e qualunque cosa dici viene interpretata alla luce dell’etichetta affibbiata.

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Marco Pannella: di sinistra? Di destra?

Prima di andare avanti, alcune importanti dichiarazioni in merito all’autore di questo post. Bezzicante non è iscritto ad alcun partito; in effetti, epoche geologiche fa fui iscritto a due differenti partiti (in epoche diverse, ovviamente), molto diversi, e simpatizzante attivo di un terzo. Sono passati quarant’anni dall’ultimo, quindi rubricherei questi remoti eventi come errori di gioventù e la chiudiamo lì. Non ho neppure tessere di associazioni, fondazioni, circoli, logge, club e bocciofile, con eccezioni di una sola associazione culturale totalmente apolitica con soci di tutte le appartenenze. Questo accade perché sono un pochino indisciplinato e anarchico, tutte le consorterie mi sembrano strette e poco disponibili al mio vagare col pensiero, e mi piace pensare con la mia testa a costo di sbagliare un bel po’. Tutto quello che scrivo su Hic Rhodus (ma questo accade anche agli altri autori) è genuino frutto del mio pensiero che presumo libero, per quanto possa essere libero un pensiero calato in un contesto, in una società, in una rete complessa di relazioni, con radici nella propria esperienza, credo, valori e via discorrendo. Ovvio che ho le mie idee, le mie convinzioni e le mie preferenze politiche; vado a votare, e scelgo un partito, ma non sono di quel partito che ho votato. Semmai vi sembra un grave difetto, ma io ho votato, negli anni, per tutti i partiti dell’arco che va dal centro moderato alla sinistra, assumendomi ogni volta l’onere di ragionare su programma, candidati, opportunità e scenari politici, e anche compiendo un percorso interiore che mi ha fatto oscillare, nell’arco di decenni, da una certa area a un’altra, e ritorno. È questo che mi fa sentire libero. Non il fatto di avere ragione, che non posso essere certo di averla, ma il fatto di sentirmi libero di pensare e decidere, e cambiare oppure no, e criticare allegramente chi a mio avviso sbaglia, che sia del “mio” partito (nel senso dell’ultimo che ho votato) o di una parte avversa. E se siete lettori di Hic Rhodus potete intuire quali parti mi piacciano di più o di meno, ma certamente avrete letto critiche per ciascun partito, dall’estrema sinistra all’estrema destra, senza eccezioni.

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Giorgio Gaber: di sinistra? Di Destra?

Tutto ciò premesso, forzando questa mia antipatia per le etichette, mi domando chi sono, o cosa sono… Mi potreste dire che non siete così interessati alle mie appartenenze incasinate, lo so, ma insisto. Insisto perché, se riesco a classificarmi, potrei riuscire a farlo per altri, avendo trovato il metodo; potrei così capire, fra le altre cose, se Renzi è così a destra come dice Bersani, se D’Alema è sul serio così a sinistra come dice lui, se Grillo è più o meno fascista di Salvini e altre interessanti questioni che semplificherebbero il mio pensiero. Sempre per rendere un servizio migliore ai lettori di HR, naturalmente. Come lo troviamo questo metodo? Non c’è un “metro politico” definitivo; non c’è una bilancia della purezza ideologica, né un recipiente con le tacche per verificare il tasso di verità che ci riempie. Abbiamo solo concetti, definizioni, argomentazioni, disquisizioni. E controargomentazioni, repliche, interpretazioni, esegesi e contraddittori. Insomma (e questo dobbiamo stamparcelo bene in mente) non esiste alcun criterio per definire oggettivamente l’appartenenza politica (né etica, religiosa, artistica, filosofica…) restando solo un possibile uso pragmatico di termini convenzionali che riescono a dare idee più o meno vaghe, raramente precise, utili al più per un primo inquadramento generale, che è poi l’obiettivo più frequente.

Procediamo quindi per tentativi ed errori. Sono più a sinistra di Meloni e più a destra di Ferrero. Fin qui era facile. Ritengo di essere enormemente più a sinistra di Bersani e D’Alema, ma ho la profonda convinzione che loro pensino di essere molto più a sinistra di me. Oops…

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Mario Segni: di sinistra? Di destra?

Loro pensano che essere “di sinistra” significhi, per esempio, aiutare ad ogni costo le classi disagiate, anche spendendo danaro pubblico in attività improduttive, e ritengono – così io immagino – che desiderare meno intervento dello stato sia “liberista”. Io mi informo e scopro che liberismo è una parolaccia (avete notato quanti esponenti di sinistra parlano – spregiativamente – di liberismo, da un po’ di tempo?). I liberisti vogliono che lo Stato proprio non si impicci perché il mercato si regolerebbe da sé in un processo virtuoso che finirebbe coll’aiutare anche i disoccupati che otterrebbero lavoro e i poveracci che riceverebbero reddito. Ma poiché da qualche decennio il liberismo, o quello che si suppone essere liberismo, sta facendo strame di diritti e uguaglianze, effettivamente io proprio non voglio essere un liberista seguace di Friedman. Io sono assolutamente convinto che la società debba propendere verso l’uguaglianza (una parola chiave dell’essere di sinistra, questo lo so per certo), ma ritengo ci siano altri modi, oltre a quello di spendere denaro pubblico, per consentire, assieme, sviluppo dell’impresa ed uguaglianza, ricchezza e diritti, merito e libertà. E non vengo a scoprire che questa idea si chiama ordoliberalismo? Una scuola di pensiero che viene schifata alla grande da sinistra (quella vera, intendo) come raccontato, en passant, QUI.

Eppure non mi sembra “di sinistra” negare la libertà di impresa, se si garantisce equità e controllo sugli eccessi, per favorire semmai una spesa incontrollata che grava sempre più come un macigno sui nostri figli e nipoti; non mi sembra “equo” placare la serrata (non lo sciopero, per favore, ma la serrata) dei tassinari da parte di un governo di centro-sinistra (Gentiloni premier, Delrio ministro, del PD, no?) mantenendo un sistema che è una sentina fetida, impedendo l’arrivo della modernità rappresentata da Uber, non osservando il pessimo servizio taxi che penalizza utenti e turisti; e cosa ci sarebbe “di sinistra” nella lotta senza quartiere a una riforma seria del mercato del lavoro che garantisce i garantiti e ignora totalmente giovani e precari (sì, parliamo di Jobs Act); ed è egualitario un sistema, che non si riesce ad abbattere, che getta oneri, tasse e incertezze nel privato e tutela una minoranza di lazzaroni del pubblico? O non si tratterà anche qui di stare in corporazioni forti, serbatoi di voti per i politici e di consenso per i sindacati? Ed evitare accuratamente il merito in molteplici settori strategici, uno per tutti l’istruzione? Il merito è forse di destra?

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Susanna Camusso: di sinistra?

Ma il merito va valutato e la scuola dice no-no-no (non apriamo una polemica; se si volesse fare una seria e imparziale valutazione si potrebbe benissimo). E via discorrendo. Queste cose le dicono e le scrivono da anni i liberali democratici come Alesina e Giavazzi ma, udite udite!, anche marxisti come Gennaro Migliore, che non sarà un professore e che ha la disgrazia di militare nel PD dopo un passato rifondarolo ma, insomma, non per questo deve riceve l’aggettivazione di Kautsky e non si devono considerare con rispetto le sue posizioni. Bertinotti può andarvi meglio? Volete Sanders? Siete sicuri che Bernie Sanders sia proprio proprio “socialista” (no, non lo è proprio proprio, leggete QUI), come alcuni frettolosi commentatori nostrani hanno creduto? Volete Tsipras o saltiamo direttamente a Castro?

Insomma: molti idoli di sinistra non sono, o non sono stati, così nobili e puri come Ferrero e Fratoianni. Molti liberali, diversamente ( = in modo diverso, a partire da visioni diverse) si sono posti il problema e hanno cercato soluzioni al dilemma: sviluppo con uguaglianza. Tutto questo per dire che se andate in giro ad appiccicare etichette potreste scoprire che il mondo è più variegato e articolato delle etichette che avete in mano. Ciò non significa affatto che non ci sia una destra e una sinistra. Ci sono ed è importante riconoscerle, ne ho parlato QUI, ma con tre avvertenze: la prima, che occorre ammodernare le definizioni, perché quelle del Novecento sono ormai logore; la seconda, che servono come cornici generali che hanno molteplici e complesse variazioni, e quindi attenzione; la terza, che spesso confondiamo ‘destra’ e ‘sinistra’ con altri concetti, in parte semanticamente coestesi, come per esempio ‘conservatore’ e ‘progressista’ ma anche ‘conservatore’ e ‘riformista’, per non parlare di termini che ognuno usa come gli pare come ‘democratico’, ‘liberale’, etc. Per capirsi: Bersani, citato sopra, sarà pure “di sinistra” sotto un certo profilo, e anche un “democratico”, ci mancherebbe, ma certamente non è un “riformista” né un “progressista”. Questo ci fa capire che non esiste più un continuum lineare come nel ‘900 (Fig. 1) ma una complessità di intrecci, posizioni solo in parte sovrapponibili come in Fig. 2 (evidentemente solo indicativa):

destra sinistra.jpg

Io navigo da qualche parte nella zona rosa-arancio-arancino chiaro. A domanda rispondo “Sì, sono di sinistra”, ma non di questo e quel tipo bensì di quello e quell’altro, e anzi sono un pochino (ma poco poco) anche di quelli là con una spruzzata di quell’altro là. A questo punto volete ancora darmi un’etichetta? Ma sì, allora, chiamatemi ordoliberista se volete, che mi importa! Le etichette non sono un problema mio. Ma, vi prego, considerate anche la mia prerogativa di insofferenza e insubordinazione, così poco liberaliste! Il desiderio di uscire dagli schemi e di essere pronto alla critica, se non altro in senso storicista-marxista. Posso definirmi mandrakista? Me lo permettete? Va bene, andata: sono un ordoliberista-mandrakista. E non parliamone più.

Grazie.

Il virus populista

Da Hic Rhodus 15 Maggio 2020 dc:

Il virus populista

di Claudio Bezzi

Una bella intervista a Flavia Perina. Oggi c’è bisogno di ricordare tutto, perché tutto si consuma troppo in fretta: Flavia Perina è stata direttrice del Secolo d’Italia (storico quotidiano di destra) e deputata all’epoca di Gianfranco Fini. Donna di destra vera, una che la destra l’ha praticata e vissuta. Ma una destra lontana anni luce da quella di Meloni e – peggio – Salvini, una destra con delle prospettive, dei valori, delle idee e, specialmente, delle idee non populiste. Vi riporto alcuni brani della sua intervista:

Ci sorprendiamo giustamente per le posizioni di Guido Crosetto, Fabio Rampelli, Francesco Storace [che hanno difeso Silvia Romano – NdR] perché la destra ha sempre ostentato su questi fatti un’alta dose di cattivismo: è un sentimento che non corrisponde al suo dna, ma in genere gli attuali leader giudicano utile assecondare le pulsioni estremiste del loro “popolo”. Da tempo hanno rinunciato all’opera pedagogica che, in tempi passati, la destra considerava fra i suoi doveri anche nei confronti del suo elettorato.

Ancora:

Credo che la destra di oggi si trovi abbastanza bene nel ghetto [populista], intesa come area di opposizione radicale, opposizione “di sistema”. Pensano che quel tipo di isolamento e di “alterità” porti consensi. E che quindi debba assecondare il tipo di elettorato che apprezza il rifiuto di ogni contaminazione e dialogo, sempre percepito come intelligenza col nemico.

E infine, lucidamente:

Siamo un Paese anomalo, siamo un Paese dove hanno vinto le formule populiste. Una destra sul modello di quello tedesco o francese è inimmaginabile. Come è difficilissimo trovare lo spazio per un altro tipo di sinistra, o di centro. La chiave di questo Paese è la competizione populista.

Flavia Perina descrive, credo con dolore e disillusione, quello che un testimone di sinistra potrebbe dire della sinistra italiana e comunque quello che da anni cerchiamo di dire qui su Hic Rhodus: uno strato di polvere populista si è sovrapposto alla destra, alla sinistra, alla politica e alla società in generale.

Ne abbiamo parlato moltissimo, ma ultimamente abbiamo cercato di fare una sintesi in questo trittico:

Riprendo il tema solo per un paio di aggiunte. Innanzitutto mi fa piacere vedere che anche da destra una donna colta e intelligente veda questa catastrofe; implicitamente sto facendo un po’ di autocritica: avevo degli evidenti pregiudizi, e questo è sempre un male.

In secondo luogo noto, osservo, constato che questo male politico oscuro, questa polvere sottile del pensiero eversivo, questo virus dell’impossibilità di pensare e agire razionalmente, sta espandendosi in realtà ovunque.. Nel pensiero moderato e liberale; nelle osservazioni casuali di amici intelligenti; in diversi luoghi del pensiero della sinistra; nei commenti di fior fiore di intellettuali…

Allora diffido. Il concetto di |populismo| potrebbe essere diventato troppo vago e impreciso per definire questa deriva che non è solo politica, ma anche culturale, morale, sociale.

In senso stretto, |populismo| è un

atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi. Con significato più recente, e con riferimento al mondo latino-americano, in partic. all’Argentina del tempo di J. D. Perón (v. peronismo), forma di prassi politica, tipica di paesi in via di rapido sviluppo dall’economia agricola a quella industriale, caratterizzata da un rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari, con il consenso dei ceti borghesi e capitalistici che possono così più agevolmente controllare e far progredire i processi di industrializzazione. In ambito artistico e letterario, rappresentazione idealizzata del popolo, considerato come modello etico e sociale (Vocabolario Treccani).

È in questo medesimo senso, o comunque molto simile, che il concetto di populismo è stato utilizzato su questo blog, e che ho utilizzato nel libro Uscire dal Novecento per battere Salvini.

Quindi: demagogico ruolo assegnato al popolo (democrazia diretta, uno vale uno… tutto il programma dei grillini dell’epoca d’oro); rapporto diretto tra capo carismatico e popolo (Grillo, soprattutto Salvini fino al Papeete); rappresentazione idealizzata del popolo (che si “indigna”, che straparla su qualunque cosa, che ha diritti e mai doveri…).

Su questa base, non costituiscono aggiunte indebite alcune caratterizzazioni contemporanee e specifiche; molte riguardano la comunicazione populista: ipersemplificazione, falsificazione, denigrazione dell’avversario; altre hanno a che fare con alcune conseguenze ideologiche: sovranismo, nazionalismo, antieuropeismo.

E così via come periodicamente scritto su questo blog (riferirsi ai link già proposti).

Eppure c’è forse qualcos’altro. Per meglio dire: ognuno di questi tratti ha conseguenze. I tratti culturali, sociali e personologici non sono mai statici, immutabili: hanno conseguenze, producono altre forme di relazione e pensiero, mutano, si adattano all’ambiente… proprio come i virus!

Allora vi propongo una piccola mappa di ciò che si è sempre chiamato ‘populismo’, che in questo blog abbiamo sempre trattato come tale, che Flavia Perina – nell’intervista – definisce tale, alla luce però del suo attuale allargarsi, dilagare, occupare altri ambiti… E per farlo non tratteremo delle conseguenze ultime del populismo, ma delle sue proprietà costitutive; per capirci: l’antieuropeismo non è un tratto costitutivo del populismo, ma una conseguenza di una connotazione particolare del nazionalismo, un’esaltazione del “noi”, una sopravvalutazione dell’importanza della propria tribù; infine, del particolarismo.

In questo senso quelli che mi sembrano i tratti fondamentali del populismo contemporaneo, e quelli derivati, di secondo e terzo livello, sono i seguenti:

Tratti costitutivi di base del populismo Tratti conseguenti Elementi ultimi visibili, comportamenti e atteggiamenti finali
Egotismo Egoismo, edonismo, particolarismo, sopravvalutazione di sé. Xenofobia, razzismo, maschilismo, nazionalismo, antieuropeismo.
Incultura Ignoranza, credulità, ipersemplificazione dei problemi. Antiscientismo, antivaccinismo, incapacità di programmare e valutare il proprio operato.
Familismo Diffidenza, paternalismo, clientelismo, asservimento. Nepotismo (per esempio in politica), partigianeria, continua guerra fredda civile, ricerca di privilegi e diritti di gruppo.
Convenzionalismo Bigotteria, perbenismo formale, adesione stereotipata ai cliché linguistici e culturali. Omologazione del pensiero, diffidenza verso gli intellettuali critici (inclusi i politici avversi e i giornalisti indipendenti); rifiuto della diversità.

Non è necessario possedere tutte queste caratteristiche per meritarsi il titolo di ‘populista’. Averne più di una, o addirittura averle tutte, ci porta a ragionare sui “gradi di populismo”. Proviamo:

  1. hai uno di questi tratti importanti (prima colonna di sinistra) o due o tre di quelli di secondo o terzo livello; per esempio: sei paternalista, incline ai cliché, e un filino egotico: propongo di considerarlo un populismo di primo livello, negativo comunque, ma non inconciliabile con buone altre caratteristiche; Renzi ne è un mirabile esempio: è europeista, liberale, con spiccate doti critiche, ma è un egocentrico, partigiano e non brillantissimo nella valutazione del proprio operato;
  2. hai più di un tratto costitutivo, e/o diversi di quelli secondari: sei un populista a tutto tondo, un populista semmai in giacca e cravatta ma populista resti, uno di secondo livello; per esempio Conte: si rivolge direttamente al popolo italiano con fare paternalista, ma non riesce a fare sintesi nel proprio governo, traccheggia indeciso nelle decisioni che deve prendere e non ne vede con lucidità le conseguenze;
  3. hai tre o quattro tratti costitutivi e, di conseguenza, una pletora di quelli susseguenti; sei un pericoloso populista di terzo livello, hai tendenze eversive e anti-istituzionali; per non fare, come esempio perfetto, quello di Salvini, diciamo che la stragrande maggioranza dei 5 Stelle si colloca qui.

Le sfumature, i punteggi intermedi, e la collocazione di tutti gli altri, vedete voi, qui era solo un primissimo esercizio per capirci.

C’è anche un punteggio zero, ovviamente: quello di chi pensa criticamente, di chi fa politica con assennatezza e senza tornaconti personali, chi si informa in modo ampio e cerca di valutare ciò che capisce del mondo, semmai sbagliando (non essere populisti non significa non sbagliare; diciamo che temo non esista uno zero perfetto, in quanto al tasso di populismo presente in ciascuno di noi, ma uno zero-virgola-qualcosa è già un grandissimo risultato).

Il popolo italiano è, in grande maggioranza fra il livello 2 e il 3. Una conseguenza più volte segnalata su questo blog è che le preferenze elettorali di questi concittadini si spostano ma entro confini di populismo conclamato o grave; oggi la Lega è in calo ma la Meloni è in crescita; ricresce anche un po’ il M5S. Questa ampia platea di grave populismo, anche perché poco critica, segue il Salvini del Papeete finché spara dichiarazioni a raffica, poi in parte lo abbandona per la Meloni, o per Di Maio, ma ridate un microfono al capo leghista e questi italiani torneranno a seguirlo abbandonando i precedenti.

Non ha molta importanza. Non ci deve importare un fico secco se in un dato momento ha più consenso la Lega, Fratelli d’Italia o il Movimento 5 Stelle; sono piccole varianti dello stesso fenomeno devastante per la nostra democrazia.

E al centro? E a sinistra? Anche qui seguendo Flavia Perina e quanto più volte scritto da Hic Rhodus, in queste diverse aree politiche si assiste, con ritmi e modalità meno eclatanti, al fenomeno di penetrazione del virus populista.

Qui occorre guardare in faccia la realtà anche se vi può addolorare: andate oltre le etichette: chi si auto-definisce “di sinistra” (o “liberale”, “socialista”, quel che vi pare) non è necessariamente immune al virus. Sono i fatti, le parole, i comportamenti, che possono testimoniare una vera lucidità di pensiero, o se l’inquinamento populista, con uno o più dei suoi tratti, non abbia incominciato a produrre i suoi effetti.

Lascio giudicare ai lettori, anche perché la mia idea in merito, altre volte espressa, è piuttosto sconfortata.