L’istinto materno non esiste. Non volere figli non è egoista.

Cercando da tempo, e non avendo ancora trovato, L’istinto materno non esiste che ritengo scritto o riferito a Susan Sontag, ho trovato questo articolo, molto interessante, sul sito The Vision, pubblicato il 17 Giugno 2020 dc:

L’istinto materno non esiste. Non volere figli non è egoista.

di Jennifer Guerra

Quando dico di non volere figli, la maggior parte delle persone mi risponde che sono troppo giovane per saperlo e che fra una decina d’anni, quando raggiungerò i fatidici trenta, cambierò idea, perché prima o poi arriverà il fantomatico “Istinto Materno”.

Non ho mai provato il desiderio di essere madre, non ho mai provato tenerezza di fronte a un bambino, voglio fare mille cose nella vita tranne che svegliarmi alle tre di notte per accudire un neonato, non faccio corrispondere la mia idea di realizzazione personale alla procreazione.

Insomma, diventare madre non fa per me. Nemmeno quando ero bambina mi divertivo a giocare con i bambolotti, al contrario di molte mie coetanee che amavano imitare la mamma alle prese con pannolini e biberon. Spesso mi sono chiesta cosa ci sia in me che non vada, perché tante altre ragazze che conosco abbiano questo desiderio, e io no.

Evito il più possibile di parlare di questa cosa in pubblico, un po’ perché è capitato che i miei interlocutori mi prendessero come una sorta di mostro egoista, un po’ perché la mia unica reazione alla frase “Prima o poi l’istinto arriverà” è ormai una poderosa alzata di occhi al cielo. Questa è d’altronde la risposta che si sentono dare molte donne che esprimono la volontà di essere child free. “Prima o poi l’istinto arriverà”, come se fosse una grazia del cielo o Babbo Natale.

Il punto è che l’istinto materno non arriverà mai, perché proprio come il vecchietto con la barba bianca e l’abito rosso, non esiste.

Parlare di istinto materno o, meglio, della sua assenza in Italia è un tabù. In un Paese in cui la questione della natalità viene affrontata con una farsa imbarazzante come quella del Fertility Day, con tanto di opuscoli raffiguranti clessidre per ricordare che il tempo scorre e che il tuo utero ha una data di scadenza, o in cui si permette alle associazioni pro-vita di appendere enormi manifesti in cui si paragona l’aborto al femminicidio, qualsiasi discorso riguardante la complessità della maternità si perde in lotte ideologiche e moralismi.

Dopotutto, come afferma la sociologa Orna Donath nel suo saggio Regretting Motherhood: A Sociopolitical Analysis, non si può parlare di maternità senza ricollegarla all’amore nei confronti dei bambini, che nel contesto delle società contemporanee occidentali è considerato “sacro” ed è visto come “un test della morale femminile”.

Così, l’associazione tra l’amore e la maternità viene istituzionalizzata e una “buona donna”, capace cioè di sentimenti buoni, è anche automaticamente una “buona madre”. Ovviamente, chi non adora i bambini non può che essere “cattiva”.

L’amore nei confronti dei bambini sembra uno di quei valori assoluti e intoccabili, che dev’essere sempre manifesto e totalizzante. Chi non è capace di questo amore è spesso preso dal senso di colpa che deriva dalla sensazione di inadeguatezza, dall’incapacità di aderire alla norma sociale che vuole la donna sempre e solo una buona madre.

Il senso di colpa secondo Donath è una sorta di “condizione necessaria per la preservazione dell’ordine sociale”: se non vuoi figli perché ti vuoi concentrare sulla carriera o perché sei terrorizzata dal parto o perché non vuoi essere responsabile di un’altra creatura, almeno sentiti in colpa. Questo perché il mito della maternità è una forma di mantenimento dello status quo, atta a dividere il mondo in maniera piuttosto superficiale nelle due categorie: buone madri piene d’amore contro donne cattive piene di senso di colpa.

L’istinto materno è la carta jolly, che la gente di solito sfodera per controbattere alla decisione logica e razionale di una donna childfree. L’istinto è, nella credenza comune, qualcosa di naturale e innato a cui, volenti o nolenti, non ci si può opporre.

Molti studi, a partire dal saggio del 1979 Is there such a thing as “maternal instinct”? di David Cutts, hanno posto in dubbio che l’istinto materno – o meglio quell’insieme di credenze e luoghi comuni associati alla maternità che viene impropriamente definito “istinto materno” – esista.

Non esiste nemmeno una definizione moderna di questo fenomeno, che è assente nelle enciclopedie, ma che possiamo trovare ancora nell’edizione del 1971 del dizionario Larousse, in cui viene definito “una tendenza primordiale che crea, in ogni donna normale, un desiderio di maternità e, una volta soddisfatto questo desiderio, spinge la donna a badare alla protezione fisica e morale dei figli”.

Tralasciando l’inciso che parla di “donne normali” e che ancora perpetra quella divisione manichea di cui si parlava sopra, il desiderio di maternità non è affatto una tendenza primordiale.

Secondo la sociologa Laura Kipnis, l’istinto materno è un costrutto sociale nato intorno all’epoca della Rivoluzione Industriale. Prima le donne avevano molti figli per motivi pratici ed economici: più figli equivalevano a più braccia per lavorare.

Il rapporto con loro era quanto di più diverso potesse esistere dalla classica famiglia felice. Spesso, nelle famiglie più abbienti, a poche ore dal parto i neonati venivano affidati alle balie e crescevano lontano dalle madri, che comunque tendevano a mantenere con loro un forte distacco emotivo.

Gli studiosi, in proposito, arrivano a parlare, in riferimento al XVIII secolo, di “mancanza di sentimento dell’infanzia”, una rassegnazione totale delle famiglie di fronte alla morte dei bambini, a causa dell’altissimo tasso di mortalità.

Con la svalutazione del valore economico dei figli, in conseguenza alla maggiore disponibilità di lavoro, e con la ridefinizione dei ruoli maschili e femminili – uomini in fabbrica, donne in cucina – i figli cominciarono a diventare un peso e non più una risorsa, di cui si doveva occupare solo e unicamente chi restava in cucina, ovvero la madre.

Poiché smettere di procreare sembrava impossibile e assurdo, si optò per una “romanticizzazione” della maternità, di modo che le donne non fossero più obbligate a fare figli per necessità, ma per vocazione. Insomma, quando i figli non servivano più ad aumentare il patrimonio del nucleo famigliare, con il loro lavoro nelle famiglie più povere o con il matrimonio in quelle più ricche, l’affetto e l’amore della madre sembravano le uniche ragioni plausibili per la loro esistenza.

Ma se l’istinto materno non esiste, com’è che siamo in 7 miliardi su questo pianeta?

La risposta è molto semplice. La biologia ci ha insegnato che ogni essere vivente, vegetale o animale che sia, essere umano compreso, è spinto a trasmettere il proprio codice genetico. Questo tuttavia non riguarda esclusivamente gli individui femminili.

Da un punto di vista evolutivo, però, l’uomo si è differenziato dagli animali. Mark Elgar, professore di Biologia evolutiva all’Università di Melbourne, fa notare come il motore di tutto sia il desiderio sessuale e non un non meglio chiarito “istinto materno”. In una popolazione animale, una preferenza genetica che ripudi il sesso non può stabilirsi o mantenersi, perché gli individui sessualmente inattivi non possono conservarsi. Ma l’uomo, sfruttando le sue caratteristiche evolutive, ha trovato alcuni modi ingegnosi per continuare a fare sesso senza riprodursi. Tramite la contraccezione, gli uomini sono riusciti a scindere il sesso dalla riproduzione. Quindi, in termini di evoluzione biologica, una preferenza genetica per l’attività sessuale non può equivalere all’istinto materno. Se fosse il solo istinto di conservazione a guidarci, le persone childfree non sarebbero interessate al sesso. Non so voi, ma io lo sono abbastanza.

Non esiste nessun istinto materno, nel senso che non c’è nessuna “tendenza primordiale al desiderio di maternità”, come invece si sosteneva sul dizionario Larousse. Al massimo c’è un desiderio di riprodursi e un desiderio di trasmettere il proprio codice genetico, che però non riguarda solo le femmine, ma indistintamente tutti gli individui.

È comunque innegabile che moltissime persone, di fronte alla vista di un neonato, siano prese da sentimenti di tenerezza e di cura. Questo accade perché a entrare in gioco è un ormone di origine proteica, l’ossitocina, che promuove il legame tra adulto e cucciolo. Nel saggio Psicobiologia dello sviluppo, di Berardi e Pizzorusso, vengono illustrati alcuni esperimenti con i ratti che hanno dimostrato l’importanza di questo ormone: vedere un piccolo indifeso stimolerebbe la produzione di ossitocina nei topi adulti, anche nel caso in cui il cucciolo in questione non sia il proprio.

L’ossitocina è lo stesso ormone che viene prodotto durante il travaglio e che stimola la lattazione, ma viene prodotto anche dai maschi e più in generale ogni volta che si fa sesso. Questo, ovviamente, non significa che la presenza dell’ossitocina sia la prova dell’esistenza dell’istinto materno, come hanno titolato alcuni articoli riferendosi alla ricerca della NYU Skirball Institute of Biomolecular Medicine, che si è limitata a dimostrare quali aree del cervello sono coinvolte nel comportamento materno. L’ossitocina si attiva anche alla vista di un cucciolo di un’altra specie ed è il motivo per cui siamo tutti ossessionati dai gattini.

Insomma, ossitocina o no, l’istinto materno non è affatto qualcosa di innato: anche volendo ammettere che esista, non è detto che tutte le donne, senza eccezioni, lo debbano sentire. Più che un fatto biologico, è un costrutto sociale che ha origini storiche ben precise.

Simone de Beauvoir, ne Il secondo sessopubblicato nel 1949, ha dimostrato come i pregiudizi sociali e biologici legati alle donne abbiano contribuito a relegarle in una posizione secondaria. Questo perché non basta la maternità a spiegare la condizione femminile, bisogna necessariamente sommare a essa il contesto socio-economico-patriarcale in cui è stata inserita nella Storia.

Oggi la donna è libera di decidere molti aspetti della sua vita e di esercitare i suoi diritti civili, ma la maternità sembra ancora un tasto dolente. Chi sceglie di essere madre, chi non può esserlo e chi sceglie di non riprodursi è parimenti vittima del mito dell’istinto materno.

Le madri devono continuamente competere fra loro per dimostrare chi sia la migliore, la più brava a perseguire quell’istinto inesistente. Chi non può avere figli è continuamente frustrata dal senso di colpa per non aver potuto realizzare quel desiderio. Chi non vuole assolutamente avere figli si sentirà continuamente in dovere di dare spiegazioni.

Il desiderio di fare un figlio certamente esiste ed è una sensazione profonda, vera e bellissima, ma non è un desiderio esclusivamente femminile e non è legato a chissà quale caratteristica biologica, tanto che sembra che sempre più spesso siano gli uomini a voler mettere al mondo un bambino. Nessuna di noi si deve sentire in colpa nei confronti dell’istinto materno. Con buona pace del dizionario Larousse, madri o non madri, siamo tutte donne normali.

Più atei, meno laicità

3 Maggio 2023 dc, dal sito MicroMega, articolo del 2 Gennaio 2023 dc:

Più atei, meno laicità

Più atei, meno laicità: la libertà di credo e di non credere minacciata dall’autoritarismo

Il Report sulla libertà di pensiero 2022 denuncia l’aumento di persecuzioni rivolte agli atei nel mondo. In Italia l’Uaar avverte del rischio che il nuovo governo pone al principio di laicità.

di Michela Fantozzi

Nel 2022 la libertà di pensiero e di religione è diminuita ancora, nonostante gli atei e gli agnostici siano in crescita.

Lo afferma il Report sulla libertà di pensiero (Freedom of thought report (Fotr) Key Countries Edition) una pubblicazione annuale con focus particolare sulla libertà religiosa e sulla libertà delle persone non credenti. Il report è realizzato dal lavoro di diverse associazioni affiliate a Humanists International, organizzazione composta da 150 gruppi umanisti e non religiosi da tutto il mondo, e da diversi ricercatori che, anche in forma anonima, ogni anno esaminano il grado di libertà di coscienza e di fede degli Stati, prendendo sotto esame diversi fattori, dalla persecuzione della blasfemia alle discriminazioni nei conforti di chi non crede e non praticare la religione su base giornaliera.

Secondo il rapporto, la religione è diminuita del 9% e l’ateismo è aumentato del 3% tra il 2005 e il 2012, una tendenza che dipende fortemente dall’aumento del livello di scolarizzazione e dal reddito percepito.

In alcuni Paesi è illegale essere, o identificarsi come, un ateo. Molti altri Paesi vietano di lasciare la religione di stato. Sono 10 i Paesi in cui la pena per l’apostasia, ossia l’abbandono formale e volontario della propria religione, è spesso la morte: Afghanistan, Malesia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Yemen e Iran. Quest’ultimo da mesi attraversato da ribellioni e manifestazioni civili proprio contro le imposizioni religiose e a favore della libertà delle donne.

Tra le discriminazioni più comuni contro gli atei si possono trovare varie sanzioni, tra cui l’esclusione dal matrimonio e la limitazione delle posizioni amministrative. Per esempio, in Ungheria, il rapporto denuncia come i richiedenti asilo di fede cristiana ricevano un trattamento di favore rispetto ai richiedenti di qualsiasi altra religione.

Sul Fotr del 2022 si è espressa anche l’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (Uaar), che nel comunicato stampa del 9 dicembre dichiara:

“Soltanto il 4 per cento della popolazione globale vive in società davvero laiche […]. Per contro il 70% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui manifestare il proprio pensiero ateo o agnostico comporta vari livelli di repressione e dove la piena realizzazione del proprio diritto alla libertà di religione e dalla religione è letteralmente impossibile”.

Giorgio Maone, responsabile relazioni internazionali dell’Uaar, ha dichiarato:

«Ormai all’undicesima edizione del report possiamo rilevare una tendenza preoccupante: alla progressiva e inevitabile secolarizzazione delle società, nelle quali non credenza, cultura dei diritti umani e valori umanisti si diffondono inesorabilmente, corrisponde purtroppo una forte reazione conservatrice a livello politico, con iniziative tese a restaurare dall’alto l’influenza della religione nella sfera pubblica e privata, riducendo l’autodeterminazione personale».

Sull’Italia afferma: «L’Italia, la cui laicità è costituzionalmente sancita, ma al contempo viziata dal Concordato e della presenza strabordante del Vaticano nei media e nel discorso politico, negli anni è comunque progredita nei diritti laici soprattutto, lo affermiamo senza falsa modestia, grazie al lavoro della nostra associazione. Un lavoro però tutt’altro che terminato, e già le prime dichiarazioni di esponenti del nuovo governo ci inducono a moltiplicare gli sforzi per non tornare protagonisti in negativo delle prossime edizioni del Fotr».

Roberto Grendene, segretario nazionale Uaar ha commentato:

«Il report di quest’anno non mette sotto la lente d’ingrandimento l’Italia, ma possiamo assicurare che il nostro Paese ha conservato se non peggiorato la penosa posizione dello scorso anno, con una colorazione rossastra nella mappa complessiva elaborata da Humanists International, che la colloca a metà strada tra le discriminazioni severe e quelle sistemiche della libertà di pensiero. Basti pensare ai 26mila insegnanti di religione cattolica scelti dal vescovo e pagati dallo Stato, alla piaga degli obiettori di coscienza nei reparti di ginecologia della Sanità pubblica, alle norme che tutelano il “sentimento religioso” condannando a sanzioni amministrative i “blasfemi” e prevedendo addirittura il reato di vilipendio. E col nuovo esecutivo e la nuova maggioranza parlamentare il rischio concreto è vedere sprofondare ulteriormente l’Italia nella classifica del Fotr».

Un guitto, bigotto e caldofilo

5 Marzo 2023 dc:

Un guitto, bigotto e caldofilo

di Jàdawin di Atheia

In un noto quiz televisivo, da molti anni più o meno un’ora prima del Tg1, il solito conduttore romano, che nasce come comico, per il secondo anno consecutivo dà mostra di essere caldofilo oltre ogni decenza.

Il nostro è un caciarone, urla a dismisura, vuole essere piacione, ed a furia di essere esagerato diventa un guitto, come l’altro suo pari, di toscana appartenenza. È anche fervente cattolico, come tutti i suoi colleghi televisivi, del resto, e le domande del quiz sono sempre improntate alla massima osservanza. Non compare la benché minima “variante” laica, per non dire atea.

Come se non bastasse, il buffone è anche caldofilo: non vede l’ora che venga l’estate, e non siamo nemmeno in primavera: l’anno scorso ha detto, più o meno nello stesso periodo, “non vediamo l’ora che arrivi l’estate”, e quest’anno “ormai siamo in primavera, e speriamo che venga l’estate”.

Ora, brutto stronzo, il fatto che tu lo dica così sfacciatamente in televisione mentre il Paese, per il secondo anno consecutivo, affronta temperature innaturalmente alte e siccità già avanzata adesso, con un inverno inesistente, già non sarebbe tollerabile, ma almeno usa la prima persona, imbecille, e non dare per scontato che tutti, proprio tutti, la pensino come te!

Non parliamo poi del servilismo verso i laureati. D’accordo, hanno tutta la mia ammirazione e invidia tutti coloro che hanno ed hanno avuto la forza di volontà e la perseveranza di studiare all’università e, magari, un poco realizzarsi anche nel lavoro: sono il primo a congratularmi con loro perché ho sempre saputo di non essere all’altezza di compiere questi studi così impegnativi, che pur avrei ogni tanto voluto intraprendere (e non certo per la carriera!). Ma il suo prostrarsi di fronte a loro, tesserne lodi sperticate e smisurate è veramente esagerato, poco dignitoso e poco rispettoso per la stragrande maggioranza che laureati non sono e che, spesso, hanno più cultura generale di questi “mostri” di culture specialistiche. E che sono, tra i concorrenti, stretta minoranza.

La vera storia del Natale, festa laica

27 Febbraio 2023 dc, da MicroMega, articolo del 23 Dicembre 2022 dc:

La vera storia del Natale, festa laica

di Alessandro Giacomini

Le usanze di decorare l’abete e, soprattutto di festeggiare il Natale, sono sempre state pagane dalla notte dei tempi e il forte annacquamento religioso non ha il diritto di “disturbare” questa importante festa laica o, per meglio dire, astronomica, il cosiddetto “Dies Natalis Solis Invicti”, ovvero la rinascita del sole.

Con ciò non si vuole provocare nessuno, ma al contrario, fare un minimo di chiarezza sulle origini del cosiddetto Natale.

Molti obietteranno sul fatto che le nostre radici sono Giudaico Cristiane, altri in contrapposizione potrebbero replicare che la nostra cultura è anche Greco Romana, in ogni caso il Natale, se vogliamo essere il più coerenti possibile con la storia, andrebbe festeggiato in una “cattedrale” della scienza, ad esempio in un museo della scienza, magari decorando e abbellendo un cannocchiale nel contesto di un osservatorio astronomico, o magari con una celebre formula matematica, perché è solo per la stessa scienza che si dovrebbe festeggiare il Natale.

Facciamo un po’ di chiarezza, la ricorrenza astronomica storica è il 21 dicembre, data appunto del solstizio d’inverno, istituita come festa civile già dall’imperatore Aureliano con il titolo di Natalis Invicti.

Come molti sapranno l’aggiustamento dei calendari ha portato allo slittamento di 4 giorni e soprattutto alla sovrapposizione della festa cristiana su quella pagana, che esisteva in moltissime culture dal Mediterraneo al Nord Europa.

Era il giorno della rinascita della luce il 22 dicembre e il cristianesimo ha sostituito la festa pagana del Sol invictus con quella della nascita di Cristo, rubando di fatto il tutto al “dio della scienza” e, ad ogni latitudine storica, ai riti pagani precedenti all’avvento del cristianesimo.

Questa operazione avvenne a Roma ed è attestata per la prima volta dalla Depositio martyrum verso il 336 ma la tradizione di festeggiare la rinascita del sole, attribuendo a quella data la nascita di un Dio, è tradizione comune in diverse parti del mondo e tra diversi popoli, come attesta questo elenco, che segue, di quanti illustri appartenenti al mondo divino possono fregiarsi della propria nascita nei giorni che vanno dal 21 al 25 di dicembre. 

Dionisio o Bacco, dio del vino e della gioia in Grecia e a Roma. Moltissime sono le similitudini fra i misteri di Dionisio, conosciuto da 13 secoli prima di Cristo, e il “mito cristiano”: Dioniso,”uomo che divenne dio”, era venerato come “dio liberatore” (dalla morte) perché, una volta defunto, discese agli inferi ma dopo alcuni giorni tornò sulla Terra. Proprio questa sua capacità di resurrezione offriva ai suoi adepti la speranza di una vita ultraterrena tramite il suo divino intervento. Per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario essere battezzati.

Direi più che imbarazzanti le analogie con la Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ma questo è solo l’inizio, tra i nati verso il solstizio d’inverno ci sono molti altri antecedenti al cristianesimo, il quale ha assorbito e derubato l’essenza da tutti questi sotto elencati.

Sol Invictus dio indigete, fra le divinità delle origini romane più antiche, ricevuto da ancor più lontani cicli di civiltà come dalla tradizione indoeuropea, identificato poi con Mithra e col dio solare siriano Elio Gabalo.

Mithras, nato in una grotta sotto gli occhi di pastori che lo adorarono, culto dei militari di Roma e quindi diffuso in tutti gli angoli dell’impero dalle legioni, (e diverso dal Mithra di Persia), ricorda qualcuno vero?

Come lo stesso Mithra di Persia, nato da una vergine, morto e risorto (sembra dopo tre giorni) e ancora Attys, nato da una vergine, morto a titolo di sacrificio, e che risorge il 25/3 in corrispondenza anche di data, oltre che di significato di rinascita della vegetazione, col periodo della pasqua.

Senza dimenticare Atargatis di Siria, grande dea madre, dea della natura e della sua rinascita, chiamata dai romani anche Derketo e dea Syria (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita).

Oppure Kybele dea della Frigia amata da Adone (il 25 Dicembre era festeggiata insieme ad Adone: ma che tale data fosse considerata la nascita in questo caso non è certo, è solo presunto).

Astarte della Fenicia, dea suprema, nonché dea della fecondità e dell’amore. Venerata anche dal re Salomone a Gerusalemme (la sua festa risulta al 25 Dicembre, quasi con certezza come data di nascita). Anche essa scese agli inferi e risorse, che strano.

Osiride dio supremo egizio della morte e della rinascita della vegetazione, e per estensione della rinascita dell’uomo. La resurrezione è il tema centrale del mito trinitario egizio di Osiride, Isis e Horus dal quale pare proprio che sia stata presa l’ispirazione per una successiva famosa resurrezione in ambito ebraico.

Horus, dio falcone solare, figlio di Osiride ed Iside con cui costituiva una popolarissima triade che (insieme alle tante altre triadi di dei popolarissime in tutto il mediterraneo) è stata d’ispirazione alla triade cristiana non ufficiale di Dio padre, Madonna e Bambino Gesù, nonché al raggruppamento ufficiale della Trinità, che esclude l’elemento femminile. La sua nascita era celebrata il 26 Dicembre.

Ra, il dio Sole egizio corrispondente a Helios, la cui nascita era celebrata il 29 Dicembre nella città-tempio di Heliopolis, a lui dedicata, nella zona dell’attuale Cairo.

Infine, ma è solo una piccola parte, Krisna che muore ucciso da una freccia rinascerà anche lui e, anche lui come Babbo Natale, porta doni nel cuore della notte.

Se tutto ciò non è ancora sufficiente un piccolo contributo lo dedichiamo pure all’albero di Natale che non va certo dimenticato, l’usanza di decorare un abete il cosiddetto albero di Natale non è certo una prerogativa della comunità cattolica ma si è diffusa in tutto il mondo, antecedentemente e indipendentemente dal credo religioso.

La tradizione, la cultura della decorazione ha radici in un passato lontano e le sue origini sono pagane, tutto nasce in concomitanza con il solstizio invernale, i Maya, come successivamente alcuni Paesi nordici, ad esempio i Celti, avevano compreso che durante questo evento astronomico il giorno raggiungeva i suoi minimi per poi recuperare luce nei giorni successivi, era la rivincita della luce sulle tenebre.

L’abete, “pianta sempreverde“ anche in inverno, testimonia la resistenza della vita contro il rigido clima invernale, si prestava quindi ad essere “decorato“ proprio nel periodo del solstizio, la vita contro la morte vegetale.

La Chiesa Cattolica inizialmente vietò di abbellire abeti, visto poi la popolarità, con il suo classico opportunismo, incorporò anche questa tradizione.

Quindi attenzione alle palle di Natale e buona rinascita del sole a tutti.

Così, dunque, sarei un “cretino cognitivo”…

21 Febbraio 2023 dc:

Così, dunque, sarei un “cretino cognitivo”…

di Jàdawin di Atheia

Da quando è uscito, ho acquistato spesso un certo quotidiano i cui fondatori, a detta loro, se ne erano usciti da Corriere della Sera perché questo sarebbe stato “troppo a destra”. Allora sarà pure stato così, ora sono piuttosto dubbioso su chi, dei due, sia più “a destra”.

Ora lo acquisto di solito il giovedì, per un supllemento che, più passa il tempo, più è peggio.

Comunque: giovedì 16 Febbraio ho fatto il mio acquisto, più per abitudine che per convinzione, e, in una rubrica che mi risulta piuttosto seguita, nella pagina Commenti, si risponde a una lettera.

Un lettore francese parla dell’inno di quella nazione, e scrive “…solo gli ignoranti, ce ne sono parecchi anche qui in Francia, vorrebbero cambiare le parole troppo aggressive della Marsigliese (a parte che si scrive “de La Marsigliese”, nota mia). L’illustre curatore della rubrica, il cui cognome corrisponde a quello di un famoso uccello nero, risponde “…anche in Italia si canta con gioia…l’inno di Mameli, sottratto, grazie all’allora presidente Ciampi, alla retorica del “Dio patria e famiglia” alla quale vorrebbero farlo regredire sia l’estrema destra al governo, sia certi cretini cognitivi di estrema sinistra che, come da voi in Francia, prendono alla lettera le parole degli inni.”

E come si dovrebbero prendere, coglione?

Gli inni, dovrebbe essere ovvio, sono, per loro stessa natura, di parte. Infatti si chiamano così perchè “ineggiano” a qualcosa. E, di solito, sono trionfali, per non dire tronfi, e pomposi, ampollosi, vanagloriosi: nelle musiche e nei testi.

Il dramma è che dovrebbero “rappresentare” l’intera nazione, o un’idea, un’ideale. E invece, se va bene, rappresentano solo una parte. E poi c’è un’altra parte che “si sente” rappresentata ma è talmente ignorante e becera che neanche si è mai soffermata sulle parole dell’inno.

Come musica, l’inno italiano aggiunge alla pretesa pomposità, a cui nemmeno arriva, il ridicolo, che invece si dispiega pienamente nella sua “marcetta” saltellante.

Per non lasciare nulla al caso, dirò che anche “Bandiera Rossa”, inno dei lavoratori in genere e dei comunisti in particolare, è un brutto inno, sia nella musica che nel banale testo.

Detto questo, l’inno di Mameli è pessimo anche nel testo, che richiama i fasti di Roma, del suo “impero”, inneggia alla “patria”, al “sacrificio”, alla “morte”, a Dio, che addirittura avrebbe “creato” direttamente la Vittoria “schiava” di codesta patria (identificata con Roma) che, come sempre, è migliore di tutte le altre, più bella etc.

Ma, si sa, sono un “cretino cognitivo di sinistra” e prendo, cretinamente, alla lettera le parole dell’inno nazionale.

Così le ripropongo qui, così che altri “cretini” cognitivi si aggiungano alla nostra schiera.

Fratelli d’Italia
L’Italia s’è desta,
Dell’elmo di Scipio
S’è cinta la testa.
Dov’è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un’unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l’ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l’Unione, e l’amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Dall’Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn’uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d’Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d’ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l’Aquila d’Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d’Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L’Italia chiamò